Grand Blue e l’importanza dell’accendino
Accendino? Ci arriviamo. Non vi preoccupate.
Ci arriviamo…
Come ogni volta in cui è davvero difficile capire come iniziare perché non si sa come si va a finire, cominciamo dai dati di targa: Grand Blue, o Grand Blue Dreaming, è una serie anime prodotta dallo studio Zero-G (a me, lo ammetto, abbastanza sconosciuto) di cui la prima stagione è uscita nel 2018 e la seconda è di imminente arrivo, che sostanzialmente racconta dell’ingresso del nostro protagonista Yori Kitahara presso l’università di Ingegneria di Ozu, località marittima ben lontana dall’entroterra in cui è nato. Lontano dalla famiglia, Yori si trova ospite dello zio e delle due avvenenti cugine: la maggiore Nanaka Kotegawa, “yamato nadeshiko” praticamente perfetta, e la minore e sua coetanea Chisa Kotegawa, un po’ più impacciata e assertiva.
Un ragazzo appena maggiorenne, due cugine incredibilmente avvenenti e ben aderenti a due immaginari distinti, dai… sappiamo dove si va a parare, no?
no.
Volendo usare un eufemismo: Grand Blue non è esattamente la vostra rom-com media. Sicuramente la prima considerazione è che la produzione di rom-com con protagonisti che abbiano superato la maturità è in Giappone molto più vasta di quanto possiamo immaginare. Del resto, in Giappone probabilmente persino la produzione di rom-com ambientate nel mondo dei convenience store è più vasta di quanto possiamo immaginare, probabilmente non si avvicina neanche ad un decimo della produzione di rom-com adolescenziali ad ambientazione scolastica. È quindi ovvio che il pubblico occidentale medio sia un attimo in difficoltà con protagonisti che non vanno a scuola in divisa, hanno effettivamente la preoccupazione di integrare le sobrie diarie passate dalla famiglia con lavori part-time, cercano attivamente di inserirsi in gruppi amicali che non siano il club scolastico di uncinetto acrobatico (sono SICURO che esiste un manga a tema) e, ultimo ma non ultimo, altrettanto attivamente discutono, brigano e trigano per “andare a risultato” con l’altro sesso.
Ma questa considerazione passa in secondo piano nel momento in cui si realizza che Grand Blue è in realtà l’erede giapponese delle commedie demenziali universitarie americane, da Animal House a La rivincita dei Nerd. Con moltissimi meno problemi a parlare di alcool.
Ah, no?
Il risultato è un mix del meglio dei due mondi: una sit-com in cui le gag ricorrenti sulla oggettiva somiglianza tra un cocktail scioglicervella e il the oolong, o sul “senso d’infame” che diventa vera e propria precognizione, si mescolano alla commedia degli equivoci, ad una serie infinita di “Titan Face” (sì, proprio da L’attacco dei giganti) e al continuo passarsi del testimone tra “tsukkomi” (il serio) e “boke” (l’idiota) in un percorso ad ostacoli che ha come unico traguardo il disastro reputazionale.
Ð però anche un racconto leggero in cui, con l’eccezione delle gag su gambe rappresentate dal “club dei vergini”, ogni personaggio conosce uno sviluppo che evidenzia a fianco dei suoi (enormi) difetti di umano dopo tutto privilegiato da una vita pacifica anche aspetti caratteriali positivi, che siano la naturale predisposizione a non giudicare di Yori, la costanza senza compromessi del “principe otaku” Kohei, la rettitudine di Chisa, il desiderio di relazione di Aina, il sostegno incondizionato degli sciroccatissimi Kotobuki e Tokita sempai, rendendoli di fatto non più interpreti ma “amici lontani”.
Una opening non bugiarda, ma neanche completamente sincera
Proprio in virtù di questo carico empatico presente fin da subito, pur portando in scena almeno una gag ad episodio in grado di mettere a rischio il lavoro del vostro cardiologo, Grand Blue si permette di essere anche un appassionato anime sulle immersioni (ah, già… finora non avevo citato il fatto che, oltre che affondare in mari di alcool, i nostri protagonisti si immergono anche con bombole e maschere) in cui le facili concessioni al fanservice date dal contesto sono limitate e, in gran parte, affidate a un personaggio che posso tranquillamente definire una delle figure femminili che sono state in grado di mettere in crisi la rigida separazione che attuo tra 2D e 3D.
Amore a prima vista
Ovviamente tutto questo è possibile anche grazie a un doppiaggio originale in stato di grazia, in cui ciascuno degli attori protagonisti riesce a tratteggiare tanto il “lato oscuro” del personaggio 2D quanto il suo lato “umano” con quella soluzione di continuità che fa grandi le sit-com.
Purtroppo non altrettanto posso dire di opening ed ending, che sono al limite della sufficienza tanto nel comparto video che in quello audio.
Infine, nel glorificare questo gioiello di rom-com la cui prima stagione non può essere per alcun motivo trascurata, è anche opportuno che io ricordi il suo alto valore didattico.
Riconoscere l’acqua, prima lezione
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata alle spiagge, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.