Old! #168 – Luglio 1986
Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".
L'8 luglio 1986, Namco pubblica The Return of Ishtar, noto anche come Resurrection of Ishtar e secondo episodio nella Babylonian Castle Saga, che ha fatto il suo esordio due anni prima con The Tower of Druaga. Si tratta di un gioco d'avventura, o se preferite un GdR action alla giapponese, che propone una storia da affrontare in cooperativa, con il giocatore numero 1 nei panni della principessa Ki, esperta di magia, e il giocatore numero 2 in quelli del principe Gilgamesh, spadaccino d'eccezione. Il gioco si apre dopo il salvataggio di Ki dalla torre di Druaga, portato a compimento proprio da Gilgamesh, e racconta la loro fuga da quel luogo di perdizione, con 128 stanze da affrontare nell'arco di sessanta piani.
Dopo aver riscosso un buon successo nelle sale giochi nipponiche, The Return of Ishtar si manifesterà su vari sistemi casalinghi popolari da quelle parti: MSX, NEC PC-8801, FM7 e Sharp X68000. Tanti anni dopo, giungerà anche sulla Virtual Console Wii e sul quarto volume delle retro-raccolte Namco Museum per PlayStation 1, che miracolosamente arriveranno anche dalle nostre parti. La serie andrà invece avanti con altre sei uscite e pure un'adattamento a cartoni animati.
Lo stesso mese, circa dieci anni dopo l'uscita di Breakout, arriva in sala giochi la rilettura firmata Taito del classico su cui avevano lavorato Steve Jobs e Steve Wozniak. Sto chiaramente parlando di Arkanoid, che recupera l'idea della barretta da spostare orizzontalmente per respingere la pallina demolisci-pareti ma vi aggiunge potenziamenti, diversi tipi di mattoncini, livelli dalla struttura più varia e numerosi ammenicoli visivi. Il titolo fa riferimento a un'astronave condannata alla distruzione, da cui stiamo cercando di fuggire: fra noi e la salvezza ci sono 33 livelli, l'ultimo dei quali propone un boss finale che ricorda i testoni dell'Isola di Pasqua.
Accolto con amore da critica e pubblico, Arkanoid riporta in auge i giochi in stile Breakout, scatenando un tripudio di cloni, conversioni e seguiti. Lo stesso Arkanoid viene convertito su praticamente qualsiasi sistema casalingo e genererà un seguito quasi immediato, oltre a successive incarnazioni nei decenni a venire. Alcune edizioni da casa, fra l'altro, vengono messe in vendita con allegati fantasiosi controller che cercano di riprodurre la manopola da sala giochi. Particolarmente meritevole di menzione è probabilmente il Vaus per NES, uno fra i controller più rari mai usciti per la macchina a 8 bit di Nintendo.