Racconti dall'ospizio #205: Battle Arena Toshinden: il miglior picchiaduro del mondo, anzi, dell'universo!
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Parto subito dicendo che io a Battle Arena Toshinden ci avrò giocato al massimo tre volte in vita mia, di cui una sicura allo SMAU del 1995. E tutte e tre le volte mi ci sono annoiato.
Come ho già ripetuto allo sfinimento, all’epoca ero un appassionato di Street Fighter II e consideravo i picchiaduro poligonali alla stregua di barbari. Amorfi ammassi di cubotti che nulla avevano a che spartire con certe raffinatezze di Capcom o SNK. Ero anche fermamente convinto che non avrebbero fatto molta strada, che sarebbero morti presto assieme al loro orribile treddì. Che gran minchione, ero :D.
In realtà Battle Arena Tohshinden - pubblicato da Takara nel 1995 e sviluppato da Tamsoft originariamente per PlayStation, ma sbarcato qualche mese dopo pure su Saturn - riscosse un buon successo di pubblico e critica in giro per il mondo. Tuttavia, come spesso succede in questi casi, fummo proprio noi italiani ad accompagnarlo davanti alle porte del mito, in via di una certa recensione.
Una recensione apparsa nientemeno che su Game Power, la rivista consolara e un po’ radicalscìc di Studio Vit, che scelse di premiare il gioco con un provocatorio 105/100. Cinque ricchi punti oltre la soglia consentita.
Ricordo che all’epoca dei fatti rimasi molto impressionato dalla faccenda, perlomeno prima di rubricarla come una provocazione, e bon. Però, quando un paio di mesi fa, qui su Outcast, è saltata fuori la cover story sonara, mi è presa una gran voglia di scoperchiare il vaso di Pandora. E non tanto per amore (mai pervenuto) verso Battle Arena Toshinden, quanto piuttosto per il gusto di infilarmi in una ricerca del tempo perduto. O per perdere tempo, fate voi.
E insomma, da una parte ero piuttosto sicuro che la rivista della vergogna fosse proprio Game Power, ma ancora mi mancavano i dettagli: numero, mese, autore del pezzo, eccetera. Per prima cosa ho infilato qualche parola a caso nel motore di Google, e i risultati mi hanno preso in contropiede: il tempo e la trasmissione prima orale, poi digitale, avevano finito col corrompere quel famoso 105/100, proprio come succede con i miti e le fiabe. Così, se su un forum Battle Arena Toshinden veniva celebrato come il gioco del 106/100, su un altro era diventato quello del 110, su un altro ancora quello de 108 e mi sono imbattuto persino in un paio di 116.
Val la pena di notare che cambiavano i voti ma mai la testata, così come nel folclore cambiano spesso i tipi ma non i motivi. Inoltre, a farci caso, è curioso che la degenerazione del ricordo non sia andata di pari passo col suo invecchiamento. Al contrario, più la data dei post si avvicina ai giorni nostri, più il motivo si riappropria della sua forma originaria, seguendo un andamento che farebbe uscire di testa gli studiosi di mitologia comparata.
C’è di mezzo internet, naturalmente, nella misura irripetibile del suo arrivo, che ha rinverdito ricordi che stavano appassendo e scansionato riviste che stavano marcendo. Peccato solo che l’unica a non essere passata per lo scanner era proprio quella che serviva a me, quel numero numero 36 di Game Power, uscito nel febbraio del 1995, parallelamente all’importazione parallela di Batoru Arīna Tōshinden.
Esclusa immediatamente l’evenienza di passare al setaccio la cantina dei miei, ho cercato su eBay fino a imbattermi in una copia ben conservata e venduta al modico prezzo di ventiquattro euro. Ora, è pur vero che stiamo parlando di un numero significativo eccetera eccetera, ma di spendere quel denaro non avevo voglia. Così, da marcione vero, ho scritto al venditore per capire se c’era modo di mettere gli occhi a scrocco sulle pagine acconcie. Mi aspettavo un vaffanculo, e invece ho trovato gentilezza: il tipo mi ha risposto che sì, poteva farmi avere due foto, ma purtroppo non in tempi stretti, perché non aveva la rivista sottomano.
Così ho spammato la richiesta sui social e le pagine desiderate mi sono arrivate nel giro di un paio d’ore, fotografate da un benefattore che ha scelto di restare anonimo (grazie, Alessio Filippelli, benefattore anonimo).
E insomma, dopo anni e anni dall’ultima volta, ho potuto rileggere la fantomatica recensione del 105/100. Che inizia così:
Ora, al di là della scelta di affettare per sillabe il titolo del gioco, è pazzesco che nel 1995 una roba come The Last Ninja, classe 1987, venisse considerata archeologia. Oggi non ci sogneremmo di considerare “antico” un gioco uscito nel 2011. Oddio, oppure sì?
C’è forse di mezzo la questione generazionale, che da ragazzi sette anni paiono un secolo e da vecchi uno sputo? Oppure, semplicemente, tra il 1987 e il 1995, l’evoluzione dei videogiochi era andata davvero a manetta, vai a sapere. Probabilmente la verità sta nel mezzo.
