Outcazzari

Metti un cyborg nel motore aka Derive siderali eventuali

Metti un cyborg nel motore aka Derive siderali eventuali

Fa freddo.

Sono le 2:52 di un anonimo Martedì sera di dicembre.

Oggi la caldaia del mio mini appartamento ha avuto un ultimo, fatale sussulto, prima di morire definitivamente. Ora fa freddo in tutto l’appartamento. La piccola fiammella è ormai spenta, defunta, morta, kaputt.

Fa così freddo che sto pensando che il prossimo step sarà l’ipotermia. Il tecnico mi ha detto che è andata in blocco, a volte alle caldaie vecchie (2016) succede. Non mi ha fornito ulteriori spiegazioni, l’uomo della caldaia. Mi ha solo detto di lasciarla spenta che poi ci pensa lui. In tempi normali avrebbe risolto il problema in poche ore, avrebbe inforcato il suo furgoncino color mocaccino cinese con quella orrida decalcomania stampata a lato, e scrostata dalle intemperie, e mi avrebbe raggiunto in un batter d’occhio. In tempi normali.

Chiaramente il passo successivo sarebbe stato il classico salasso natalizio:

- “eh sa le feste” - “eh sa è Natale” - “eh sa, si attacchi al cazzo” -

Ma questi non sono tempi normali. Questi sono tempi piuttosto particolari a dirla tutta. Sì, definiamoli particolari. Sono coperto fino ai piedi, indosso una tuta sopra i pantaloni, sono davvero un bel figurino. Se non tenessi più alla mia intimità rispetto alla mia dignità, allegherei pure una foto.

Eppure sento un freddo così pungente che mi scartavetra fin dentro le ossa. Una metà del mio corpo è calda e confortevole, l’altra fredda e poco responsiva. Non ti rendi conto di quanto conti la tecnologia nella tua vita finché non viene a mancare. La cosa più bizzarra di tutta questa storia è questa condizione mi pone dinnanzi a diverse considerazioni notturne. Pensieri fugaci, deliranti, quelli che di solito diventano corpus di orride prefazioni di quegli scrittori impegnati come Fabio Volo. Forse stanotte scrivo solo per me e per le mie dita.

Cyberpunk? Nope, Covid19

Cyberpunk? Nope, Covid19

Da qualche tempo non riesco più a distinguere la realtà dai videogiochi. O, meglio, ne ho una percezione, ma è assai più sfumata rispetto a prima.
Bloccato a casa da una pandemia di carattere globale, costretto alla fruizione di film tramite streaming e non al cinema, obbligato a incontrare amici e parenti attraverso chiamate video rigorosamente da smartphone, o tramite Skype; mai dal vivo, mendicando un abbraccio da mia madre quando la vedo.
Qualche mese fa ho giocato a un videogioco - un grande videogioco, per inciso - che narrava dello sgretolamento della razza umana e di quello che restava dei loro sentimenti; mi riferisco a The Last of Us 2. Quando l’ho giocai non avevo la rete, la mia fruizione è stata rigorosamente solitaria e offline. La natura si era accanita su una centralina e aveva fritto cavi. Ero staccato dai social, dalle pagine, dai gruppi, dai forum, da Twitter, da Instagram, da Whatsapp, Telegram… Da tutto, per farla breve. Credo che fu, tutto sommato, un’ esperienza piuttosto genuina e alquanto peculiare, che per inciso mi ha permesso di restare coinvolto nel gioco come pochi altri di noi. Non avevo bisogno di esternare nulla del resto, non avevo necessità di scrivere impressioni o condurre piccole e insignificanti guerre nei soliti commenti, non dovevo convincere nessuno della bontà del gioco di Naughy Dog, non dovevo controllare niente, non c’erano notifiche da visionare, commenti a cui rispondere, non c’era niente di niente. Credo che se ne sia parlato su Outcast, so che da queste parti sono sempre ben disposti, riguardo The Last of Us.

