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Deadlight Director's Cut: i non-morti tirati a lucido

Deadlight Director's Cut: i non-morti tirati a lucido

A quattro anni dall'uscita su Xbox 360 e PC, Tequila Works ripropone il suo Deadlight in una sfavillante versione director’s cut (un modo più figo per non chiamarla remaster), arricchendo la propria creatura con un consistente numero di limature. In un 1986 alternativo, Seattle ricade funestamente su se stessa, sommersa da una misteriosa pandemia con conseguente fiume di zombi. Chiamate “ombre” dai protagonisti, le insaziabili aberrazioni non hanno un grosso background narrativo, lasciando sia noi che il protagonista, lo sceriffo Randall Wayne, in balia degli eventi.

L’influenza di altri media dalle tematiche simili, in primis la serie TV e i fumetti di The Walking Dead, appare evidente fin dalle prime battute. Il senso d'impotenza e desolazione, la fatiscenza che abbraccia ogni anfratto, l’uomo che ritrova il suo istinto animalesco, sono temi che investono subito il giocatore, senza dargli nemmeno il tempo – e i mezzi – per capire cosa stia succedendo. Deadlight si adagia su una struttura ludica 2D utilizzando, però, un discreto motore poligonale e facendo dell’atmosfera plumbea e crepuscolare uno dei suoi principali punti di forza.

Atmosfera a palate: almeno tanta quanta la massa putrida che vi insegue.

Atmosfera a palate: almeno tanta quanta la massa putrida che vi insegue.

Parlare del gioco Tequila Works in termini generici, tuttavia, non rende giustizia a questo remaster, che nell'ottica delle migliorie è sicuramente degno di plauso. L'eroe per caso della vicenda, Randall Wayne, si muove come un novello principe di Persia al’interno di tetri scenari al chiuso e all'aperto, saltando, aggrappandosi ai bordi delle diverse strutture sospese e interagendo col mondo circostante per farsi largo tra i non-morti. La giocabilità, elementare solo in apparenza, offre un discreto campionario atletico: asservito all'immancabile barra della stamina, Randall può brandire un'ascia, saltare come un ossesso, darsi slancio sui muri o sparare utilizzando i rarissimi proiettili sparsi per il gioco. Non ci si ritrova mai di fronte a veri e propri enigmi, quanto piuttosto a impedimenti ambientali, sempre pronti a mettersi tra noi e la fuga dalle ombre.

Le scene d'intermezzo sfruttano uno stile da fumetto davvero ben realizzato.

Le scene d'intermezzo sfruttano uno stile da fumetto davvero ben realizzato.

Questa riedizione interviene perfezionando alcune movenze del protagonista, un tantino scattose nell'originale, e aggiungendo qualche fotogramma d’animazione per rendere le diverse acrobazie leggermente più accessibili. Non mancano alcuni trial and error piuttosto infingardi o certi passaggi fin troppo ostici, ma si tratta di elementi fisiologici del titolo, che per farsi perdonare è assai munifico di checkpoint.

La risoluzione a 1080p e i discreti ritocchi agli effetti particellari e a quelli di luce mettono in risalto il gran lavoro che già quattro anni fa seppe distinguersi per fascino e carattere. L'aria malsana e livida che avvolge questo mondo alla deriva è sempre carica di pathos e intrisa di nostalgica malinconia, soprattutto per chi gli anni '80 li ha vissuti appieno. I continui giochi di riverbero, così come le diverse inquadrature che puntano a una fotografia cinematografica ma essenziale, sono dosate con grande maestria ed esaltate notevolmente dall'alta risoluzione.

Un'istantanea di un mondo allo sfacelo.

Un'istantanea di un mondo allo sfacelo.

Rimpolpano l’offerta ludica di questa Director’s Cut due inedite modalità di gioco: Sopravvivenza e difficoltà Nightmare. Nella prima dovremo resistere il più possibile contro infinite ondate di zombi. L'aggiunta di nuove armi da fuoco - tra cui spicca addirittura un fucile da cecchino - la rendono un'esperienza galvanizzante, almeno all'inizio.

L'estetica al limite della monocromia tratteggia ogni scorcio.

L'estetica al limite della monocromia tratteggia ogni scorcio.

Per sfortuna, ma è chiaramente una scelta degli sviluppatori, la sfida risulta davvero improba, rischiando di allontanare troppo presto i videogiocatori meno pazienti. Per contro, entrare in un certo tipo di loop perverso potrebbe rendere questa modalità una vera e propria droga, soprattutto per i completisti e gli amanti dei Trofei. La modalità Nightmare non è altro che un livello di difficoltà ancora più estremo per la campagna principale. La promessa, nel caso si riesca ad arrivare fino in fondo, è un'inedita, sconcertante sequenza finale. Lo scotto da pagare, tuttavia, sta nell'impossibilità di salvare la partita: bisogna concludere la storia in un'unica sessione. Io non ce l'ho fatta, ma è sicuramente un'aggiunta apprezzabile. 

Deadlight Director's Cut era un gioco imperfetto, e tale rimane anche in quest'ultima incarnazione. Tuttavia è dotato di un carisma e una cura estetica eccezionali, tanto da giustificarne il costo. Nonostante la longevità non proprio esaltante, si tratta di un'esperienza degna di essere vissuta da tutti gli appassionati del genere. Consigliatissimo, quindi, a chi non abbia giocato l'originale. Per gli altri, non c'è alcuno spettacolo per cui valga la pena di pagare nuovamente il biglietto. 

Ho giocato a Deadlight Director's Cut grazie a una copia review fornitami dal distributore italiano. Ho terminato la modalità principale in 4 ore e ho cercato di rimanere in vita il più possibile nella modalità sopravvivenza, per un numero indefinito di ore, ma non andando mai oltre i cinque minuti. La difficoltà Nightmare è fattibile, ma va oltre la mia costanza e dedizione verso sfide simili.

Old! #168 – Luglio 1986

Old! #168 – Luglio 1986

Furi, Furi, Furi di tuttu l'annu

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