Outcazzari

Prey è un gioco che si fa gli affari suoi

Prey è un gioco che si fa gli affari suoi

La caratteristica distintiva più forte di Prey sta nel suo menefreghismo quasi totale, nella convinzione con cui mostra di non vergognarsi mai della propria natura. Pur senza rinunciare a determinate comodità, a punti fermi stutturali e d'interfaccia che oggi diamo per scontati, il capolavoro (diciamolo subito, leviamoci il pensiero) di Arkane Studios ha il coraggio di tirare dritto per la sua strada, che d'altra parte è una strada veramente poco dritta. Il cuore pulsante di Prey è quello di un gioco che ti offre un playground grande quanto tutta la sua ambientazione, una vasta struttura chiusa trattata come un open world. Certo, ci sono numerosi blocchi sparsi in giro, punti fermi che di tanto in tanto dettano la progressione e impediscono di esplorare determinate zone, ma il momento in cui si muovono i primi passi al di fuori dei locali dove ha inizio tutto è il momento in cui Prey si apre, si fa da parte e lascia il controllo nelle mani del giocatore. Da lì in poi, sta a chi impugna il pad o accarezza il mouse decidere cosa fare e rendere suo il gioco.

Prey insegue il sogno raccontato da altri giochi appartenenti a un filone ultimamente tornato in auge, anche se magari non in grado di mietere successi colossali, e lo conquista come raramente si è visto. L'unico modo per coglierne la grandezza consiste nell'abbandono. L'abbandono delle convenzioni da FPS moderno, l'abbandono dei timori con cui giochi nominalmente dello stesso genere si nascondono dietro a un dito, l'abbandono della pigrizia a cui siamo stati abituati. Le convenzioni da abbracciare, che ovviamente ci sono, vanno ricercate nel filone dei giochi d'azione in prima persona che puntano tutto sulla simulazione di un mondo, di un contesto dominato dalle proprie regole e dalla comunione dei vari sistemi che ne scandiscono la vita. Prey è un grosso parco giochi, denso di strutture, meccanismi ed elementi che interagiscono fra di loro e con noi, organizzato in modo da offrire libertà d'approccio su livelli multipli. Devi lasciarti andare, immergerti, esplorare, pasticciare con le componenti e trovare il tuo Prey, seguendo le tue inclinazioni, intuendo mano a mano i modi in cui te le lascerà assecondare, avvolgendole attorno alle sue regole, ai suoi limiti e alle sue mille potenzialità. Ci vuole, forse, anche un po' di pazienza, ma caspita se viene premiata.

Arkane ha mescolato il familiare e il dirompente in maniera incredibile. Ci sono piccole idee fulminanti (i mimic e tutto ciò che ne deriva, certo, ma anche altro), trovate semplici e teoricamente banali che offrono tante opportunità (il modo in cui si possono aprire e chiudere a chiave quasi tutte le porte è poca cosa, ma quanto ci si diverte) e anche tantissime convenzioni del genere "FPS/RPG", nato durante gli anni Novanta ed evolutosi nel tempo per tornare forse qui a chiudere il cerchio. Lo sviluppo del personaggio tramite una crescita ad albero, le scelte anche morali su come portarlo avanti, l'interazione col racconto a base di elementi ambientali, registrazioni, diari, e-mail (la solita roba, sì, ma scritta tremendamente bene, con un approccio surreale che serpeggia fra il dramma spinto e il sottile umorismo dissacrante)... c'è tutto quel che ci si aspetta, ma è tutto declinato in maniera perfetta, ricca di talento e inventiva pure nel suo muoversi all'interno di percorsi noti.

Serie recenti come BioShock, Dishonored e i nuovi Deus Ex vengono inevitabilmente rievocate, ma l'approccio scelto da Arkane se ne allontana in maniera sensibile, vuoi per la natura realmente aperta a tutti i livelli, vuoi per il testardo rifiuto di guidare per mano, vuoi semplicemente per la diversità di sensazioni trasmesse. Tanto in quei giochi si raggiunge molto in fretta uno status da eroe che "gestisce" le situazioni, seppur magari dovendosi muovere fra le pieghe dello stealth, quanto Prey ti opprime per gran parte della sua durata, schiacciandoti verso la condizione di chi deve realmente arrangiarsi contro forze soverchianti, studiare gli ambienti e trovare la sua via in un mondo difficile. E, certo, questa impressione svanisce nella parte finale del gioco, quando, nonostante una minaccia rinnovata in aggressività, si è ormai potenti a sufficienza per muoversi con leggerezza fra gli ambienti. Ma per ampi tratti Prey restituisce quello spirito di inquietante sottomissione che arriva da lontano, da giochi come System Shock e il primo Deus Ex. E le sue inquietudini nascono quasi esclusivamente dal gameplay, dalle situazioni di gioco in cui noi stessi andiamo a infilarci, dai modi in cui affrontiamo sistemi e idee degli sviluppatori, quasi mai da momenti scriptati (che anzi, va detto, quando emergono, per quanto spesso interessanti nella concezione, finiscono per sfigurare di fronte al pathos "emergente" che sta loro attorno).