Non potevo onestamente aspettarmi qualcosa di meglio, lo dico sinceramente.
L’ esperienza è stata tra le migliori degli ultimi dieci anni; la metterei appena dopo quella con The Witcher 3. Ma non potevo fare a meno di interrogarmi su come la mia realtà si stesse assottigliando sempre di più. Un lato di me era incredulo rispetto a quanto stava succedendo. Stavo giocando sostanzialmente con gli eventi di una umanità flagellata da una post pandemia. Nel mondo reale, la gente moriva. Nel mio videogioco, la gente moriva. Mi sentivo in colpa, dico sul serio. Mi sentivo uno stronzo. Se qualcuno giocherà The Last of Us 2 nel 2030, se saremo ancora vivi come razza umana intendo, probabilmente non capirà nemmeno lontanamente a cosa mi riferisco ora. O magari, siccome non sono affatto ottimista, è probabile che non ne saremo fuori nemmeno nel 2030. La famosa quarta parete, avete presente? Quella di Metal Gear Solid, quella di Kojima… C’è un bel buco su quella parete adesso. Quando Psycho Mantis ci leggeva la memory card c’era una frazione di secondo di incredulità che ci accompagnava, sicuramente ve ne ricorderete. Per cinque secondi non realizzavi esattamente cosa stesse succedendo. E quando faceva muovere il controller, poi?

La trovassi quella porta, schizzato di merda

La trovassi quella porta, schizzato di merda

Ebbene quello spazio si sta assottigliando sempre di più. Tra un paio di giorni uscirà Cyberpunk 2077, l’ennesima fatica dello studio polacco più famoso di sempre ad eccezione di Polskie Filmy Porno. Quando leggerete queste righe, se le leggerete, probabilmente lo starete già giocando, nella più fortunata ipotesi che consegne, corrieri, ordini e negozi funzionino correttamente. Non è mia intenzione ammorbarvi con una recensione, tranquilli. Stavolta è diverso, è brain fusion.
Noi stiamo già percorrendo l’epoca in cui era ambientato il gioco di ruolo cartaceo, Cyberpunk 2020, e tra pochi giorni, separati da una febbrile attesa, giocheremo alla versione 2077, che sposta di diverse decadi in avanti un’ambientazione che già era piuttosto disperata e sfigata di suo, a dirla tutta. Siamo già fottuti da un mondo che ci sta disintegrando lentamente ma inesorabilmente, e sognamo non solo un futuro ancora più deprimente, ma ci esaltiamo al solo pensiero di viverlo in un videogioco. Mi pare persino giusto, per certi versi. Quel trombone di Pondsmith ebbe modo di dire, qualche anno, fa una frase che mi colpì parecchio, in occasione dell’uscita del gioco le redazioni di mezzo mondo scrissero che era una dichiarazione relativamente nuova, invece era vecchia, vetusta:

Cyberpunk era un avvertimento non un’ aspirazione.
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Circa 30 anni fa, a Santa Cruz, in California, un uomo di nome Mike Pondsmith pronunciò una profezia per l'allora lontano futuro: l'anno 2020. Era un futuro brulicante di tecnologia. Ha immaginato vertiginosi venti di dati del cyberspazio che spazzavano vite inermi, giganteschi schermi olografici che schiacciavano la popolazione, macchine della metropolitana alimentate a grano dalla bioingegneria e, ovunque si guardasse, il bagliore di occhi cibernetici policromi. Nel suo futuro, parte della popolazione soffrì di un'afflizione che chiamò "tecnoshock", un'incapacità di far fronte alle incursioni della tecnologia nelle loro vite, l’impossibilità di staccarsi dalla rete. Ora guardami negli occhi e dimmi che tutto questo non si è avverato

Mi spiace, Mike, ma mi sa che non abbiamo capito un cazzo del tuo gioco.

