Outcast GOTY 2016
Eccoci qua, anche quest'anno pubblichiamo il nostro giga-articolone in multiplayer firmato da chiunque passasse di qui e c'avesse voglia, per raggruppare quello che secondo noi (e secondo loro) ha rappresentato il meglio della produzione videoludica mondiale. Ma quest'anno c'è una novità. Anzi, ce ne sono due! L'abbiamo fatto anche per film e serie TV, quindi ci rileggiamo domani e dopodomani per coprire quei due fronti. Oggi, però, si parla di videogiochi e lo si fa assieme a un sacco di bella gente. Oddio, proprio tutta tutta bella, magari, no, ma insomma, è quel che passa il convento.
Buona lettura e buon anno!
Ferruccio Cinquemani
No Man's Sky, perché OK, DOOM è piú divertente e pare fatto dalla Nintendo di una dimensione alternativa. E The Witness è intelligenza pura, con strati di significato e momenti genuinamente commoventi nella loro freddezza. Però DOOM è anche uno sparacchino metallaro e The Witness ha l'arroganza di quelli che rispondono "filosofie orientali" quando gli chiedi che hobby hanno. No Man's Sky non è divertente come DOOM e non ha un decimo della solidità del design di The Witness. E però, per una manciata di preziosissime ore, mi ha fatto sognare. Ero in una copertina di Urania, ero un esploratore spaziale di un futuro che non ci sarà più, ero un pellegrino che deve scavarsi un buco nel terreno a colpi di pistola per ripararsi da una tempesta radioattiva. Ero un botanico e un biologo quando nuotavo fra pesci alieni sotto un cielo violaceo. Ero un interloper quando scoprivo monumenti alieni, con i loro frammenti di mitologie altre. No Man's Sky è una macchina da corsa tenuta assieme con lo spago e il nastro adesivo, ma se oggi ci metto dieci minuti a capire quali sono i limiti di ogni gioco che inizio, No Man's Sky mi ha riportato per qualche ora a quella sensazione da bambino di otto anni, quando i videogiochi sono magici perché non sai cosa possono e non possono fare. E i frignoni delle recesioni su Steam possono andare a sucare forte.
Marco Mottura
The Last Guardian, perché semplicemente alla fine, nonostante i ritardi, i casini, gli sbattimenti e tutto quanto, ne è valsa enormemente la pena.
L'ultima fatica di Ueda, per quanto mi riguarda, è qualcosa di veramente sensazionale, e quelli che si mettono a sindacare sulla telecamera o altre cagate in un'esperienza del genere (qui è proprio il caso di usare il termine "esperienza", secondo me), per poi bollare il tutto come gioco discreto o forse meno, devono fare una sola cosa: cambiare hobby, perché evidentemente hanno perso il contatto con la magia dei videogiochi e non sono più in grado di vedere al di là del loro naso. Mi dispiace sinceramente per quelli che non sono riusciti a godersi un capolavoro simile, e lo dico senza provocazioni.
Fumitone mio, è stata dura - che poi, diciamocelo, ma come cazzo pensavi che certa roba potesse anche solo vagamente uscire su PlayStation 3? - ma hai fatto ancora una volta centro: ricorderò The Last Guardian negli anni a venire, perché, di nuovo, in quelle colossali architetture abitate solo dal vento, io ci ho lasciato un pezzetto(ne) di cuore.
PS: non posso non menzionare anche DOOM - quanta bellezza, quanto gameplay e quanta ignoranza, con una sopraffine dose di metallo e di satanismo! - e soprattutto Thumper, che fino al giorno prima dell'uscita di The Last Guardian era il mio GOTY assoluto. Voglio dire, si parla del Fury Road dei rhythm game: se non lo avete ancora fatto, recuperatelo (possibilmente in versione VR), perché c'è uno scarabeo cromato che vi aspetta per trascinarvi in un turbine audiovisivo da incubo.
Stefano Talarico
SUPERHOT, perché è il miglior sparatutto dell’anno, il miglior indie dell’anno, la migliore storia-in-un-videogioco dell’anno, probabilmente è anche il miglior puzzle dell’anno. SUPERHOT reinventa la ruota e lo fa nel modo più fico possibile.