Prey funziona, e funziona in maniera clamorosa, perché attorno a tutti i suoi sistemi così ben calibrati e al suo racconto interessante, ma esile, si lascia giocare, nel senso più puro dell'espressione. Ha tanto da raccontare e lo fa pure bene, sia nelle numerose piccole vicende sparse in giro con gran gusto, sia in una storia principale essenziale, ma che si rivela interessante in alcune svolte e tematicamente legata alla sua idea di gioco in maniera deliziosa. Ma quel che realmente racconta arriva dalle mani del giocatore e dalle sue scelte. Da quelle che può compiere seguendo il racconto, certo, ma soprattutto da quelle minuscole ed essenziali che mette in campo ad ogni istante, in ogni fibra del modo in cui sceglie di giocare. E la storia di Prey diventa quindi quella della chat di Steam, delle chiacchiere fra amici sui modi diversi di affrontare le stesse situazioni, del fatto che Tizio ha raggiunto il tal luogo ore prima di Caio, che però nel frattempo è andato molto più avanti nella storia, di io che mi porto dietro quattro torrette, hacko tutti i robot e te la faccio crollare addosso, questa stanza di merda, mentre tu punti tutto sui poteri alieni o sul combattimento frontale, del meravigliarsi della creatività altrui quando ti raccontano quell'approccio a cui non avevi nemmeno pensato e del sentirti intelligentissimo quando sei tu ad avere l'idea geniale.

È una storia fatta di un continuo sorprenderti perché gli sviluppatori avevano pensato anche a questo tipo di azione che credevi fosse tutto tuo, di piccoli premi, ricompense e modi intelligenti in cui il gioco non solo ti lascia fare, ma riconosce quello che fai e lo sottolinea. È quel momento in cui fai davvero qualcosa che nessuno si aspettava e Prey diventa ancora più tuo. È un sistema di combattimento forse un po' impacciato, ma perfetto nel contesto di crescita, da piccolo uomo indifeso contro l'extramondo a spaccaculi che gira come un papa fra alieni e robot. È una colonna sonora coraggiosa e perfetta nella sua pacchianeria. È un lavoro pazzesco sul suono ambientale e sull'accompagnare le tue inquietudini con voci e scricchiolii. È un insieme di ambienti di gioco dal design minuzioso e tentacolare, magari criticabile per un approccio un po' sci-fi slick stile Apple, un po' retrò modello BioShock, non proprio originalissimo, ma che trova una sua personalità nei tanti piccoli dettagli, nella cura pazzesca per la narrazione ambientale, nell'impegno profuso in ogni angolo. È un level design strepitoso e che riesce ad essere tale, terrificante nella densità, nella sostanza di puro supporto al gameplay, trovando sempre anche grande realismo e credibilità nel modo in cui tratteggia ambienti dove vivevano e lavoravano delle persone. È un capolavoro moderno, che guarda al passato per reinterpretarlo con occhio contemporaneo. Non perdetevelo, capitelo, godetevelo. Oppure levatevi di torno, tanto a lui non glie ne frega niente. E io gli voglio bene per questo. Perché Prey è un gioco che si fa i cazzi suoi.

Ho ricevuto un codice Steam da Bethesda Italia e ho completato Prey in uno spazio variabile fra le 30 ore circa indicate dal mio ultimo salvataggio e le 35 ore circa indicate da Steam. Ho visto i due finali “positivi”, uno dei quali in due varianti, e quello “alternativo” che è possibile ottenere verso metà gioco. Non ho visto il finale negativo (o, meglio, l'ho viso su YouTube), anche perché, a occhio, per ottenerlo dovrei rigiocare tutto da capo. E le seconde run non fanno per me. Ho completato tutte le missioni opzionali (o comunque tutte quelle che mi sono state proposte durante la mia partita) ma mi sono lasciato dietro un po' della gente che è possibile cercare in giro per gli ambienti di gioco e ho sbloccato 29 achievement su 48. Ho voluto molto bene a Prey e lui ne ha voluto molto a me, regalandomi chicche deliziose tipo quando mi ha piazzato una missione dallo “spawn” casuale nei luoghi in cui ha inizio il gioco, sapendo che questo tipo di chiusura del cerchio a me piace tantissimo. Ho finito di giocarci l'altra notte verso le due e mezza, perché non esisteva che lo lasciassi lì così prima di partire per cinque giorni di assenza. Il gioco è disponibile anche su PlayStation 4 e Xbox One. Ah, come al solito, se acquistate Prey su Amazon passando dai nostri link, ci fate ricevere una piccola percentuale di quanto spendete, senza sovrapprezzi per voi. Potete farlo su Amazon Italia a questo indirizzo qui o su Amazon UK a quest'altro indirizzo qua.

Tutte le tensioni di Scappa: Get Out

Tutte le tensioni di Scappa: Get Out

La Nordic Game Conference 2017 in video

La Nordic Game Conference 2017 in video