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Il grido gioioso di Thunder Force III | Racconti dall’ospizio

Il grido gioioso di Thunder Force III | Racconti dall’ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Non ho mai avuto contatti con il primo Thunder Force, che del resto uscì solo su improbabili computer nipponici mai sfiorati nemmeno con un bastone, ma probabilmente non mi avrebbe convinto: ho sempre preferito gli sparatutto a scorrimento orizzontale e Thunder Force aveva una visuale dall’alto che ti permetteva di muoverti in maniera completamente libera. Praticamente, era uno sparatutto 2D free roaming. Insomma, non avrebbe comunque fatto per me. E infatti, quando misi mani alla conversione per Mega Drive di Thunder Force II, non mi innamorai neanche di quella, perché alternava i livelli come piacevano a me a quegli altri sullo stile del primo episodio. Che poi, a ripensarci oggi, in realtà, mi sembrano interessanti, originali, quantomeno particolari, ma all’epoca mi lasciavano proprio perplesso e mi smarronavo abbastanza a cercare gli obiettivi da distruggere. A voler ben vedere, erano forse già i primi segnali di quanto, da adulto, i giochi open world mi avrebbero per lo più smarronato. Ma in fondo, a Thunder Force II voglio comunque bene e lo conservo con affetto sullo scaffale assieme agli altri, fosse anche solo perché il suo successo consolidò la serie e rese possibili i due episodi successivi, fra i miei giochi preferiti di quegli anni, forse di sempre.

E Thunder Force III, beh, fu tutt’altra cosa. Me lo ritrovai fra le mani con la potenza di una bestia fiammeggiante e me ne innamorai al volo. Aveva una forza, una carica, una violenza, un carattere che proprio mancavano al suo predecessore e forse le trovava proprio grazie alla scelta di focalizzarsi in maniera più costretta su una sola modalità di gioco. Conservava il sistema di gestione delle armi del secondo capitolo ma lo immergeva in uno sparatutto 2D dalla struttura, come detto, più allineata, trovando un ritmo, una pulizia, un tasso di sfida, un senso dello spettacolo clamorosi. Era, quantomeno per i miei standard dell’epoca – e non so se ho voglia di rimetterci mano per rovinarmi il ricordo – un gioco quasi perfetto. E, diciamocelo, il “quasi” ce lo metto più che altro perché poi uscì Thunder Force IV.

Eh, sì, se ne facciamo una questione di affetto, amore, ricordi, nostalgia, probabilmente voglio più bene a Thunder Force IV, che su Mega Drive Mini non c’è. Quella musica rockeggiante che ti sparava in faccia tutta la potenza dell’azione e che mi godevo collegando le cuffie alla presa sulla console, quel ritmo spettacolare, quella grafica fuori dal mondo e, forse, anche un po’ fuori dalle capacità di un Mega Drive che qua e là rallentava… Thunder Force IV aveva uno spirito cazzutissimo e adorabilie, completamente sfuggito alle pur gradevoli due uscite successive su Saturn e PlayStation 2. Era un gioco splendido, e gli voglio sicuramente più bene, ma forse, se devo mettermi qui a fare quello che prova a levarsi gli occhiali dell’amore e della nostalgia, era anche un gioco meno equilibrato o, banalmente, più facile.

Le bestemmie che mi fece tirare Thunder Force III, invece, ah! Non ho la minima idea di quanto io ci abbia effettivamente giocato, ma nei miei ricordi è “tantissimo”. Partite su partite su partite, fallimenti su fallimenti, i crediti che finivano e io che tornavo alla schermata del titolo con la coda fra le gambe. Ci giocavo con il pad, a Thunder Force III e a tutti gli sparatutto su Mega Drive, perché mi risultava più preciso ed efficace nella risposta ai comandi rispetto al Power Stick, cui pure volevo molto bene. A furia di rifarmeli, conoscevo ormai a memoria i primi quattro o cinque livelli, che affrontavo sempre nell’ordine pre-impostato, nonostante si potesse decidere da dove partire, perché sono malato in questa maniera. Li superavo senza pensarci un attimo, sì, ma quelli finali erano una fatica, una sofferenza, richiedevano riflessi e improvvisazione, perché la memoria non era ancora totale. Alla fine, però, un giorno ci riuscii. Dopo essere stato sconfitto tante volte dall’ultimo stage, dopo essere stato preso a calci in culo dal boss, riuscii a farlo fuori. Ricordo che era un pomeriggio ed ero a casa da solo, col volume della TV sparato a mille e il sudore sulla fronte, ricordo anche che, dopo la vittoria, tirai un urlo fortissimo accompagnato da, ehm, bestemmione, e ricordo che dal piano di sotto mi risposero urlando. Fu un bel momento. E poi era finita. E adesso?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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