Il tuo mondo, anche se non era qualcosa da desiderare, era troppo ammiccante da non essere desiderabile. Volevamo esserne consumati. È più il tuo futuro sarà disperato e dalle tinte fosche, meglio sarà per noi. Ora venitemi a dire che tutto questo non lo trovate almeno un filino paradossale. Sperare in un futuro ancora più oppressivo, ancora più vincolato alla tecnologia, ancora più deferente nei confronti di essa, fino ai massimi stilemi concepibili. Un mondo freddo e asociale. Privato del calore umano. Un mondo completamente ed emozionalmente sterile.

Nel lontano 1988, quando R. Talsorian Games pubblicò l'originale Cyberpunk, il genere nel suo insieme conservava ancora il fascino seducente dell'hardware scintillante. Nei romanzi, nei film, nei fumetti e in altro ancora, gli artisti attingevano dall'entusiasmo e dalle ansie per i nuovi e coraggiosi mondi del secolo di intelligenza artificiale, cyborg, videogiochi e Internet. Il nonno del movimento, lo scrittore William Gibson, era affascinato dal modo in cui il sistema nervoso dei giovani sembrava interagire con i videogiochi arcade. Non sorprende che leggere il technobabble psichedelico del suo romanzo di debutto (Neuromancer) sia come avere il cervello ricablato essenzialmente. Ma il genere non suggeriva che la tecnologia avrebbe risolto tutti i mali morali e sociali del mondo, per niente. Ha delineato invece una visione distopica in cui la tecnologia onnipresente era un fantastico strumento di distruzione e oppressione, e l'hacker dalle dita agili un fuorilegge guerriero che combatteva forze corrotte di stati alla deriva, ormai consumati e derelitti. La stessa parola “hacker” sembra portare con sé un soffio di ribellione punk, la sua sottintesa raffinatezza, in contrasto con una denotazione di smashing-culture e recisione totale della legge. Alla fine, quello che era iniziato come un movimento letterario sembrava un movimento sociale, una controcultura digitalmente esperta che voleva cambiare il mondo.

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Ultimamente, il genere è stato riavviato, per così dire, da serial TV di successo come Black Mirror, Westworld, Mr. Robot, Upload e Altered Carbon; film come Upgrade, Ghost in the Shell, Blade Runner 2049 e Alita - Angelo della battaglia, oltre a innumerevoli altri media che offrono la loro opinione sullo scontro tra tecnologia e natura umana. C’è un certo interesse di recuperare una visione vagamente cyberpunk in quest’epoca. E non c'è da stupirsi. Nelle notizie e nelle strade, non è dunque questo il mondo immaginato dai progenitori del cyberpunk? App strabilianti che minano le nostre menti in cerca di dati; “hacktivisti”, terroristi informatici, robot che seminano divisioni; Big Tech che monitorano i nostri movimenti; per esempio la società di riconoscimento facciale Clearview AI che setaccia le nostre foto sui social media.

Gran parte del 2020, ammette candidamente Pondsmith in un’intervista, si sentirebbe come a casa nelle pagine di un sourcebook di Cyberpunk 2020. Le sue prime visioni, guarda caso, presentavano anche una devastante piaga aerea e cieli rosso sangue. Le proteste di Black Lives Matter sembrano pericolosamente vicine a diversi eventi dell’ambientazione di Cyberpunk 2020 quando il governo americano chiede a potenti corporazioni con eserciti privati di occuparsi degli ultimi cittadini del loro stato, che occupano le loro preziose periferie da cementificare con immensi parcheggi e centri commerciali. I senza tetto, i poveri, i neri, gli emarginati, gli ultimi, danno fastidio all’ombra delle loro scintillanti torri di avorio che regalano sogni ed emozioni via wi-fi.

Mentre le proteste infuriavano in tutto il paese, egli disse:

“Penso che il cyberpunk sia in molti modi un'articolazione di questa frustrazione".

