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La terra di mezzo: L'ombra della guerra -Tanta ambizione e un orco di nome Róhrg

La terra di mezzo: L'ombra della guerra -Tanta ambizione e un orco di nome Róhrg

Lui si chiama Róhrg, o una combinazione simile di suoni gutturali e lettere con strani accenti, e ha un classico titolo da orco feroce, qualcosa sulla falsariga di “Lo Squartatore” o “Ammazza Umani”. Quando l’ho incontrato la prima volta da qualche parte a Cirith Ungol, l’ho decapitato senza pensarci troppo su. La sua testa è volata via in slow motion, in un mare di sangue nero, e io ho proseguito per la mia strada niente affatto scosso da quanto era successo, ché la Terra di Mezzo, nell’anno duemila e qualcosa della Seconda Era, non è esattamente un posto per educande. A ben pensarci, Róhrg non era niente di speciale, solo un guerriero di Sauron simile a tanti che avevo già ucciso nelle prime ore di gioco, a suo modo unico per fisionomia e caratteristiche, come tutti i capitani orcheschi, ma anche noiosamente identico a tutti gli altri nella sua unicità. Un po’ come succede per noi umani, insomma. Siamo davvero unici e speciali, se tutti sono unici e speciali? Ma sto divagando.

La seconda volta che incontro Róhrg è durante un’imboscata a Seregost. Non è lo stesso di prima: ha il volto pesantemente sfigurato e un occhio di metallo. Si fa chiamare “La Macchina”. Mi racconta che qualcuno lo ha trovato e ha messo insieme i pezzi facendo ricorso a chissà quale combinazione di tecnologia e arti oscure. Nonostante l’effetto sorpresa, Róhrg viene prontamente affettato per la seconda volta quando la sua mente particolarmente resistente, forse a causa dell’odio covato nei miei confronti, rifiuta di piegarsi al potere dell’anello del potere che indosso al dito.

Forse non sarà una sorpresa, ma Róhrg è tornato da me tante altre volte, nel corso delle oltre venti ore che ho passato nella Terra di Mezzo. Una volta è anche riuscito a battermi, complice la mia distrazione durante un combattimento fra capitani multipli, e mi ha deriso pesantemente mentre mi trapassava la carne a fil di spada. Purtroppo per Róhrg, Talion, il protagonista de L’Ombra della Guerra, è un immortale, anzi un senza morte, status ottenuto grazie al suo patto con l’elfo Celebrimbor, che possiede il suo corpo e gli fornisce poteri quasi divini. Quindi, al mutar della marea, sono tornato in vita con un solo pensiero in testa: vendetta. E così è stato: ho trovato Róhrg nel suo accampamento mentre festeggiava la vittoria e l’ho accoltellato tante di quelle volte da ridurlo a un colabrodo, prima di tranciarlo di netto in due.

L’ultima volta che ho visto Róhrg era durante un assedio nelle fasi finali di gioco. Ormai più macchina che orco, la voce colma di angoscia e in piena crisi esistenziale. “Tu mi hai creato! Continuano a riportarmi in vita, ma non voglio. È solo colpa tua! Non ce la faccio più a vivere così. Cerco solo l’abbraccio della morte.” L’ho accontentato. Stavolta non per vendetta, ma per sincera empatia verso questo ammasso malvagio di carne digitale costretto, suo malgrado, a rivivere l’esperienza della morte dozzine di volte, in nome di chissà quale piano dell’oscuro signore.

Mi sarebbe piaciuto che L’Ombra della Guerra avesse proposto un numero maggiore di esperienze del genere nel corso dell’avventura, perché sono quelle che mi hanno toccato più nel profondo, molto più delle ovvie sboronate che ci si ritrova ad effettuare nelle fasi finali del gioco, con Talion ormai pompato oltre ogni limite umano. D’altronde, il sistema di micronarrazione denominato Nemesi, che provvede a generare casualmente caratteristiche e tratti distintivi dei nemici di Talion, era già la parte più interessante del primo episodio della serie, quel L’Ombra di Mordor di qualche anno fa che, pur uscito un po’ in sordina, era riuscito a catturare la mia attenzione e a farmi respirare per la prima volta in modo sublime l’aria della terra di mezzo tolkeniana, dopo decenni di pessimi tie-in.

Per chi non lo sapesse L’Ombra della Guerra è il secondo episodio della serie della Terra di Mezzo e da esso mutua gran parte dei tratti distintivi: un open world in terza persona ambientato nel mondo de Il Signore degli Anelli, in cui bisogna riconquistare una Mordor ormai stretta nella fredda e metallica morsa di Sauron, qualche decina di anni prima degli avvenimenti della serie letteraria principale di Tolkien.

