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L'Uomo Diavolo piange e non è mai stato così bello

L'Uomo Diavolo piange e non è mai stato così bello

Via il dente, via il dolore: Devilman Crybaby è bellissimo.

Non c'è davvero molto altro da dire su questo ennesimo adattamento dell'uomo diavolo. No, oddio, di cose da dire ce ne sono e sono anche parecchie.

L'umanità merita salvezza? Non lo so. A giudicare dalla freddezza di certe recensioni, più simili ad autopsie vere e proprie che a genuini slanci di amore incondizionato per un cult-manga del calibro di Debiruman, trasposto poi con così tanta cura, attenzione e amore, certe domande me le pongo. E sì che centra, ai fini del discorso.

Probabilmente, Devilman Crybaby è la migliore serie TV anime del 2018. Anche se l'anno è appena iniziato e le premesse sul versante anime sono certamente interessanti, non credo che quest'anno vedremo nulla di paragonabile a queste dieci puntate targate Netflix e Maasaki Yuasa.

Proverò dunque in questa analisi a non ripetere come un pappagallo le cose che una rapida ricerca su Google vi svelerebbe in meno di dieci secondi. Ci proverò ma non lo garantisco. La materia non mi è assolutamente indifferente, dato che considero Go Nagai e tutto il suo universo (composto da numerosi spin-off ed innumerevoli crossover) un autentico tripudio di genio e sregolatezza come pochi altri mangaka possono offrire (qualcuno ha detto Leji Matsumoto?).  

Di solito non mi proietto in articoli fast-food. Pianifico attentamente e misuro con il calibro tutte le informazioni di cui dispongo. Prima di scrivere, diffondere o persino ammorbare il lettore, riguardo la serie TV o rigioco al videogioco in questione. Questo lo devo fare per onestà intellettuale nei confronti di chi legge, e anche nei miei. Credo che sia giusto, specialmente se si analizza un'opera, avere ben chiaro ogni singolo passaggio. 

Il punto è che non ci riesco, a riguardare Devilman Crybaby. C'ho provato ma non ci riesco.
Anche solo il risentire una sola singola nota della colonna sonora, a dir poco magniloquente, toccante, pomposa, mi commuove profondamente. Il solo rivedere un fotogramma animato, persino in forma di GIF, mi fa percorrere da autentici brividi. Il solo risentire un pezzetto di un dialogo (straordinariamente ben doppiato nel nostro idioma), mi spinge a quella sensazione che io definisco "Sindrome di Ai", dalla quale non si esce, se non psicologicamente a pezzi. 

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La sindrome di Ai, detta anche "Sindrome di Video Girl Ai" è una particolare condizione che porta il fruitore del manga/anime ad avere una forte compressione al plesso solare. È anche definibile come "mal di cuore" - ciò avviene in diversi stadi e con diverse patologie congenite.
Si riconosce la malattia con un grado di pericolosità A+ sulla scala otaku gemni.
Si tratta di una forma di afflizione riscontrata in molte opere manga/anime come Una Tomba per le Lucciole, Si Alza il vento e Devilman Crybaby.

Del resto ve l'ho detto, che è bellissimo.

Tutti conosciamo la storia di Devilman o, meglio, tutti crediamo di conoscere la storia di Devilman. In realtà, il manga cult di Go Nagai prendeva in giro un po' tutti. E la serie TV, destinata ad un pubblico infante, con l'uomo diavolo con i mutandoni, finiva in maniera canonica per gli anni da cui veniva, quindi non fa testo. Mi ricordo piuttosto di quando lo lessi, nel 1991, sugli scollati manga di Granata Press, non potevo nemmeno immaginare la fine. E ci rimasi parecchio male, a dirla tutta. Io che ero abituato ad eroi vincenti e manga che finivano bene (o che non finivano affatto!), non ero ancora pronto ad accettare la Divina Commedia di Go Nagai.

