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Castlevania: Bloodlines - La generazione ritrovata | Racconti dall’ospizio

Castlevania: Bloodlines - La generazione ritrovata | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Il mio rapporto con Castlevania è di amore assoluto. Io sono uno di quei pionieri che hanno acquistato il cartuccione per NES a 75.000 lire e regolandosi soltanto grazie al retro di copertina. Senza sapere che conservando quel gioco avrei potuto comprare in seguito un’automobile e/o qualsiasi altro bene di lusso, l'ho poi venduto per continuare la mia avventura videoludica. In tutta la mia storia d’amore con Castlevania, non è mancato praticamente nessun episodio, ho giocato persino a quelli più satellitari, come la versione per Nintendo 64. Poi certo, c'è stato anche Symphony of the Night, che è un po' il prima di Cristo e dopo Cristo della saga: indimenticabile.

La palette era squisitamente accesa, virando con prepotenza su tutte le scale del rosso.

Non ho amato con lo stesso ardore i vari episodi su PlayStation 3 e Xbox 360, quelli che scimmiottavano God of War e che dovevano dare quell'aria d'avventura action a tutto tondo. Ho, invece - e finalmente ci siamo arrivati - un ricordo molto particolare di Castelvania: Bloodlines, (The New Generation per le edizioni europee). È la stessa sensazione che ho avuto per molti altri giochi su Mega Drive. Il piacere di incastonare la cartuccia rettangolosa o tondeggiante - a seconda del formato - la confezione rigida e inutilmente enorme; tutto, della console SEGA, mi dà(va) un senso di grossolana potenza.

L’aspetto androgino della versione giapponese è stato sostituito da un maschio e nerboruto ghigno.

Non saprei come spiegarlo, esattamente, ma percepivo il Mega Drive come una sorta di “trattoria dei videogiochi”. Rubizza, spigolosa, un po’ grossolana, ma capace di non deluderti mai nel momento della fame. Questo “piatto” in particolare, Castelvania: Bloodlines, si è distinto per una storia bizzosa e a puntate. Essendo un giovane nullatenente ai tempi dell'uscita originale, ero solito affittare i giochi, per poter stare appresso all’invidiabile lineup della console Sega. Quindi ne presi per un paio di settimane la versione europea.

Castlevania: Bloodlines era libero dagli intrecci strutturali e dalle sperimentazioni ludiche iniziate con gli episodi su NES. Tra le caratteristiche principali del gioco, c’era un’orgogliosa linearità, che lo rendeva un arcadeone possente e perfettamente su misura per il Mega Drive.

Uno degli stage più iconici, con uno straordinario (per i tempi e per il Mega Drive) effetto di riflesso e distorsione dell’immagine.

C’erano due protagonisti diversi da utilizzare, un certo distacco narrativo dalla saga (nessun Belmont) e un’azione forsennata e dotata di grande ritmo. Ci si allontanava dalla Transilvania per girare il mondo e ogni stage era una piccola sorpresa in termini scenici. C’era, poi, questa regola non scritta che il gioco doveva far impallidire il Mode 7 del Super Nes; e quindi giù di zoomate, rotazioni, distorsioni e riverberi assortiti. Grazie a questo piglio, abbiamo avuto il famigerato livello con la torre di Pisa rotante e basculante. Più in generale, si avvertiva quella voglia di stupire anche con piccole deviazioni sul percorso, rese possibili dai due protagonisti diversi. Il sonoro, come da tradizione, era assolutamente fantastico e ricordo ancora di averlo registrato su musicassette (nonostante l'immancabile sound test), a sottolineare maggiormente il vecchiume che contraddistingue tutta la mia esperienza con Castlevania: Bloodlines.

Il classico livello “mischione“ ambientato in Italia, con la torre di Pisa protagonista di un bellissimo passaggio.

In seguito, ma questa è solo una sfiziosa postilla, scoprii che la versione giapponese del gioco, denominata Vampire Killer, era priva di censure. Solo allora, ravanando tra riviste varie, mi resi conto che la maggior parte delle creature verdi era in realtà rosa, e che tutto il sangue era stato ricolorato, alla bisogna, di celeste o di verde. Questo generò un furioso moto di rabbia in me e, quando seppi che la cartuccia americana era priva di censure, l’acquistai senza remore (o, meglio, le remore le avevo, visti i costi dei giochi importati, ma la comprai comunque). Ah, che bello ricordare l’innocenza con cui i fan erano pronti a giustificare ogni spesa assurda. Per Castlevania: Bloodlines, tuttavia, posso dire che ne è valsa decisamente la pena.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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