A Star Is Born è bellissimo sia da guardare che da ascoltare
Fino a qualche giorno fa, avrei lanciato due picci su A Star Is Born giusto per la presenza di Lady Gaga, che oltre a essere bravissima a trasformare in oro tutto quel che tocca, mi pareva l’erede ideale di Judy Garland e Barbra Streisand.
Ero scettico, invece, riguardo a Bradley Cooper, qui al suo esordio come regista: un po’ perché - del tutto a pregiudizio, mi rendo conto - tendo a non fidarmi quando un attore in voga passa dietro la macchina da presa. Inoltre, al netto delle evidenti qualità, il protagonista di Una notte da leoni, American Hustle e Il lato positivo non mi aveva ancora convinto al cento per cento.
Grazie al cielo mi sbagliavo di grosso, ché non solo Bradley Cooper è riuscito a girare un film intenso, sincero e niente affatto banale, ma a mio modo di vedere ha pure consegnato la sua interpretazione più centrata, costruendo un affiatamento con la coprotagonista che trasuda da ogni millimetro di pellicola.
A Star Is Born (in uscita oggi in Italia, stranamente col titolo internazionale) è il terzo remake del film È nata una stella, diretto nel 1937 da William A. Wellman, a sua volta ispirato al precedente A che prezzo Hollywood? di George Cukor. Lo stesso Cukor ha poi curato il primo remake “ufficiale” e più celebre del film, quello del 1954 con Judy Garland, mentre la versione del 1976 venne affidata a Frank Pierson, che affiancò alla Streisand il musicista country Kris Kristofferson, recentemente comparso anche nel dramma musicale Blaze.
Tutto questo tralalà di riferimenti e rifacimenti viene accennato indirettamente anche nel film di Cooper, che a un certo punto si lancia - per bocca di Sam Elliott - in una digressione sul fatto che “la musica sta tutta in dodici note tra un’ottava e l’altra; la differenza è come uno le vede, quelle dodici note”.
La meta-narrazione, tuttavia, è solo uno dei tanti pezzi di carne messi sul fuoco da A Star Is Born, il cui “main theme” è quello del rapporto con la celebrità, che viene specchiato a sua volta in quello tra allievo (allieva, in questo caso) e maestro, ma che affonda le zampe nelle successioni al trono che tanto piacevano a Shakespeare. Insomma, niente di nuovo, se non fosse che la sensibilità di Cooper, assieme al calore della sua recitazione e alla presenza scenica pazzesca di Gaga (mi rifiuto di chiamarla col nome di battesimo, così come non ho mai chiamato quell’altro “Clay”), alza il volume della vicenda quel tanto che basta da far scordare quanto sia classica.
La vita e la carriera di Lady Gaga vanno così a sovrapporsi con quelle del suo personaggio, la cantante Ally, nel racconto del musicista country alla vecchia con problemi di bere, Jackson Maine (Bradley Cooper), che si innamora della giovane promessa destinata a superarlo.
Come ho detto, le scelte narrative di A Star Is Born non escono troppo dal solco, eppure non sono banali e, arando il terreno del film, fanno spuntare un bel mazzo di tematiche diverse. C’è, ad esempio, l’ansia dei vari personaggi nel misurare il tempo che passa; il motivo del “parricidio”, intrinseco nella narrazione allievo/maestro. La medesima relazione che lega Ally e Jackson, ma anche quest’ultimo al fratello Bobby (interpretato da uno strepitoso Sam Elliott), a loro volta infestati dal fantasma di un padre alcolista.
Parlando di musica, showbiz e confronti generazionali, A Star Is Born porta in scena anche il dialogo tra la musica del passato, quella del presente e magari del futuro, ma grazie al cielo riesce a dribblare i cliché sul presunto purismo à la La La Land, attraverso un ulteriore strato di complessità: il conflitto tra i personaggi e i loro corpi. Ally/Gaga non ritiene la propria presenza all’altezza di quella che il critico Lester Bangs definiva con disprezzo “industry of cool”, tant’è che all’inizio si nasconde dietro un trucco da burlesque mentre interpreta La Vie en rose.
Jackson Maine, di contro, è afflitto da gravi problemi di udito, oltre che dalla dipendenza da alcool e dalla depressione, e in generale non sono rare le scene in cui “la carne sciupata” dei due attori riempie la scena (sciupata contestualmente al film, eh, ché stiamo pur sempre parlando di belli). Piano piano, la giovane promessa e il suo pigmalione modificheranno la gerarchia della relazione che li lega, ma insicurezze e complessi reciproci finiranno sempre per far prevalere dolcezza e compassione sui conflitti, soffocando le invidie.
Altri nervi scoperti dal film sono poi la bassa aspettativa di vita delle carriere nel mondo dell’intrattenimento, la responsabilità degli artisti nei confronti dei media e dell’opinione pubblica e il loro dialogo con i fan. Tra le righe mi è parso di intravedere anche qualche riferimento alla vita di Amy Winehouse, ma vai a sapere se. Più in generale, come ho già detto, A Star Is Born mette un sacco di carne al fuoco e riesce tuttavia a non bruciarne nemmeno una fettina. Essì che, partendo da presupposti del genere, il film sarebbe potuto uscire banale in mille modi diversi, e invece no, niente.
Merito in buona parte della scrittura - curata dal veterano Eric Roth in concerto con Will Fetters e con lo stesso Cooper - che prende le distanze da certe pretese poetiche dei “racconti di star”, sostituendole con un lirismo più fine, misurato e genuino, e con dei dialoghi particolarmente azzeccati, recitati quasi “a morsi” dai protagonisti.
Le smozzicate distinguono anche la messa in scena. Bradley Cooper non fa miracoli, ma un lavoro pulito, quello sì. Se la gioca bene in termini di movimenti e montaggio, scegliendo una regia tamburellata, che batte il tempo con la vena musicale del film e che mostra qualche incertezza giusto nella seconda parte.
Vena musicale, tra l’altro, dalla quale i miracoli saltano fuori eccome. Lady Gaga è ovviamente bravissima, sia quando interpreta che quando fa la roba sua, ma pure Cooper se la cava benone, riuscendo sorprendentemente credibile nei panni del country rocker con la voce e la pelle consumate dall’alcool, e non facendo brutta figura nemmeno quando duetta con la partner. Tra l’altro, sempre lui se ne esce con quell’aria invecchiata e un po’ sciupata à la Jeff Bridges e, pur tenendo le mani nella regia, riesce a spiccare in un film nel quale recita benissimo persino il cane. Insomma, questo canta, interpreta, dirige: che deve fare, di più?
Ho guardato A Star Is Born in anteprima grazie a una proiezione stampa alla quale sono stato cortesemente invitato e, una volta tanto - al netto del solito discorso che sarebbe stato meglio senza, soprattutto in un film di cantare – il doppiaggio in italiano mi è parso tutto sommato buono. Tirerà aria di Oscar?