Sfizioso anche il passaggio delle brioche e la faccenda della bava che cola, concetto tipicamente legato alla dimensione cartacea della rivista. Così come pure la celebrazione delle armi che, di fatto, fanno di Battle Arena Tohshinden un antesignano di Soul Edge, piuttosto che “un clone di Virtua Fighter molto migliorato”. Segnatevi mentalmente quella “lacrima di commozione” e proseguiamo.
Si parte subito con una bella frecciatina a SEGA da console war piena, mentre la cosa dell’inquadratura inutilizzabile è vissuta dal redattore con grande entusiasmo. Mah.
Venendo invece al gioco, trovo interessante l’idea della tecnica segreta servita come ricompensa assieme al finale. Mi pare coerente sia a livello di ingaggio che in termini di narrazione: immagino non abbia preso piede nel genere in via della sua natura multiplayer, che fa slittare altrove il sistema di ricompense. Però, insomma, bella.
Prendo nota che nel 1996 il linguaggio cromatico delle barre di energia era già diventato uno standard irrinunciabile per i giochi di menare: con gli anni avrebbe finito per farsi strada un po’ dappertutto e ce lo portiamo dietro ancora oggi. Eppure, diversamente da Capcom col coetaneo Super Street Fighter II Turbo, Tamsoft aveva preferito risparmiare sull’interfaccia, dialogando con i giocatori attraverso un’unica barra, buona anche per comunicare l’OK alle tecniche più potenti. Può darsi che i picchiaduro poligonali patissero ancora un leggero gap evolutivo, in termini di profondità. Oppure, più banalmente, stavano cercando la loro strada.
La parte finale della recensione è probabilmente quella invecchiata peggio. Un po’ per la presenza di immagini che ormai neanche mia madre - “gli avversari del computer” - assieme all’abuso di puntini di sospensione e punti esclamativi, ma soprattutto per la deriva descrittiva e didascalica. Magari era una questione di linea editoriale, boh. Oppure, tutta ‘sta foga di far chiarezza era legata alla provenienza del gioco: l’unica versione di Battle Arena Tohshinden che circolava nel febbraio del 1995 era quella giapponese, come sottintende il ringraziamento a Future Games, negozio milanese in zona Piola dedito all’importazione parallela.
Venendo al misterioso redattore, è ampiamente noto che dietro al nick di Orwell 2000 si celasse Davide Soliani, oggi direttore creativo di Ubisoft Milano, che nell’estate del 2017 ha guidato la nazionale italiana dei videogiochi verso la vittoria dell’E3. C’è chi dice che, durante quella celeberrima presentazione di Mario + Rabbids Kingdom Battle, “Orwell 2000” abbia finalmente raggiunto la catarsi per quel giovanile errore di giudizio, abbandonandosi a un pianto liberatorio.
Ma non è tutto. Durante la breve indagine che mi ha accompagnato lungo la stesura di questo pezzo, sono emersi particolari che gettano più di un’ombra sull’uomo chiave di Ubisoft. Dopo aver fatto il botto all’E3, Soliani ha iniziato a far girare la voce che il voto gonfiato non sarebbe stato farina del suo sacco.
Quelle che avete appena letto sono le parole di Davide, fedelmente trascritte da una registrazione che ho avuto la possibilità di ascoltare grazie alla solita fonte che preferisce rimanere anonima. Si sarebbe trattato di un banale caso di console war giovanile, insomma. Una bravata caduta dall’alto (nella quale, secondo alcuni rumor, sarebbe coinvolta anche una misteriosa figura femminile vicina all'industry).
Eppure, viene difficile non immaginare l’esistenza di una lauta contropartita da parte di Sony come “ringraziamento” per quella valutazione così esagerata. C’è addirittura chi sospetta che il nostro abbia ricoperto un ruolo chiave nella caduta del Saturn, sabotando con successo lo sviluppo di Sonic X-treme, il Progetto Machiavelli dei videogiochi, prima di ripulirsi la fedina penale a suon di palanche e rifarsi una carriera in Ubisoft.
Naturalmente tutti questi misteri, negli anni, hanno alimentato teorie di ogni tipo. La leggenda metropolitana più diffusa racconta che Davide Soliani sarebbe stato eliminato dalla Yakuza nel 1997 e sostituito da un sosia (difficile non pensare a Baratto: nomen omen).
Secondo questa macabra dietrologia, il “nuovo Soliani”, per gestire il rimorso, avrebbe nascosto tra le copertine dei suoi giochi tutta una serie di indizi legati all’identità perduta.
Lasciando per un attimo da parte i complotti e restando sul concreto, però, sarebbe lecito chiedersi cosa penserebbero di lui i vertici di Nintendo e gli azionisti se saltassero fuori gli impicci passati con Sony. Difficile dirlo, perché ormai, quando si parla di Soliani, verità e finzione hanno meno senso di questa pagella:
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a PlayStation Classic e alla prima PlayStation, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.