Premio Calcaterra™ per l’azzeramento della voglia di vivere: I giochi a episodi. In principio fu The Walking Dead. Bello, interessante, toccante, gran bello. Aggiungeteci che ebbi il culo di giocarlo in due sessioni lunghe sotto Natale, dopo averlo acquistato ai saldi di Steam, e d’un tratto l’entusiasmo di tutta l’industria videoludica per la formula episodica mi sembrava giustificato e condivisibile. Tre anni dopo, nonostante Telltale si sia accaparrata i diritti di sfruttamento di novemila IP per farne serie videoludiche a episodi, il miracolo di Clementine non si è ripetuto e, anzi, spesso e volentieri ci siamo trovati di fronte a giochi tra l’insipido e il mediocre, con l’aggravante che tra un episodio e l’altro passavano ovviamente i mesi, mica una settimana scarsa. Certo, si può sempre ovviare al problema aspettando la fine della serie, come ho fatto io con The Walking Dead: Michonne… ma, ehi, Telltale è talmente impegnata a realizzare STOCAZZO™: a Telltale Game Series che il gioco scatta come la merda e neanche funziona per intero, e non c’è nessuno intenzionato a fare qualcosa per rimediare. E non fatemi parlare di quegli stronzi di Kentucky Route Zero, che tra un episodio e l’altro ci mettono quasi due anni. Andate a fanculo.
Vincenzo Aversa
Mafia III, perché un pochino mi affeziono sempre a quelli a cui nessuno vuole bene e perché Mafia III, nonostante quella folle struttura (più ripetitiva che noiosa, a dire il vero), è un gioco che sa ancora raccontare una storia. Una storia con un protagonista di colore sfregiato in volto, innaturale anche nell’aspetto,sicuramente non bello come si conviene ad un protagonista di un videogioco, che insegue la sua vendetta accecato dall’odio e senza preoccuparsi mai davvero del denaro che è costretto ad accumulare. Mafia III si è preoccupato poco di piacere e alla critica non è piaciuto, ma è molto più di quanto vi hanno lasciato credere.
Marco Calcaterra
The Witness è senza ombra di dubbio il mio gioco dell'anno: pochi, pochissimi giochi mi hanno spinto a prendermi intere giornate dal lavoro pur di continuare a giocarci in maniera incessante. Impossibile spiegare a parole cosa renda l'ultima opera di Jonathan Blow un capolavoro assoluto senza incorrere in spoiler: l'unico mio consiglio è quello di giocarci fino alla fine, se non addirittura di "platinarlo". Game design ai massimi livelli, cura nella realizzazione dell'ambiente di gioco semplicemente maniacale. Una pietra miliare.
Andrea Giongiani
XCOM 2. Lo ho finito solo una volta, come il suo predecessore, in fondo. A differenza dei capitoli originali non ci ho mai trovato la magia del “voglio rigiocarlo”. Ma al tempo stesso, l’intensità delle emozioni e il puro senso di soddisfazione sono stati oltremodo epici. Il nome degli operativi, immaginarsi le loro storie. Le interazioni tra loro, le dinamiche di gruppo. Avevo una cecchina brutta come la fame e con un nome orrendo e mi immaginavo che impallinasse gli alieni per sfogare la sua rabbia. La Ranger me la immaginavo una “butch” del sud degli Stati Uniti, cresciuta tra armi e cavalli e lesbica come poche. Era la mia “donna” di punta, fino a quando non ho addestrato la psionica, che nella sua prima operazione ha sterminato un gruppo di Muton in maniera a dir poco epica. Da li in poi mi sono immaginato una forte rivalità tra le due, mista a tensione sfogata nelle camerate con buona pace del resto delle soldatesse. Si. Tutte femmine, che cavolo. Ultima missione epica in cui la Ranger ho pensato volesse riscattarsi e ha ucciso da sola, senza aiuto, due dei tre boss. Lei, non il superpersonaggio che ti danno alla fine. Che donna.
Fabio Di Felice
Dark Souls III perché è il punto di arrivo di un discorso iniziato un bel po' di anni fa. In senso letterale: le citazioni al primo capitolo si sprecano (tanto da aver infastidito più di un giocatore per il fanservice), le meccaniche sono tarate alla perfezione.
Sarà difficile far dire qualcos'altro a questa saga, diventata popolare nonostante le premesse di nicchia, dopo questo terzo capitolo.
Alessandro De Luca
Ci metto, in ordine sparso: Dark Souls III, perché mi ha ridato le impressioni e ri-preso come aveva fatto Demon's Souls.
Enter the Gungeon, perché è una piccola perla di game design e giocabilità, nonostante abbia la costanza e capacità di padroneggiarlo come merita.