Ed era fottutamente vero. Pensate solo a come le immagini dei pestaggi, delle sommosse, delle angherie subite, grazie esclusivamente alla tecnologia viaggiavano da un server all’altro, rimbalzando da Youtube a Twitter, da un canale all’altro, senza sosta. Mostrando a tutti la verità - unica e sola - ovvero che eminenze grigie cercavano saggiamente di mascherare e dipingere come tafferugli sparsi e assai poco incisivi. Dimenticando che alla rete non puoi sfuggire e, ancor più importante, la rabbia, se opportunamente veicolata, può costruire un mondo migliore. Ma come previsto perfettamente dal cyberpunk, alcune tecnologie sono diventate potenti strumenti di contro-sorveglianza. I manifestanti hanno crittografato testi, e fotografie rese anonime, sintonizzato su feed audio in diretta su app di scanner della polizia per smartphone oppure, nel caso dei disordini a Hong Kong dello scorso anno, hanno puntato laser su telecamere di sorveglianza e agenti di polizia. Gli hacker hanno dirottato le frequenze radio della polizia; hanno ottenuto ben duecentosessantanove gigabyte di dati delle forze dell'ordine, inclusi rapporti di polizia e FBI, che un gruppo noto come Distributed Denial of Secrets ha pubblicato sul proprio sito web. A Febbraio, i titoli hanno annunciato la creazione di un braccialetto ultrasonico dall'aspetto cyberpunk che avrebbe consentito agli utenti di bloccare i microfoni negli altoparlanti intelligenti. Con lo scoppio dei disordini civili, però, furono utilizzate anche potenti tecnologie per monitorarle e reprimere i manifestati (IMSI-catcher) La dogana e la protezione delle frontiere degli Stati Uniti hanno sorvegliato i manifestanti con droni militari. Gli attivisti temevano che la polizia stesse utilizzando la tecnologia di riconoscimento facciale intercettando le comunicazioni degli smartphone con dispositivi, definiti “stingray”, che imitano il classico ripetitore.

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Fanculo chombatta.

Magari dovrei solo godermi il gioco, lasciar perdere tutto quello che riguarda questo semplice “videogioco” e divertirmi come molti altri, sono certo che lo faranno, staccando il loro neural-warez come al solito. Sinapsi down e via. Eppure, vi dirò che io non ci riesco proprio benissimo, a questo giro. Mi sento come un rigattiere dello sprawl che collezione VHS, o come qualcuno che predica che quello che vogliamo vivere ad ogni costo, è concettualmente dannatamente sbagliato. Non è che dopo aver letto Gibson, Sterling e Bethke, non riesco a fare un sorrisone a quaranta denti e pensare a quanto possa essere figo avere un chip dentro al cervello con tutta la mia discografia preferita, o di quanto sia effettivamente gustoso vivere in una baraccopoli in mezzo ai topi, sotto una spietata omni-corp (beh insomma…). No, ci mancherebbe. Non fraintendetemi, non sono così stronzo. Tutti sognano una virtual fidanzata come quella di Blade Runner 2049, quando ti rompe i coglioni la porti sulla veranda e si freeza debbotto.

Che pellicola sublime. Verrà capita, tra  vent’anni anni. Forse.

Che pellicola sublime. Verrà capita, tra vent’anni anni. Forse.