Eppure già all'epoca lo difesi da orde di detrattori. Sorpresi? No, che non lo siete: se siete miei coetanei, sapete benissimo che Devilman non ha mai avuto molto successo, anzi. Se siete lettori con meno lune del sottoscritto, credo che dirvelo vi possa aiutare a comprendere meglio quanto segue. Di solito, ad essere messo in dubbio nel manga, era il tratto caricaturale di Go Nagai, che non riscuoteva un gran plauso nelle fumetterie dell'epoca. Io c'ero. Me lo ricordo. Mi ricordo le frasi sprezzanti. 

Era inutile far presente che Go Nagai sapeva (eccome!) disegnare, ogni osservazione era legata, oserei dire indissolubilmente, alle basette appuntite di Ryo Asuka

"Ma son fatte con il righello? Maddai!"

Paradossalmente, l'aspetto più criticato di questa splendida serie TV è proprio l'aspetto estetico. Yuasa è un visionario, diciassette anni di carriera d'animazione dovrebbero aver sancito questo aspetto. Eppure, nel 2018, ancora mi trovo a dover parlare di implicita scelta stilistica, con solide basi contro fragili teorie che accampano "metodi al risparmio". Yuasa è un regista e animatore noto per aver realizzato da sempre anime e produzioni animate che hanno il classico e sovraesposto effetto alla Looney Tunes di Tex Avery. In una conferenza nel 2009, menzionò e definì influenze importanti nella sua prosa stilistica e visiva le prime opere di Walt Disney, Wallace and Groomit, Fantastic Mr. Fox e molte altre.

Yuasa è il punto d'incontro stilistico tra occidente e oriente, dove l'anime si fonde e si contorce in una forma assoluta di estetica prevaricazione delle barriere territoriali imposte dall'animazione cononica. Yuasa non utilizza questo stile per risparmiare, lo fa perché è parte integrante della sua personale ricerca. Spesso utilizza persino attori veri per trovare un fine ultimo al suo lavoro. Ed è vero, i dettagli non gli interessano più di tanto. Sin dall'inizio, è chiaro che i suoi interessi non erano nell'animazione tradizionale in stile anime, preferendo di gran lunga lo sketchier, l'arte più esagerata. Forse questo è uno fra i motivi per cui il suo insieme di lavori non è stato così celebrato tra i fan degli anime; Yuasa non è il classico animatore/regista nipponico.

Le sue influenze sono internazionali ed eclettiche, dall'animatore russo in stop-motion Ladislas Starevich al Sottomarino giallo dei Beatles (Yellow Submarine). Molti spettatori americani hanno visto per la prima volta il suo stile unico di animazione in una sequenza lisergica nell'episodio 9 di Samurai Champloo (avrebbe collaborato ancora una volta con Shinichiro Watanabe per dirigere il sedicesimo episodio di Space Dandy). Specialmente quando tratta gli elementi più surreali di un suo anime. E ovviamente, di aspetti "surreali" in una lotta senza quartiere contro la tribù dei demoni, è ovvio che ve ne siano. 

In Devilman Crybaby, questi aspetti "cartoony" sono messi in primo piano attraverso scene di ultraviolenza grafica, spesso anche sessuale, decisamente "over the top". Forme che si gonfiano, che si strizzano, che si allungano, con pochissimi dettagli, demoni dalle geometrie sballate, animazioni uniche che farebbero impazzire Erico Ghezzi in una sua maratona notturna. Lo stile di Yuasa non è cauto. O si ama o si disprezza senza mezzi termini. Non è dettagliato, non sfrutta tecniche ortodosse eppure, in qualche modo, è davvero molto vicino allo stile di Go Nagai.

Dal punto di vista tematico, l'adattamento di Devilman firmato da Masaki Yuasa è toccante, profondo, commovente. Lo so che è la storia di un uomo che si fonde con un demone e inizia a combattere a favore del genere umano. Il plot complessivo è stato mantenuto tale e quale. Sono le aggiunte, l'ammodernamento, la complessità delle tematiche trattate, lo stile utilizzato che lo rendono un'opera solenne. Preziosa sia dal punto di vista del recupero storico, sia dal punto di vista introspettivo e visionario, che si presta a molteplici osservazioni anche di carattere strettamente psicologico.   

