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Neurovoider: quando lo sparatutto ha il freno a mano tirato

Neurovoider: quando lo sparatutto ha il freno a mano tirato


Neurovoider fa promesse da marinaio, ma col cuore in mano. La sua buona fede è percepibile in più occasioni, dall'ottima palette glitterata che fa molto anni '80, a un'azione nel complesso divertente e ben strutturata. Chiaramente, in questi casi, c'è sempre un grosso "ma" che aleggia nell'aria, e per Neurovoider non è diverso. Si tratta di un "ma" perdonabile, al netto delle qualità ludiche mostrate, tuttavia la macchinosità di certi passaggi e la curva di difficoltà impietosa lo appesantiscono fin troppo. 

Il multiplayer è sempre gradevole, ma metà del merito sta nella compagnia.

Proviamo a fare un po' d'ordine: il titolo Flying Oak è una creatura affascinante, un roguelike coriaceo e impietoso. Entrati in forma di spugnosa materia cerebrale all'interno di un robot, il nostro compito è di riuscire a scappare attraverso venti, interminabili livelli. Cosa tutt'altro che semplice, ve lo posso garantire.

La struttura ludica è quella di un twin stick shooter, con due armi utilizzabili - anche contemporaneamente - e centinaia di androidi da far fuori. Fin dai primi istanti, Neurovoider ci offre un ottimo ventaglio di possibilità: si può scegliere il protagonista fra tre tipi di robot, ognuno caratterizzato da diverse capacità di movimento, attacco e difesa. Poi dovremo equipaggiare una tra ventisette abilità disponibili, per lanciarci quindi nel cuore dell'azione.

Nonostante la palette di colori non proprio sobria, l'azione è sempre leggibile.

Scopo di ogni livello è distruggere un determinato numero di generatori, per consentire l'accesso allo stage successivo. Creati in maniera procedurale, pur mantenendo i tratti estetici di base, i livelli non sono mai troppo intricati. Piuttosto, a causa di sottopassaggi, paratie e altri elementi del fondale, capita che l'azione risulti poco leggibile, e in un titolo di tale difficoltà non è proprio un difetto da poco. Per fortuna, una volta presa la mano con i controlli, i nostri poteri sono sempre capaci di trarci d'impaccio. Altro elemento interessante è il poter scegliere morfologicamente la natura di ogni stage, fra tre tipologie differenti. Gli elementi che li contraddistinguono sono grandezza, loot (la quantità di oggetti disponibili) ed elite, che corrisponde al numero di nemici speciali  - e letali - in giro per quella sezione.

Indugiare davanti ai nemici più forti è, di solito, il nostro ultimo errore.

Si può anche decidere di caricare un'altra "scheda", nel caso le tre disponibili siano poco invitanti (loot scarno e molti elite, ad esempio). Ovviamente tutto ha un prezzo, e se all'inizio l'opzione è gratuita, col tempo raggiungerà cifre esorbitanti, contando che esiste anche una seconda, preziosissima valuta. Una volta in gioco e infognati tra nugoli di nemici che cercano di distruggerci, Neurovoider fa il suo dovere. I comandi rispondono perfettamente, e la pesantezza degli scontri restituisce piena gratificazione.

Col procedere dell'avventura, però, le scelte di game design cominciano a incidere negativamente sulla giocabilità. Subordinare l'uso delle armi e delle abilità secondarie agli Energy Point (una sorta di stamina) costringe a centellinare la potenza di fuoco, e in un genere catartico e distruttivo come questo non è proprio il massimo. Il tal modo, almeno sulla carta, il giocatore dovrebbe essere spinto a ragionare e a pianificare al meglio ogni attacco. In realtà, la natura aleatoria del gioco, sia nella generazione dei livelli che per la disposizione dei nemici, rende tale scelta solo un ulteriore fardello per una difficoltà già molto alta.

La potenza di fuoco non ci manca: se non fosse per quella maledetta stamina.

Tra uno stage e l'altro, il prezioso loot raccolto ci permetterà di equipaggiare nuovi accessori, utili alla mobilità, la resistenza e lo stesso armamentario. Purtroppo, ciascun robot inizialmente selezionabile possiede un tipo di attrezzatura specifico ed è impossibile ibridare le varie parti. Crolla, quindi, l'agognato fattore "Lego", aggirabile solo se si decide di modificare totalmente il proprio androide e trasformarlo in uno di un'altra classe. Il tutto è appesantito da un'interfaccia decisamente scomoda e poco intuitiva, soprattutto per la vendita di item inutilizzabili e la creazione di oggetti nuovi.

Privi della possibilità di continuare (che ci può anche stare, visto il genere), frenati nell'esprimere al meglio le nostre velleità distruttive e zavorrati da un sistema di potenziamento assai macchinoso, ci ritroveremo spesso, dopo il game over, a desistere da quell'ulteriore, famigerata partita. Poter affrontare la campagna in locale fino a quattro giocatori mitiga in parte la difficoltà, ma in sede di potenziamento le operazioni, se possibile, diventano ancora più oziose.

Pur affacciandosi al mondo dei roguelike con un'identità forte e un'impalcatura ludica mai banale, Neurovoider risulta macchinoso e poco propenso a ogni tipo di aiuto. Se si fosse trattato solo di una sfida ardua, non ci sarebbe stato alcun problema, ma se a frenare il giocatore è un impalpabile senso di noia, allora vuol dire che qualcosa proprio non va.

Ho scaricato Neurovoider grazie a un codice PS4 fornitomi dal distributore. Ho giocato per più di 15 ore, senza vederne la fine, incastrato caparbiamente nella modalità "normale". La struttura multiplayer lo rende potenzialmente infinito. Il problema risiede in una concorrenza ben più appetibile.

Videopep #143 – Ultime frattaglie di Nordic Game Conference 2017

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Old! #209 – Maggio 1997

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