Il problema, se di problema si tratta, è che il mio cervello, sempre più inadatto ad elaborare la realtà che ci circonda, riceve scariche continue e non ci sta più troppo dentro. La pseudo-realtà si frappone al mondo della irrealtà-reale e non riesco più a distinguere esattamente cosa succede intorno a me. Peggio ancora, non riesco a staccare la spina da tutto questo, se non con drammatiche conseguenze.
Ieri sera ho passato la serata a trollare la virtual streamer Angel Ai: ci sono i miei commenti in chat che lo testimoniano.
Cioè, ricapitoliamo, forse non avete realizzato.
Ho passato la notte, assieme a più di ottomila scoppiati like me sparsi dalle Indie al Minnesota, dallo Sri Lanka alle Maldive, a trollare selvaggiamente una performance ludica di una Vtuber che giocava a Detroit: Become Human. Un avatar virtuale gestito da una A.I che gioca ad un gioco con una A.I tentando di dimostrare a un pubblico in carne ed ossa (fino a prova contraria) che sta empatizzando con i droidi del gioco di Cage. Wow. Angel si beccava pure il finale peggiore, ma nonostante questo era più reale e interessante di dozzine di streamer-girl in carne e ossa. Ad un commento mi ha pure risposto stizzita dicendomi “Guardami GMC, il tuo joke sugli androidi non mi sta facendo ridere” (Look my face. You joke. Funny indeed). In soldoni era la cosa più tremendamente cyberpunk che mi potesse succedere, se ci pensate. Chattare con una Vtuber e guardarla giocare. E commentare pure.

Torniamo a Cyberpunk 2077.

Se c’è qualcosa che mi fa riflettere su tutta questa storia, è di come fruiremo di questo gioco. Chiusi, spaventati, stipati, timorosi, come perfetti tossici dello sprawl nelle nostre camerette; indifferenti per la maggior parte da quello che c’è fuori ma pronti a spararsi in vena un po’ di SMASH o MORTE NERA (due popolari sostanze stupefacenti di Cyberpunk 2077). No, magari non indifferenti. Solo irrimediabilmente stronzi. Pronti a commentare sui social con indefesso sarcasmo allegando un goliardico meme a qualche amico per percularlo. È un povero stronzo quello che vorrebbe un dicembre “classico”. Un povero illuso. Noi siamo pronti a sciorinare feroci meme contro chi vuole il maglione della nonna, il libro passato di terza mano della zia, il panettone di marmo del cugino. Eppure tutte queste stronzate non ci rendono, alla fin fine, più umani?

-“Salta la festa con i parenti.”
-“Niente cenone.”
-“Niente capodanno.”

- Eh, pazienza, almeno giochiamo a Cyberpunk 2077.”

Qualche mese fa mi è capitato di discutere con alcuni futuri appassionati al gioco di CD Project Red sulle tematiche che saranno probabilmente esposte, e ho riscontrato diverse inaspettate resistenze.
Fino a qualche anno fa c’era persino confusione sull’etimologia della parola “cyberpunk”. Quindi non mi stupisce più di tanto, a dirla tutta, che quella parola sia stata persino affibbiata a Gibson, quando in realtà il suo habitat è il cyberspazio. Neuromante, sì, ma non certo cyberpunk. Mi ricordo distintamente che alcuni amici/interlocutori definirono noiosa la storia ideata da Mike Pondsmith una volta che terminai il racconto. Non so cosa si aspettassero esattamente, ma dopo la mia lunga esposizione raccolsi inaspettati segni di dissenso o perplessità:

“Tutto qui?”

“Onestamente, mi aspettavo di meglio.”

“Pensavo ci fosse qualcosa di più… Come dire? fantascientifico.”

Già. Hanno ragione, tutto sommato. Siamo sempre troppo proiettati verso una concezione di futuro distopico per accettare una storia blanda come quella di Cyberpunk 2020/2077. Probabilmente si fa fatica ad accettare una storia che ci viene spacciata come fantastica ma che invece, piano piano, sta perdendo contatto con la stessa fantasia che l’ha generata, dimostrandosi invece sempre più realista a conti fatti. Cyberpunk 2077 è ambientato in un futuro troppo prossimo, distopico, in mezzo a un’immaginaria città californiana di nome Night City, dopo che il suo fondatore, Richard Night, ha fatto una brutta fine. Tra allora e oggi, gli Stati Uniti hanno subito un vasto collasso socioeconomico che ha lanciato increspature in tutto il mondo, gettando nel caos l'intero pianeta, sì, ma soprattutto l'Occidente.