Overwatch, perché c'è dentro tantissima roba nuova e vecchia rimescolate in modo interessantissimo e fresco e coinvolgente.
Giuseppe Colaneri
Ce ne sarebbero almeno cinque in lotta tra loro, ma alla fine scelgo Overwatch. Perché gli altri outcazzari nomineranno gli altri. Perché, a distanza di mesi, sa appassionarmi ancora come il primo giorno. Perché è incredibilmente curato e ricco di dettagli per essere un semplice "sparatutto online", ha un sound design magistrale ed è fantastico tanto per una mezz'ora di scazzo, quanto per settimane di nerdaggio duro. Perché è adatto ad ogni tipo di giocatore, funziona pure su console e su PC è ottimizzato così bene che gira pure sulle scassarole. Perché Overwatch è buono qui, è buono qui.
Natale Ciappina
Sarà l'età che avanza, ma più passano gli anni e meno roba riesco a giocare. Quest'anno, ad esempio, ho completato pochissimi titoli, che si riducono ulteriormente se li restringo a quelli usciti durante il 2016; in questa cerchia ristretta, il gioco che più è riuscito a catturarmi è stato DOOM. Un gameplay fresco e galvanizzante, per un gioco che riesce a mantenere i legami col passato, e non risultando di contro vetusto o anacronistico. Se a ciò aggiungiamo una campagna bella intensa, rigorosamente offline, e un disco dei Mastodon a fare da sottofondo (nonostante una OST comunque più che buona), ecco che mi si materializza davanti il mio Game Of The Year del 2016.
Andrea Maderna
Il mio gioco preferito del 2016 fra quelli usciti nel 2016 è Oxenfree. È un giochino piccolo piccolo ma adorabile, che punta tutto sulla narrazione (del resto l'ha creato gente fuggita da Telltale Games) e immerge in un mondo, una storia, un'atmosfera che paiono usciti per direttissima dal film Amblin che sarebbe venuto fuori se ne avessero affidato uno a John Carpenter. Poi, certo, come al solito, la mia è una scelta che lascia il tempo che trova, perché gioco a quel che capita e non mi impunto a giocare subito ai pezzi grossi dell'anno, but still.
Alessandro Di Romolo
Non giocavo a dieci titoli usciti nello stesso anno da quando andavo al liceo, credo. Per quanto la mia voce sia meno autorevole degli altri outcazzari che hanno firmato questo articolo e che sicuramente ne capiscono più di me, sento di poter dire la mia senza dire troppe cazzate.
I due giochi che più mi hanno appassionato sono stati senza dubbio The Witness e The Last Guardian: due opere di enorme atmosfera, che ti fanno sentire un po' più intelligente di quanto tu sia in realtà e che hanno dato un senso al tasto Share sul pad della PS4, offrendo scorci mozzafiato. Direzione artistica alle stelle ed emozioni difficili da spiegare a go-go. Capisco il punto di vista di chi ha visto peccati di sicumera nel primo e sofferto i problemi tecnici del secondo, ma non lo condivido: per me sono tali benedizioni per il medium che tutto il resto non conta.
Danilo Dellafrana
Il mio GOTY? The King of Fighters XV, senza pensarci un secondo. Dopo un quinto Street Fighter bellissimo ma pubblicato in comode rate, l'abbuffata di personaggi e modalità del nuovo torneo targato SNK mi ha chirurgicamente saldato all'arcade stick. Una nuova partenza per la serie, forte di un cast ricchissimo e meccaniche solide ma allo stesso tempo accessibili. Certo, la veste poligonale forse non piacerà agli irriducibili del pixel, ma chi se ne frega, quando il gioco riesce a restituire in modo tanto convincente il sapore della SNK anni Novanta? Senza contare che ho ricevuto la promo all'inizio di agosto, con largo anticipo. La migliore estate della mia vita, altroché!
Davide Moretto
Project Trico era stato annunciato quando ancora non ero padre, figuriamoci, e da amante di Shadow of The Colossus, ho sempre guardato al gioco di Fumito Ueda un po’ come ad una cosa bellissima che poteva esistere solo nei nostri sogni. E invece Sony ha ripreso le redini del progetto ed è riuscita a farlo uscire. Pur essendo stato un anno molto buono, per i videogiochi in generale e per Sony in particolare, The Last Guardian vince su tutti gli altri titoloni usciti nel 2016 perché riesce, ancora una volta, ad essere un mondo a se. In The Last Guardian non ci sono armi, non ci sono icone a schermo, ci siamo solo noi e Trico (e, OK, qualche altro simpaticone) e la nostra avventura. The Last Guardian è una cosa bellissima e sono veramente contento che sia riuscito ad ucire. Visto il risultato, sarebbe stato un peccato, se fosse rimasto solo un’idea nella testolina di Ueda.
