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The Beast Inside punta a tirar fuori il dirigibile marrone che è in te

The Beast Inside punta a tirar fuori il dirigibile marrone che è in te

L’altro giorno è partita su Kickstarter una campagna di raccolta fondi per l’ennesimo gioco sviluppato da esuli di questo e quello studio, un mix di giornalisti e veterani del settore, con anche qualche fuoriuscito da The Farm 51 (i creatori di Get Even). Si tratta di The Beast Inside, un survival horror dalla visuale in prima persona che prova a giocarsi tutto su atmosfera, struttura a tratti quasi da avventura grafica, con quel genere di piccoli puzzle ed enigmi che i survival horror si sono negli anni scrollati di dosso, e un sistema di gestione “fisica” degli oggetti molto capillare. La storia racconta di tale Adam, agente della CIA ai tempi della Guerra Fredda che – non sapendo di essere protagonista di una storia horror – decide di trasferirsi assieme alla moglie da Boston a una casa isolata nel bel mezzo della foresta. E già partiamo malissimo, come vuoi che vada a finire?

Ma in realtà, la demo per la stampa che ho provato nei giorni scorsi parte ancora peggio, mostrandoci la moglie in questione legata a una sedia e vittima di un matto armato pesantemente, pronto a ucciderla. Considerando che il gioco ha una visuale in prima persona, che osserviamo il tutto attraverso gli occhi del killer, che indossiamo una maschera e che, terminato questo prologo, gli eventi si spostano indietro di qualche giorno, il suggerimento è chiaro: la casa farà impazzire Adam (e noi stessi, in quanto giocatori) fino al punto di portarlo a massacrare la moglie. O forse no? Vai a sapere. Di certo, The Beast Inside sembra dichiarare subito il suo desiderio di sfruttare a dovere tutti i cliché del genere horror, giocandosi forse le carte di maggior personalità sul fronte del gameplay.

A un livello superficiale, il sistema di gioco può ricordare quello di un Gone Home, da cui sembra trarre ispirazione nel desiderio di offrire interazione massima con gli ambienti. Come nel gioco di Fullbright Company, è infatti possibile pasticciare con un po’ tutto quello che si trova in giro, fra libri, bicchieri, candelabri e via dicendo. Possiamo raccogliere gli oggetti, esaminarli, ruotarli, rimetterli a posto e lanciarli per la casa. Ovviamente, solo una parte di questi oggetti serve davvero a qualcosa, per scoprire informazioni o portare avanti la trama, e tipicamente sono gli oggetti che permettono qualche azione supplementare, tipo aprirli, leggerli o aggiungerli all’inventario. Ma nel complesso, questa impostazione aiuta senza dubbio a calarsi nel personaggio e negli ambienti.

A questo si aggiunge un sistema di interazione completamente basato sulla fisica, che fa sì che sia necessario trascinare letteralmente col mouse (o con la levetta analogica) gli oggetti pesanti che dobbiamo spostare, per esempio sedie o mobili, ma anche qualsiasi genere di porta, finestra, sportello o meccanismo si voglia aprire o chiudere. Anche in questo caso, l’immedesimazione e il senso di pseudorealismo ne guadagnano, ma c’è un rovescio della medaglia: questo sistema di controllo, se vogliamo, un po’ come accade nei giochi di Quantic Dream, può in certi momenti diventare tedioso. Capire da questa demo quanto saprà essere fastidioso è difficile: se i ritmi rimangono quelli da avventura riflessiva, come The Beast Inside sembra essere qui, sarà sicuramente più facile fare il callo ai lati negativi della cosa, ma in eventuali fasi più frenetiche, di fuga o magari da nascondino in stile Outlast, un sistema del genere potrebbe risultare davvero fastidioso. Vedremo.

Da un punto di vista strutturale, la descrizione su Kickstarter promette un gioco in cui ci saranno anche creature da affrontare, nascondendosi, scappando o combattendo con armi da fuoco. I timori di cui sopra sul funzionamento delle meccaniche, quindi, andranno affrontati. La demo, però, si concentra sul lato più avventuroso della faccenda, mettendo in mostra le fasi di esplorazione, lo sviluppo della trama, l'ottimo lavoro su atmosfera e caratterizzazione degli ambienti, l'utilizzo non originalissimo, ma solido, dei cliché horror e l'attenzione per gli enigmi da risolvere. Del resto, ha senso: l'evoluzione recente del survival horror ci ha abituati a scappare, nasconderci e combattere, molto meno a risolvere enigmi e goderci ambienti e storia, quindi la demo spinge soprattutto su quelli che, di fatto, potrebbero essere i tratti distintivi del gioco.

Fra questi, c'è lo sviluppo del racconto in parallelo fra due epoche separate. Nella prima fase della demo, Adam esplora la casa, porta avanti il trasloco e scopre una scatola chiusa tramite un congegno che offre un primo sguardo ai puzzle del gioco, richiedendo di interpretare alcuni indizi per intuire il codice di apertura del lucchetto. All'interno della scatola si trova il diario di Nicolas, un uomo vissuti ai tempi della Guerra Civile, e leggendolo si avvia un flashback, nel quale si controlla appunto Nicolas, esplorando una casa in condizioni molto meno accoglienti, affrontando un minigioco per scassinare serrature e ritrovandosi di fronte ad apparizioni inquietanti. Il tutto si sviluppa all'insegna di una bella atmosfera convincente, di un lavoro solido sul portare avanti il racconto e dell'attenzione, come detto, per enigmi che sembrano essere ben congegnati e contestualizzati come si deve. Insomma, bene.

Chiaramente è difficile farsi da questo demo un'idea chiara su come sarà il gioco. Il motore grafico si appoggia sull'Unreal Engine 4 e fa utilizzo della fotogrammetria resa popolare da The Vanishing of Ethan Carter, restituendo un'ambientazione curata e dalla bella atmosfera. Il lavoro sul suono, anche, è molto efficace, e nel complesso The Beast Inside sembra già essere molto solido, come del resto ci si deve aspettare da gente che non inizia oggi a lavorare nel settore. La personalità c'è, così come qualche idea che potrebbe dargli un sapore sufficientemente distintivo. Rimane però molto da valutare e vedremo col tempo come andranno le cose, nella speranza che il progetto non finisca per deragliare, come ogni tanto accade in zona crowdfunding. Vale la pena di puntarci diventando backer? Beh, quello sta voi.

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