The Infiltrator non è all'altezza del suo protagonista
The Infiltrator racconta una storia che abbiamo visto al cinema mille volte, lo fa in maniera dignitosa ma senza appiccicarci nulla di nuovo o particolarmente riuscito. È un film medio sull'impresa di un agente federale che arriva ad infiltrarsi nei rami più periferici del cartello di Medellin, piazzando una retata non indifferente, e sopravvive per raccontare la sua storia nel canonico libro di memorie, poi per l'appunto diventato un film. Uno dei tanti. La solita roba, insomma, con una manciata di qualità che che potrebbero farlo emergere dalle nebbie del suo essere medio ma riescono al massimo a renderlo simpatico, degno di una visione in quelle settimane che non offrono altro d'interessante in sala, in TV, in streaming o dove caspita vi capiterà di beccarlo.
Innanzitutto c'è la solita tarantella: film di questo genere, storie adulte, classiche, quadrate, non è che se ne vedano poi moltissimi, ultimamente, quindi fa piacere ritrovarsene uno davanti agli occhi, anche se solo dignitoso. Poi c'è l'interpretazione di Bryan Cranston, attore mostruoso che non riesce però a trovare un ruolo cinematografico in grado di regalargli lo stesso genere di successo che ha ottenuto in TV. E, del resto, la cosa è probabilmente anche figlia della tarantella di cui sopra. Senza il suo Robert Mazur il film non ci sarebbe e non solo perché si tratta della sua storia, anche e soprattutto perché prende una pellicola onestamente priva di grande personalità e la eleva a un livello superiore grazie all'impressionante naturalezza con cui riesce ad interpretare i due volti del proprio personaggio. Cranston, sostanzialmente, interpreta il ruolo di un uomo che interpreta il ruolo di un altro uomo. Le due cose si mescolano come da cliché del genere (e, presumo, da memorie del vero Mazur) e ne viene fuori un'interpretazione che altri avrebbero reso in maniera macchiettistica, ma lui infonde di una visceralità, una forza e, di nuovo, una naturalezza pazzesche. Fosse anche solo per godersi un'ora e mezza di Bryan Cranston che dà il massimo, via The Infiltrator una visione se la merita.
Poi ci sarebbero anche alcuni aspetti interessanti della vicenda, quest'uomo che a causa di un infortunio potrebbe andarsene in pensione anticipata e godersi l'amata famiglia ma non riesce a rinunciare alla dipendenza dalla lotta alla droga, dal cambiare faccia e vita, dall'immergersi nelle famiglie altrui e coltivare amicizie sbagliate. E c'è anche la difficoltà e l'assurdità del ritrovarsi, facendo come si deve il proprio lavoro, a sviluppare sincero affetto nei confronti di persone a cui stai cercando di tagliare le gambe. Anche qui, nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, ma spunti interessanti che nelle mani di un regista talentuoso e di personalità, con un attore di quel calibro a disposizione, avrebbero potuto dar vita ad un filmone. E invece dobbiamo accontentarci di Brad Furman, che a un certo punto si sforza pure tantissimo con un piano sequenza e tira fuori una scorreggia. Amen.
Oltre che in America, per il momento è uscito in un po' di paesi in giro per il mondo, dalla Gran Bretagna a Singapore, tra cui la Francia, dove me lo sono visto io. Non sembra essere ancora prevista un'uscita italiana, ma onestamente me la aspetto. Va da sé, comunque, che un film in cui l'unica vera attrattiva è l'interpretazione di Cranston andrebbe visto in lingua originale. Però, oh, fate voi. Aggiornamento: il 1 dicembre 2016 è arrivato su Netflix Italia.