Il mix di gameplay de L’Ombra della Guerra ha il sapore stealth di un Assassin’s Creed a caso e la brutale efficienza delle risse di Batman: Arkham City, una miscela che funzionava nel primo capitolo e che qui viene ulteriormente rifinita, fino a raggiungere livelli quasi eccellenti, a parte qualche inghippo nei controlli. Nei combattimenti più concitati, è spesso difficile far fare a Talion quello che si vuole, finendo quindi per prendere qualche spadata in più del necessario. Niente che rovini l’esperienza, ma forse un po’ più di indulgenza in alcune situazioni non avrebbe guastato.

Il potere principale dell’anello del potere, che Talion indossa, è quello di soggiogare le deboli menti degli orchi che si incontrano nel corso dell’avventura. Grazie ad esso è possibile portare i capitani e i soldati nemici dalla nostra parte, in modo che possano combattere per il Lucente Signore Celebrimbor, in fondo non molto diverso dall’Oscuro Signore Sauron, scatenando in me non poche riflessioni sulla moralità di ciò che stiamo facendo. Il sistema Nemesi, che genera dinamicamente capitani e guerrieri nemici sempre diversi e caratterizzati, è qui espanso e migliorato e si ha la sensazione di trovarsi in mondo davvero vivo e realistico, almeno sotto questo aspetto. A volte dispiace quasi doversi accanire con alcuni dei malvagi orchi, che sembrano quasi più simpatici dei nostri alleati. A tutto ciò sottintende poi un meta-game legato ai personaggi, che mi ha messo davanti più di una volta al dover scegliere se calare una tremenda vendetta o, al contrario, essere clemente con chi mi trovavo davanti.

Stiamo parlando di un’avventura open world e questo significa una sola cosa: collezionabili. Collezionabili DAPPERTUTTO. Purtroppo questa tendenza al collectathon in mondi open-world non mi ha mai preso davvero, se non in rari casi, e l’illuminante approccio al genere presentato dall’ultimo Zelda l’ha definitivamente distrutta. L’Ombra della Guerra non si sottrae a questa bulimia videoludica, presentando ogni sorta di oggetto da raccogliere: ci sono manufatti, parole del potere, ricordi di Shelob, tombe segrete, sfide nel passato, gemme e Dio sa quali altri astrusi inutili oggettini che ho dimenticato. Mancano solo i Punti Fragola dell’Esselunga. Immancabili sono, però, le torri di osservazione, che una volta scalate, riempiono la mappa di iconcine con cose da fare e trovare, trasformando anche il migliore dei giochi in una tediosa lista della spesa. (Siamo proprio sicuri che non si possano collezionare anche i Punti Fragola dell’Esselunga?) Tutto ciò, fortunatamente, non lede l’esperienza di gioco, essendo del tutto opzionale ai fini del gameplay duro e puro e relegando la lista della spesa ai soli scimmiati del platino.

Nel complesso, però, L’Ombra della Guerra espande e migliora il suo predecessore in quasi ogni aspetto e introduce anche un’interessante e ambiziosa novità: la possibilità di cingere d’assedio le fortezze nemiche o di difendere le proprie. Questo aspetto mi aveva colpito particolarmente durante l’anteprima che avevo avuto modo di vedere alla GDC 17, in cui avevano mostrato battaglie campali di dimensioni ragguardevoli ed eventi dinamici che coinvolgevano il protagonista e le varie rivalità fra i capitani.

Nel gioco finale, però, lo svolgimento è leggermente più semplificato di quanto mi fosse sembrato allora. Nella modalità storia principale, sono presenti solo cinque fortezze da conquistare, una per ogni regione. Queste porzioni di gioco sono slegate dall’azione e si comportano più o meno come una qualsiasi altra missione, salvo che all’inizio è possibile scegliere quali capitani portare con sé ed eventualmente quali potenziamenti assegnare loro. Per quanto la scala dei combattimenti sia piuttosto mastodontica, nel corso delle mie ore di gioco non mi è capitato di assistere ad avvenimenti dinamici veri e propri, con gran parte degli assedi che hanno avuto un andamento piuttosto lineare: entra nelle mura, conquista i punti di controllo, sfascia di botte il comandante della fortezza nemica. Niente interventi dei capitani alleati per salvarmi la pelle in situazioni critiche, nemici che tornavano dalla morte o tradimenti, come mostrato nei primi video di gameplay. I combattimenti col comandante della fortezza, poi, non si sono mai dimostrati particolarmente interessanti o divertenti. Talion entra ogni volta da solo nella sala del trono, nonostante abbia un intero esercito alle sue spalle, e se la deve vedere da sé con il comandante, spalleggiato da un’orda infinita di scagnozzi. Si ha l’impressione che le ambizioni per queste porzioni di gioco fossero tante ma che Monolith non abbia avuto il tempo e la capacità per portarle tutte a compimento.

