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The Long Journey Home: Extraterrestre portami via

The Long Journey Home: Extraterrestre portami via

Le stelle hanno sempre esercitato un certo fascino sulla razza umana. Gli esploratori le hanno usate per trovare la rotta di casa quando l’idea di viaggiare nello spazio neanche poteva venir formulata, e in tempi recenti la passione per l’esplorazione dell’ultima grande frontiera sembra rinata.

Allontanandosi però dal filone di enormi simulatori spaziali come Elite o dei roguelike come l’ottimo FTL, The Long Journey Home racconta una storia più sobria e dalle tinte profondamente malinconiche: un gruppo di astronauti che devono testare il primo motore più veloce della luce, a causa di un malfunzionamento, invece di arrivare su proxima centauri, si ritrova a circa 3700 parsec dal sistema solare. Un po’ come dire “scendo a prendere il latte al bar sotto casa” e ritrovarsi in Giappone.

Da qui in poi vi è solo una lunga, appassionante avventura il cui scopo non è altro che quello di tornare a casa. L’idea è semplice ma di innegabile fascino, aumentato dalla consapevolezza di aver costruito in prima persona quella squadra di coraggiosi pionieri: a inizio partita, infatti, è necessario scegliere la composizione della squadra, avendo a disposizione piloti spaziali, ingegneri, fisici teorici e anche la blogger scientifica dell’università di zona. È anche possibile personalizzare la propria nave scegliendone una fra tre modelli diversi, ognuno dotato di caratteristiche che vanno a influire pesantemente sulle strategie di gioco.

L’universo che si va a creare è ogni volta diverso e a poter variare sono sia le razze che è possibile incontrare che le dinamiche che ci sono tra esse. In una partita mi è ad esempio capitato di incontrare una razza di parassiti, che hanno provato a infettare il mio equipaggio “donando” carburante contaminato ed erano in guerra con un’altra razza di “saggi intergalattici”, che li sterminavano in ogni situazione in cui li incontravano. In una partita seguente, ho invece fatto la conoscenza con alcuni alieni vegetali amichevoli, e per una volta ho pure tirato un sospiro di sollievo, dato che non avevo alieni aggressivi che provavano a fregarmi. Sono sceso quindi su un pianeta per recuperare risorse e improvvisamente sono diventati ostili perché ho “violato la natura”.

Non sempre la condotta più appropriata da tenere con questi alieni è facilmente comprensibile e questo in realtà non lo vedo come un male, anzi, è più che giusto che una razza diversa da quella umana abbia dei valori e dei meccanismi mentali unici. Quindi, il lavoro fatto dagli sviluppatori da questo punto di vista è certamente apprezzabile per quanto comunque non sia oltremodo originale.

Oltre alle interazioni con gli alieni, vi è in realtà un gran numero di pianeti da esplorare, sia per recuperare risorse che per esplorare zone planetarie con segreti da scoprire (in questo caso consiglio di prendere come membro dell’equipaggio l’esploratrice chiaramente ispirata a Lara Croft). Non tutti i pianeti sono poi ospitali e in realtà ve ne sono molti in cui scendere per darsi all’esplorazione è potenzialmente letale. Se ci si aggiunge la considerazione che l’equipaggiamento a bordo della nave e del lander si rovina col tempo o può rompersi a seguito di un impatto violento, diventa chiaro come la difficoltà sia decisamente alta. In effetti, non è raro morire praticamente all’inizio dell’avventura, come è successo a me quando dopo un salto sono finito in un sistema con un buco nero e tutto il mio equipaggio si è ridotto a spaghetti spaziali.

La navigazione nell’universo di gioco avviene su due livelli distinti. Il viaggio tra stella e stella si esegue selezionando su una mappa la destinazione. L’esplorazione di un sistema solare, invece, è in tempo reale e si manovra la nave con una visuale dall’alto. Ogni cosa che si vede nella mappa è una possibile occasione per l’interazione, che si tratti di pianeti da esplorare, asteroidi da far esplodere per recuperare risorse o astronavi aliene che possono essere fonte di informazioni o dare missioni da svolgere. Esiste la possibilità di combattere ma, almeno nelle mie partite, non è stato praticamente mai necessario attivare le armi di bordo.

A livello tecnico, il gioco si difende dignitosamente: la grafica, più che essere affascinante, è funzionale e rende piuttosto chiaro cosa accade. Se a questo ci si aggiunge una colonna sonora che fa il suo dovere, non ci si può di certo dire delusi, considerando il genere a cui The Long Journey Home appartiene. Il vantaggio principale di tale livello tecnico è naturalmente il fatto di renderlo fruibile anche per chi ha computer non particolarmente recenti.

Tirando le somme, il mio giudizio è decisamente positivo. Sicuramente non è un gioco adatto a tutti e si rivolge più che altro a una nicchia ben precisa di giocatori, ma il suo lavoro lo fa bene, offre un gameplay piuttosto unico e, se non fosse sufficiente, ha una rigiocabilità quasi infinita, se si considerano le varie combinazioni di equipaggio, navi, alieni e misteri da risolvere durante il lungo viaggio per casa. Segnalo però che ho trovato la difficoltà del gioco decisamente elevata, ed è un fattore da tenere in considerazione al momento di considerare il possibile acquisto.

Ho sbloccato il gioco grazie a un codice Steam fornito gentilmente dallo sviluppatore. Dopo aver creato con amore la mia prima squadra, mi sono sfracellato contro vari asteroidi e il mio equipaggio è morto in breve tempo a causa delle radiazioni solari, in un sistema dove ero andato erroneamente. Nel mio secondo tentativo sono finito in un buco nero. Nel terzo mi hanno fatto esplodere delle specie di zanzare spaziali. Il resoconto delle successive partite non cambia molto: The Long Journey Home è brutale!

Operation Mekong: La Cina vi vuole bene

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Old! #211 – Giugno 1977

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