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eXistenZ #44 – Dialoghi videoludici

eXistenZ #44 – Dialoghi videoludici

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po' qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell'altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

Questo mese, nella nostra disastrata e ormai mica tanto mensile rubrica dedicata al rapporto fra videogiochi e cinema, voglio proporre una riflessione molto disastrata, con poco senso e abbastanza tirata via. Una cosa così, un po’ borderline, che mi è balzata in testa qualche giorno fa e mi è rimasta lì. Si parla più che altro di cinema, ma bene o male per colpa dei videogiochi, quindi ci siamo. Potrebbe essere un ragionamento poco sensato, magari anche poco interessante, ma credo che un minimo di senso ci sia. Forse. Non lo so, venitemi dietro, voglio provarci. Mi piacerebbe anche leggere qualche considerazione nei commenti da parte di gente che abbia cose da dire al riguardo. Vanno benissimo anche insulti. Ma tanto non commenta mai nessuno, a meno che si insulti gratuitamente Nintendo, quindi questa richiesta sarà solo un urlo disperato d’agonia. Comunque, ci provo, venitemi dietro.

Partiamo da un concetto di base: i dialoghi, nei videogiochi, fanno cagare. Ci sono vari gradi del far cagare, eh, perché ovviamente ci sono videogiochi scritti benissimo, brillanti, pieni di battute spiritose e azzeccate, talvolta perfino commoventi. Ma anche quelli fanno cagare. O, meglio, vanno benissimo per un videogioco, ma fanno cagare se li si intende come dialoghi in senso classico. Non sono e non possono essere realistici, non sono e non possono essere paragonabili al modo di scrivere che serve e che funziona al cinema o in TV, per dire. La scrittura del videogioco medio risulterebbe logorroica pure se messa a confronto con quella di Chris “Monologo” Claremont. E intendiamoci, è voluto, è giusto così. Infatti non è che facciano realmente cagare, sono giusti. Ma fanno cagare.

Dialoghi misurati e asciutti.

Dialoghi misurati e asciutti.

Il problema è che sono didascalici. Continuamente, insistentemente, alcuni con maggior eleganza di altri, ma in ogni caso lo sono. I personaggi parlano con se stessi come neanche il più logorroico interiore dei detective noir, le situazioni vengono descritte, stradescritte, ridescritte, c’è un continuo “devo fare questo, quello e quell’altro”, ci sono conversazioni-fiume senza senso in cui bisogna raccontare questa o quell’altra cosa, mettere sul piatto aneddoti per far passare il tempo, sommergere il giocatore di informazioni. Insomma, fanno cagare.

Ma non fanno cagare, eh! È giusto che siano così, serve, perché in un videogioco c’è bisogno di fare quelle cose. Poi, certo, c’è modo e modo, e se da un lato tocca rassegnarsi al fatto che il gioco mainstream deve far buon viso a cattivo, ehm, gioco e sottolineare continuamente concetti vari a costo di far cagare, dall’altro si vedono anche soluzioni eleganti, tanto bel design che spiega e mostra tramite il gameplay senza perdersi in parole. E poi ci sono quei dissociati mentali di Nintendo, capaci di alternare level design meraviglioso, che illustra i suoi concetti solo ed esclusivamente facendotici giocare a momenti di logorrea da tutorial devastante e insopportabile. Ma insomma, loro fanno categoria a parte.

Quanto ti ho odiato.

Quanto ti ho odiato.

Ma non dicevi che avresti parlato più che altro di cinema? Che c’entra ‘sto pippone sconclusionato? Niente, è che mi sono lasciato trascinare. Il fatto è che nel cinema moderno, soprattutto nel cinema hollywoodiano moderno, sembra essere sparita la capacità (o magari anche solo la voglia) di scrivere in una certa maniera. Non c’è più il gusto per il bel dialogo, per la bella battuta azzeccata, per la one liner che ti lascia di sasso. Non c’è più l’amore per lo “show, don’t tell”. Non c’è più la gioia di saper raccontare qualcosa attraverso la giusta alchimia dei vari elementi, portando avanti una storia e l’evoluzione dei suoi personaggi attraverso l’azione, mostrandone il background tramite le immagini, facendo aprire bocca ai protagonisti per dire cose interessanti, divertenti, sensate.

No, c’è solo uno scrivere pigro, facile e impacciato, fatto di esposizione infinita, nella quale i personaggi hanno il duro compito di raccontare ciò che lo sceneggiatore non sa raccontare e vi si dedicano esponendo fatti, dati, situazioni, descrivendosi e descrivendo chi sta loro accanto, dicendo a te spettatore quel che dovrebbero mostrarti o farti intuire. È una fottuta piaga, è insopportabile ed è dilagante. Non è sempre così, non è dappertutto così, ma cazzo quanto è così. E, oh, a me fa venire davvero tanto in mente il modo impacciato con cui i videogiochi fanno esposizione. Solo che i videogiochi sono spesso obbligati a fare così. I film no. I film che fanno così non sono obbligati. Sono stronzi. E mi sono ritrovato a chiedermi se, in qualche forma, non possa essere anche un po’ colpa dei videogiochi. Magari c’è una generazione di sceneggiatori cresciuti attaccati a Xbox e PlayStation che hanno in testa quel modo di raccontare. Magari c’è un’orda di produttori consapevoli di stare puntando a un pubblico di videogiocatori e che quindi chissenefrega, se si sucano questo genere di narrazione in cameretta, se la sucheranno anche al cinema. E c’hanno pure ragione, eh. Ma che palle! Poi ci ritroviamo con Batman e Superman che fanno a turno nella gara a chi c’ha il monologo più grosso. O magari mi sto facendo un sacco di seghe mentali e devo andare a rilassarmi un po’, ché la giornata lavorativa volge al termine e mia figlia richiede attenzioni. Ciao.

The Infiltrator non è all'altezza del suo protagonista

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Old! #178 – Settembre 2006

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