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Don't Escape: 4 Days In a Wasteland, pixel in salsa postapocalittica

Don't Escape: 4 Days In a Wasteland, pixel in salsa postapocalittica

Rimango sempre stupito dalla trasversalità della pixel art nel mondo dei videogiochi. Sarà che su di me quella fatta bene ha un effetto sempre potente, ma potenzialmente qualsiasi genere può essere raccontato con i miei amati pixel, dalle avventure più scanzonate come Darkside Detective a quelle più horror come The Last Door, fino ad arrivare anche al genere survival (e non solo) come questo Don’t Escape: 4 Days in a Wasteland (che per semplicità del sottoscritto chiameremo Don’t Escape e basta).

Diciamo subito che il titolo di Scriptwelder è veramente un piccolo gioiello, che fonde ottimamente diversi generi. Sicuramente, quello che balza subito all’occhio è l’anima da tipica avventura punta e clicca. Ma andiamo per gradi, partiamo dalle basi. l protagonista si sveglia da un incubo angosciante ritrovandosi in una situazione a dir poco scomoda: il suo presente è un luogo desertico post apocalittico, desolato, disabitato, dominato dalla luna ormai spettata in più parti. Completa il tutto un vento costante, che alza sabbia e polvere.

Nei primi momenti di gioco, possiamo già notare alcuni aspetti che caratterizzano Don't Escape in maniera particolare. C’è, come dicevo prima, un forte aspetto da avventura punta e clicca. Come prima cosa, infatti, dobbiamo cercare di abbattere un muro combinando due oggetti che troviamo nelle prime schermate di gioco. Ma proprio mentre ci accingiamo ad abbattere quell’insieme di mattoni, ecco che veniamo messi davanti all’altro aspetto principale del gioco: la gestione del tempo. Ogni viaggio per la mappa pixellosa, ogni azione che necessita un po’ di forza o un po’ di astuzia, ogni passaggio un po’ impervio consumano tempo. In questi casi ci viene spiegato che, con il peso che portiamo in quel momento nello zaino, per compiere quella determinata azione, impiegheremo tot minuti. Siamo disposti a perdere tutto quel tempo per attraversare un ponte semidistrutto? O per rimettere a posto un’auto?

Normalmente, la risposta sarebbe sì, ma nel mondo desolato di Don’t Escape il tempo ha un valore importantissimo. Nella schermata, in alto a destra, è sempre visualizzato un orologio che ci ricorda quanto tempo manchi alla fine della giornata. Se sprechiamo troppo tempo, siamo costretti a rischiare di passare la notte all’addiaccio o di tornare velocemente in una casa sicura. Al contrario, se riusciamo a programmare le varie attività, possiamo avere più tempo per esplorare altre zone. Non c’è però solo il tempo a limitarci nelle nostre peregrinazioni. Lo zaino che ci portiamo appresso contiene l’inventario degli oggetti che troviamo e possiamo usare o combinare. Purtroppo, non solo lo zaino ha una dimensione limitata (scordiamoci quindi le liste infinite dei titoli Lucas dei tempi d’oro) ma ogni oggetto che trasportiamo ha un peso. Se proviamo a raccogliere qualcosa, anche di leggero, una volta raggiunta la portata massima, non possiamo farlo e quindi è necessario liberarsi di qualcos’altro, per poter portare via l'indizio di turno.

Il limite di oggetti da portare (compreso il fattore peso) e il tempo limitato (che ci viene scalato ogni qual volta compiamo un’azione particolare) sono aspetti che trasformano quella che poteva essere una semplice avventura grafica in un vero e proprio gioco di sopravvivenza. Se all’inizio Don’t Escape sembra un gioco abbastanza su binari, in realtà, si scopre in breve tempo che la libertà del giocatore di gestire le risorse è molto ampia e decidere di compiere questa o quella azione sta completamente a noi.

Tecnicamente, Don’t Escape è una gioia per gli occhi, soprattutto quelli dei vecchietti come me. Una splendida e ispirata pixel art ci accompagna fra terre desolate, palazzi crollati, zone misteriose e diverse sorprese che la bella trama del gioco ci fa scoprire a poco a poco.

Nulla da dire, invece, sul sonoro che commenta l’azione su schermo in maniera delicata ma forse un po’ troppo anonima. Anche in questo caso, il gioco è completamente in inglese e la conoscenza della lingua è abbastanza fondamentale, in quanto c’è diverso testo a schermo e per scoprire molti indizi, o trovare particolari soluzioni, è necessario capire bene cosa ci venga proposto dal gioco

Fosse per me, il mercato videoudico sarebbe pieno zeppo di titoli così, con quadretti enormi ma un’anima e una bella trama, invece di giochi super pompati che durano duecento ore che ma alla fine, dopo averli completati, lasciano poco o niente. Don’t Escape: 4 Days in a Wasteland è veramente un gran bell’esempio di cosa si può fare con tanta fantasia e un pizzico di originalità.

Ho giocato a Don’t Escape: 4 Days in a Wasteland grazie a un codice Steam inviatoci degli sviluppatori. Ho scoperto i segreti di questa terra ormai devastata in circa sette ore, prendendomela molto comoda. Come detto, il gioco è in inglese e si gioca in maniera molto intuitiva. utilizzando praticamente solo il mouse. Don’t Escape: 4 Days in The Wasteland è disponibile solo tramite download su PC.

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