Devilman, probabilmente, non ha mai offerto tutto quello che Masaki Yuasa ha voluto raccontare nella sua particolarissima versione a cura di Science Saru Studio. Non c'è traccia dell'aspetto "sportivo", nel manga originale di Nagai, non c'è spazio per i buffi comprimari delle peripezie scolastiche di Akira Fudo, partoriti da un tratto caricaturale del sensei Nagai. Non c'è spazio per tutti i tredici volumetti della versione italiana ma c'è spazio per il rap, la perdita d'identità, la sessualità, la voracità e mille altri aspetti che piacevolmente segnano un percorso di maturazione e crescita della stessa opera originale. Sì, è un uomo che si fonde con un diavolo e picchia i cattivi. Ma che stavolta sa piangere. E vi farà piangere.

Secondo molti appassionati dell'uomo diavolo, questo Devilman gioca un po' troppo a fare l'adulto, toccando aspetti, tra i più disparati, che non erano inclusi, ne competevano, ne volevano raccontarsi nel manga originale, tantomeno con tutta questa perizia sperimentale.

A mio avviso, Devilman è proprio cresciuto bene. È diventato un messaggero responsabile, che tra smartphone ed improvvisate rappate è in grado, attraverso sequenze ipnotizzanti, di portare la vecchia generazione a un nuovo punto di ingresso. Mentre le nuove leve hanno più familiarità con stile, character design e animazioni sperimentali, rispetto alla nostra vetusta tribù. Forse un po' troppo nostalgica e conservatrice, ancorata a concezioni ottuse e piuttosto vecchie. Cullata da quella cordialità di animazione affabile e piacevole che un adattamento anime deve possedere per piacere.  Certi metodi di lavoro sono frutto di un'epoca che non si ripeterà mai più. Vuoi per un motivo o per l'altro. Mettete quindi in disparte la pretesa di guardare una serie TV anime classica. Proiettatevi a capofitto dentro questo sabba di colori, musica e animazioni effervescenti, dai colori lisergici ed unici.

Ora mi rivolgo direttamente ai molti, troppi, detrattori di quest'opera. Lo faccio come un amico. Non dalla cattedra. Sono al vostro fianco, anche in questo momento. Se avete letto la mia precedente incursione nel mondo di Devilman, che si focalizzava sui due OAV di Katsuo Komatsubara, offrendo una trattazione completa, credo che sia chiaro che il sottoscritto considera molto importante un certo tipo di animazione, diciamo più tradizionale. È irraggiungibile, del resto, toccare due OAV come quelli di Komatsubara. Non ci sono più quelle personalità dell'animazione, anche in senso letterale, non c'è più quella metodologia.

Guardando con attenzione, lo stile e lo studio meticoloso di ogni singolo aspetto sono molto curati.

“Tutto riguarda quello che Ryo impara alla fine. Avevo intenzione di fare lo show con quello in mente. Ryo incontra Akira ad una giovane età e Akira è l’unico che lo supporta. Ryo, in profondità nel suo cuore, sente che Akira è l’unica cosa di questo mondo che vale la pena tenere, ma non se ne rende conto. Noi, come umani, possiamo valutare gli altri non solo dal fatto che sono ‘forti’ o ‘deboli’, come è logico. C’è qualcosa che è più importante delle regole dell’ordine naturale. Voglio che il pubblico veda come Ryo realizza tutto questo”.

Devilman Crybaby è senza dubbio Devilman. L'anima dell'uomo diavolo pulsa in quest'opera dall'inizio alla fine. Ne rispecchia ogni singolo aspetto, ha un carattere forte come il suo nuovo creatore, che non lesina certo su nessun aspetto della storia originale, anzi offre nuovi stimoli, decisamente unici. Sono dieci puntate che omaggiano e celebrano la più grande creazione di Go Nagai di sempre, non me ne vogliano i fan di Mazinga Z e Jeeg. 

E probabilmente, Devilman Crybaby, resta l'ultima grande celebrazione di Devilman.

Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.
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