Nonostante questa parziale delusione, dal punto di visto tecnico e artistico il livello qualitativo è elevato. Pur non puntando ai 60 FPS, su PlayStation 4 Pro il frame rate rimane graniticamente a 30 FPS anche nelle situazioni più affollate. La rappresentazione delle lande immaginate da Tolkien più di sessant’anni fa è davvero ottima, pur non pescando dallo stesso immaginario visivo della trilogia di Peter Jackson, e gli autori si prendono anche qualche libertà circa la storia stessa della Terra di Mezzo, con risultati che posso definire “interessanti”, senza voler spoilerare troppo. Le missioni di storia e la trama in generale sono sorprendentemente ben congegnate, pur senza particolari colpi di coda. A disposizione del giocatore ci sono quattro sotto-trame, che seguono gli avvenimenti e le interazioni di Talion con diversi gruppi di persone o mentre tenta di sventare minacce su fronti diversi. A volte, queste trame si collegano e intrecciano pur parzialmente, in un effetto dispersivo ma nel complesso comunque soddisfacente.

"Vedo casa mia, da qui!" "Talion, tu una casa non ce l'hai più!" "Devi sempre rovinare tutto, Celebrimbor?"

Si è fatto tanto parlare delle microtransazioni collegate alle fasi finali del gioco, ma in tutta sincerità non ho percepito alcuna necessità di farne uso. Tanto per spiegare un poco la questione e cercando di spoilerare il meno possibile, diciamo che nel quarto atto, dopo aver completato la trama principale, Talion si ritrova a dover affrontare “La guerra delle ombre”, simpatico calembour del titolo del gioco, in cui deve proteggere le fortezze conquistate da assalti consecutivi di orchi sempre più potenti, replicando gli assedi delle missioni principali in modalità speculare. La ricompensa per aver portato a termine la fase finale del gioco, la cui lunghezza si aggira intorno alle dieci ore, è un filmato di qualche minuto (che potete tranquillamente vedere su YouTube), che collega la storia di Talion alla ben più famosa avventura della compagnia dell’anello, fornendo (apparentemente) un dignitoso e commovente finale alla saga del ramingo. Personalmente non ho portato a compimento tutta questa porzione di gioco, che ho trovato un modo un po’ furbo per allungare il brodo, ma non mi sembra che si forzi in alcun modo a comprare scrigni di equipaggiamento o di capitani. Anche se si perde, malauguratamente, una fortezza e magari alcuni capitani alleati, non è molto complicato recuperarli, semplicemente girando per la mappa di gioco e riprovando l’assalto. Certo, magari con gli scrigni si fa prima, eh, però le microtransazioni mi sono sembrate del tutto evitabili e la polemica abbastanza inutile. Forse c’è un po’ di furbizia da parte degli sviluppatori nel provare a far cassa sfruttando i problemi di gioco d’azzardo dei giocatori, ma quello è anche un problema vostro.

In definitiva, L’Ombra della Guerra risulta essere un ibrido tra “squadra che vince non si cambia” e ambizioni non sempre portate a compimento a dovere. Presenta la stessa divertentissima struttura base e la stessa grandeur nella realizzazione tecnica del suo predecessore, ma le pur ambiziose novità non riescono a incidere più di tanto su uno schema di gioco già rodato, anche a causa di una realizzazione non sempre ineccepibile o particolarmente fresca. Il sistema di narrazione collegato ai capitani nemici, qui potenziato a dovere, continua a rivelarsi l’aspetto più interessante e originale della serie. Sono molto combattuto sulla valutazione: non so se assegnare un meritato ma blando “Frechete” e ingollare un po’ di delusione o se fare la parte dell’amante tradita dalle (forse mal riposte) aspettative e assegnare un salomonico “Vai a sapere”. Ah, a un certo punto della trama, si acquisisce la possibilità di cavalcare una viverna liberamente nella mappa di gioco e di far piovere fuoco, fiamme e morte dall’alto. E che Frechete sia, allora!

Addio Róhrg, dovunque tu sia, spero che abbia trovato la pace che meritavi.

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Ho giocato a La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra grazie a un codice PlayStation 4 fornito da Warner Italia. Ho completato tutte le missioni della trama principale e delle sotto-trame in una ventina di ore circa e portato a termine un paio di assedi della modalità “Guerra delle Ombre”. Su PlayStation 4 Pro e TV 4K la resa visiva è impressionante e il frame rate stabile. Inoltre il pad fa le lucine colorate a seconda della situazione di gioco, che è sempre bello. La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra è disponibile anche su PC e Xbox One.  Come al solito, se acquistate il gioco su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua.

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