Lorenzo Baldo
Nell'arco di quest'anno, c'è stato un solo gioco che ha saputo monopolizzare il mio tempo libero, assumendo i connotati di una magnifica ossessione. Mi riferisco a Enter the Gungeon, sparatutto austero ma sincero (e qui mi fermo, rimandandovi per ulteriori dettagli alla recensione in archivio). Con all'attivo ben 210 ore di gioco, sento di aver sviscerato quasi ogni aspetto di questa chicca e la dedizione – dategli pure l'accezione che desiderate – ha per me un valore assoluto. Per inciso Dodge Roll ha in cantiere un DLC del tutto gratuito, che dovrebbe fare capolino nei primi mesi del 2017. E io sono già qui che scalpito, pronto a ricadere nel gorgo.
Erik Pede
Tomb of the Mask su iOS, con la sua grafica spectrumiana. Non è il gioco dell'anno in senso stretto, ovviamente, ma è senza ombra di dubbio quello a cui ho giocato di più nel 2016. Per me è stato una sorta di nuovo Downwell quando Downwell non era ancora vecchio, nel senso che mi si sono sovrapposti in modo perfetto. Qualsiasi cosa ciò significhi.
Alberto Torgano
Alla faccia di tutti i giochi super attesi usciti quest'anno, che tanto non giocherò perché non escono su PC e non ho la forza di superare tutti gli aggiornamenti della PS4 dopo mesi di inattività, io voto il piccolo e nero Reigns, di Nerial per Devolver Digital. Reigns è un gioco incredibile, è come se fosse il manifesto di tutto ciò che deve essere un titolo indipendente per avere successo: inventiva, charme e perfetta "vestibilità" sulla piattaforma di riferimento. Con una meccanica di gioco semplicissima e una narrazione fatta di semplici frasette a effetto, Reigns racconta molto di più della maggior parte dei videogiochi. Certo, dopo un po' diventa ripetitivo e si finisce per guardare più le icone in alto che i testi, ma per un gioco da 2,99 € che rappresenta di fatto il primo titolo del suo genere, non mi posso lamentare! E soprattutto, è un gioco che dà soddisfazione anche senza dedicargli ore ed ore!
Poi se volessimo allargare il termine "gioco" anche a giochi fisici, allora dovrei metterci Magic, perché nel 2016 ci ho giocato come non mai, peraltro con risultati competitivi decisamente scarsi!
Tatiana Saggioro
World of Warcraft: Legion. Un MMORPG è un'idrovora che assorbe il tempo come un'enorme pozza d'acqua e ormai ho tempo per giocare solo a quello. Con Legion, però, vengono introdotti elementi che, seppure direttamente riconducibili a Diablo III, lo “rinnovano”, creando contenuti adatti a più tipologie di giocatori, consentendo di trovare la propria dimensione in base ai propri ritmi, anche se, nella necessità di colmare i vuoti - di contenuto - creatisi nella precedente espansione, Blizzard rischia di esagerare sul fronte opposto. World Quest e Mitiche Plus sono però la cosa migliore che poteva accadere a questo gioco che ha appena festeggiato i 12 anni.
Il gioco più bello che però non giocherò mai: The Last Guardian. Perché ci ha giocato il mio compagno mentre io ero lì seduta al suo fianco a tifare per Trico e pregare che il finale non mi straziasse come accadde con Ico e Shadow the Colossus. E niente, alla fine mi sono commossa in ogni caso, ma del resto ero già in lacrime al primo trailer mostrato durante quel lontano E3 del 2009... non poteva che andare diversamente. Trico poi è animato in modo sublime e anche se il gioco risulta un po’ la summa fra Ico e Shadow of the Colossus, come loro riesce però a creare un rapporto empatico profondo con i due protagonisti come raramente capita in altri titoli.
Stefano Castelli
Davvero troppi bei giochi, quest'anno. Vorrei scegliere The Witness o Titanfall 2, alla fine punto su Overwatch, per lo splendido modo in cui è stato lanciato, per come viene supportato, per quanto è divertente e perché ha un gorilla con gli occhiali. No, sul serio: fossero tutti come Overwatch, i giochi, ne compreremmo molti meno. Tipo uno o due all'anno, perché poi non si giocherebbe ad altro. Tranne che a Titanfall 2, ovviamente.