Il governo indebolito degli Stati Uniti, che nemmeno riesce a dichiarare chi sia esattamente il presidente regolarmente eletto, ha solo mantenuto l'ordine con l'aiuto di un certo numero di mega corporazioni e potenti società finanziarie, alcune delle quali possono sembrare molto familiari: colossi dell’informazione, di armi, dell’acqua, dell’energia, dei farmaci.

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Tutto, nel mondo di Cyberpunk 2020, inizia ad andare a puttane nel 1990, quando gli Stati Uniti intervengono (ovviamente disastrosamente, come loro solito) in una guerra contro i narcos del Centro America. Questo, insieme al rilascio di pestilenze sviluppate dagli Stati Uniti contro le piante medicinali, alimenta il sentimento anti-americano tra i potenti cartelli centro americani della droga. Con il sostegno dell'Unione Europea, che è molto più competitiva in questo universo alternativo di Pondsmith (a quel livello di aggro ci siamo arrivati soltanto negli ultimi tre anni) questi cartelli perseguono una selvaggia guerra alla droga in tutte le Americhe.

Nel 1993, riescono persino a far detonare un piccolo ordigno nucleare a New York, uccidendo decine di migliaia di persone. Quello ci manca, per il momento. Le cose peggiorano nel 1994 con un massiccio crollo del mercato azionario globale che colpisce gli Stati Uniti più duramente, causando disoccupazione diffusa e senzatetto. Un incidente nucleare a Pittsburgh guida la migrazione interna, così come una siccità nel Midwest, che porta a una crisi alimentare senza precedenti. L'azienda agricola di famiglia, una piccola realtà a stelle e strisce, viene essenzialmente spazzata via, e conseguentemente le grosse aziende arrivano a controllare tutta l'agricoltura americana. Le esportazioni alimentari verso il resto del mondo cessano, il che ovviamente causa i suoi problemi. Nel 1996, il presidente e il vicepresidente vengono assassinati e i frammenti del governo federale degli Stati Uniti - NSA, CIA, FBI e DEA formano la "banda dei quattro" e si uniscono per promuovere i propri interessi.

Le bande criminali sono stabilite o incoraggiate in tutto il paese - una di loro, i Bloods, prende il controllo quasi totale di Miami. L'autorità esecutiva viene passata ai ranghi del segretario alla difesa, che sospende la costituzione e dichiara la legge marziale. Ormai un americano su quattro è senzatetto, il che porta alla nascita di bande nomadi in stile Mad Max. Nel corso degli anni successivi, le fuoriuscite tossiche al largo della costa di Seattle devastano nuovamente l’economia. Un terremoto di 10,5 grado sulla Scala Richter fa esplodere Los Angeles. Le tensioni in Medio Oriente si intensificano fino ai termini nucleari, riducendo gran parte della regione a scorie radioattive e dimezzando la fornitura mondiale di petrolio. Diversi stati si separano dagli Stati Uniti, tra cui la California, seguono rappresaglie, uccisioni, attacchi terroristici, “Cani e gatti assieme” (non ho resistito…).

Il potere delle Mega Corp è cresciuto in tutto il mondo sovrascrivendo quello dei singoli stati, mentre le aziende sfruttano le opportunità create da questo caos. Le corporazioni hanno addestrato i loro eserciti già nel 1997, e il governo degli Stati Uniti, indebolito, non ha altra scelta se non rivolgersi a loro per chiedere aiuto per contenere le bande di nomadi, narcos e teppisti che dilagano in tutto il paese. Le Megacorp prendono il controllo dalla situazione, e diventano più forti. I governi di tutto il mondo - e specialmente negli Stati Uniti - sono quindi impotenti nel prevenire una serie di guerre aziendali.

Insomma adesso hai un'idea di quello a cui andremo incontro nel gioco.

Nel gioco?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Keanu Reeves, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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