IGOTY (ovviamente, INDIE Game of the Year): cavolo, ho citato The Witness poco sopra e dovrei per coerenza metterci lui. Quindi ce lo piazzo. Ha rispettato le mie aspettative, è uno spettacolo da vedere, riesce a farti sentire un idiota facendoti al tempo stesso sentire un intelligentone. Di giochi così ne esce uno ogni dieci anni e visto che quest'anno ne è sbucato uno, ecco che Jonathan Blow si becca il premio e via.
Alessandro Billeri
Sono, da anni, un giocatore solo mobile: in particolare solo iPad. Ci sono stati tanti giochi belli su iPad e iPhone, quest'anno, ma tutte le mie valutazioni più o meno obiettive sono state stravolte dal porting su iOS di quello che considero uno dei più bei giochi di tutti i tempi (e forse IL più bel gioco di tutti i tempi): Jade Empire della Bioware. Se uno ha la possibilità di giocarlo con un controller MFI è assolutamente meraviglioso... Anzi M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-O.
Dispiace lasciare fuori altri capolavori che trasformano tablet e smartphone in una vera e propria console (F1 2016 è impressionante, così come Rome: Total War). Certo, si tratta quasi sempre di conversioni di giochi più o meno vecchi (qualcuno ha detto Grim Fandango o Day of the Tentacle?) ma pazienza. Così come dispiace lasciare fuori i piccoli giochi "da mobile" che portano con sé tante splendide sorprese ma, come ho detto, Jade Empire ha sconvolto la mia scala di valutazione.
Lorenzo Antonelli
Assetto Corsa, versione console, ovvero la dimostrazione di un fatto mirabile: la simulazione automobilistica dura e pura è possibile anche su console. Si tratta del “Real The Real Driving Simulator” de' noantri, appagante come nessun altro racing game, raffinato, monumentale, un nuovo metro di agone e paragone. Praticamente imprescindibile, come il brodo con il cardone e le pallottine a Natale.
Elena Avesani
Bloodborne. Perché non ho la PS4 quindi l'ho giocato a martello fin quasi verso la fine allorquando ho dovuto mollar il colpo (ehi, ho trovato il lavoro!!) e la console è tornata al legittimo proprietario. Appena mi ritorna il pad tra le mani LI RIEMPIO TUTTI DI LEGNATE. A MEMORIA. Che meraviglia, un gioco moderno e retrò allo stesso tempo. Difficile, ma solo per le scamorze. È così coinvolgente che impari a memoria i livelli, gli angoli oscuri e ne vuoi di più a ogni scala, ponte e ascensore. Io non credevo, io non ci speravo. Eppure.
Tommaso De Benetti
Ho dovuto andare a rivedermi le scalette di RingCast (merda) per ricordarmi i giochi usciti/giocati quest'anno, il che la dice lunga. Vince Hyper Light Drifter, la cui unica colpa è di essere uscito a 30FPS, cosa che han fixato in corsa ma quando ero già passato ad altro. È A Link to The Past con il combattimento "input-perfect" di Dark Souls. L'ho trovato di grande atmosfera, bellissimo da vedere, con una lore mai chiara ma sempre intrigante e con un team dietro che ha anche una bella storia da raccontare. Premio per il world building a Dishonored 2, che è sicuramente la mia scelta in fascia AAA.
Luca Galliano
Quest'anno il gioco che ho amato di più è stato, senza alcun dubbio, Forza Horizon 3 di Playground Games. Tamarro il giusto, veloce il giusto, arcade il giusto... scegli un'auto a caso, ci monti sopra un V8 da dodicimila cavalli, acceleri a tavoletta e, voilà, finisci nei prati. E Forza Horizon ti premia, per essere finito nei prati: mille punti esperienza perché hai abbattuto una staccionata, cinquecento perché hai investito una marmotta, altri mille perché hai perso il controllo del posteriore e la tua Lamborghini sta derapando a caso tra le dune. Volendo, si potrebbe anche imparare a pennellare traiettorie e fare staccate perfette, per carità: il gioco si presta e distribuisce punti esperienza anche per quello, ma personalmente sono arrivato a livello massimo speronando Cinquecento del '55 con il Warthog di Halo dipinto di rosa shocking.
Davide Mancini
Sto disseminando giochi diversi in classifiche differenti, e il motivo è solo uno: nel 2016 c'è stata tantissima roba buona e qui ho deciso di premiare il titolo che mi è rimasto più appiccicato addosso: Firewatch. L'avventura in prima persona di Campo Santo, ambientata nel parco di Shoshone in Wyoming, mi ha stregato per la magnifica capacità di farmi entrare nel suo mondo e comprendere la fuga dei personaggi, alla ricerca di stabilità in una vita critica e profondamente imperfetta. Non è un gioco senza macchia e, paradossalmente, proprio la narrazione sul finale sbanda un po', ma Henry, Delilah, la loro evoluzione raccontata durante le conversazioni grazie a un voice acting sontuoso e la bellezza del paesaggio mi sono entrati talmente nel cuore che va benissimo così. Se l'avete giocato all'epoca, tornate in quei boschi, che hanno da poco aggiunto la modalità free roaming ed è uno spettacolo.
Marco Esposto
The Witcher 3: Blood & Wine. Eh sì, ridendo e scherzando, la terza avventura di Geralt di Rivia, per me che l'ho preso il giorno di lancio, è durata un anno esatto, perché l'ultima espansione, la più corposa, è uscita a un anno circa di distanza dal gioco; ed è essa stessa un gioco fatto e finito. Oltre 20 ore di contenuti, una campagna principale e una miriade di quest secondarie e aggiunte che vanno a sommarsi al gioco principale, tutto ambientato in una nuova regione, Toussaint, che riesce a superare in bellezza l'intero mondo di gioco di TW3. Cosa vuoi dire, a un gioco, quando impieghi più di un mese per poter finire anche solo una sua espansione e (con delle pause, ovviamente) un anno per finirlo tutto? E senza sentire noia o fatica, perché ogni quest è diversa dalle altre, scritta da dio e pure doppiata (e ogni singolo Contratto di Caccia ha la sua storia, non è “Vai da A a B, uccidi mostro e ritorna”). Nulla, non puoi dirgli nulla, perché al netto di un sistema di combattimento forse non proprio brillante, quelli di CD Projekt Red hanno fatto un lavoro incredibile. Speravo, da fan della serie, di piazzare qui FFXV, ma non ce l'ha proprio fatta e, dato che quest'anno è uscita, oltre al gargantuesco DLC, pure la GOTY di TW3, ci metto lui. La sensazione di immersione restituita da tanti elementi, come restaurare la mia villetta, curare il raccolto dei vini, preoccuparsi di tornare per tempo dalla taverna per mettere il cavallo in stalla prima di coricarsi perché il giorno dopo hai quell'incontro col nobile di turno che vuole un favore (a pagamento, si intende!), da un attempato Witcher quale sei, è qualcosa che solo questo gioco ha saputo darmi. E non succedeva da un po'. Viva la Polonia!
Francesco Fossetti
Non ho mai avuto il minimo dubbio su quale settore di mercato abbia prodotto il mio Game of The Year. Per quanto lo sviluppo “mainstream” abbia riempito il 2016 di grandiosi kolossal archeologici, shooter incazzatissimi, indimenticabili avventure fuori dal tempo, è stato come sempre il mercato indipendente a promuovere il nuovo, a prendersi dei rischi e inseguire strade non battute. Con più convinzione del solito, a dire il vero. Tanto che scegliere è stato difficile: le trovate da meta-videogioco di Pony Island? I singulti temporali di SUPERHOT? La sceneggiatura lisergica di Virginia? Il ritmo demoniaco di Devil Daggers? Per qualche istante ho additato Inside, un gioco praticamente perfetto, un racconto distopico muto e meraviglioso. Ma alla fine l'ha spuntata The Witness, anche solo per la forza con cui è riuscito ad assorbirmi. Per qualche settimana, dopo l'uscita, non ho fatto altro che pensare a The Witness. Riscoprivo le sue ossessioni geometriche mentre ero in giro con amici, ragionavo sulle prospettive, immaginavo l'impegno necessario a creare un ambiente coerente e cosparso di segni indecifrabili. Ho perso ore bloccato di fronte ad uno schema, ho scritto con la bic soluzioni improvvisate sul palmo della mano. The Witness è il più bel puzzle game di sempre, limpido e cristallino come i suoi diagrammi, logico fino in fondo, spanne sopra a Portal e The Talos Principle. È un gioco che chiede all'utente quello che ha chiesto al suo creatore: focalità e dedizione assolute.