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eXistenZ #30 - Diggin’ in the Carts: A Documentary Series About Japanese Video Games Music

eXistenZ #30 - Diggin’ in the Carts: A Documentary Series About Japanese Video Games Music

eXistenZ è la nostra rubrica in cui si chiacchiera del rapporto fra videogiochi e cinema, infilandoci in mezzo anche po’ qualsiasi altra cosa ci passi per la testa e sia anche solo vagamente attinente. Si chiama eXistenZ perché quell’altro film di Cronenberg ce lo siamo bruciato e perché a dirla tutta è questo quello che parla proprio di videogiochi.

 tempora, o mores! Noi, che per una vita siamo stati abituati a far tutto da soli, siamo arrivati al punto di dover ringraziare chi non ci saremmo mai sognati di dover ringraziare. Noi, già, ovvero retrogamer allucinati, compositori a fosfori verdi, archivisti sepolti sotto tonnellate di vecchie riviste e di polverosissimi cartuccioni per NES. Sono decenni che ci muoviamo nei condotti fognari di una certa (contro)cultura, quella che vuole la realtà dipinta di pixel grossi come mattoni e musicata da chip che sono tutto un pigolio. E sono decenni che, quando quelli là fuori ci danno un’occhiata, reagiamo in maniera scomposta, un po’ supponenti e un po’ insofferenti. Ma che volete capirne, voi, della nostra roba? Lasciateci fare. Lasciateci stare.

E poi, all’improvviso, sotto agli occhi ti capitano sei video targati Red Bull che sembrano fatti apposta per noi. Red Bull, per l’amor del cielo, che è un marchio che con l’ambiente “retro” non ha niente a che fare. Al limite è roba per la generazione COD, generazione che ovviamente (e comprensibilmente, anche, e giustamente, pure) si presume relativamente poco interessata alla nascita e all’evoluzione delle musichette dei videogiochi. Questo in generale. E, in particolare, alle musichette dei videogiochi giapponesi degli Anni Ottanta e dei primi Novanta. E così, quando ci si ritrova a far partire il primo dei sei video che compongono la serie battezzata Diggin’ in The Carts: A Documentary Series About Japanese Video Games Music, sia detto per dovere di cronaca, una certa diffidente supponenza è d’obbligo: che vorranno mai saperne, questi qua, ubriachi di beveroni energetici e inzuppati di taurina, delle nostre musichette?

Questa immagine qui è per chi c’era. E per chi ancora c’è.

Questa immagine qui è per chi c’era. E per chi ancora c’è.

E invece, miseria ladra, tempo dieci minuti e ci si ritrova con gli occhi (e le orecchie) pieni di meraviglia. Perché dei video così, su un argomento tanto estremo come le colonne sonore dei videogiochi giapponesi dei tempi che furono, mai si sono visti prima. Appassionati e appassionanti? E come no. Informati e informativi? Anche sì. Divertiti e divertenti? Pure. E, come nota a margine ma nemmeno tanto, visto che sono stati prodotti da gente che di soldi ne ha a bancalate, sono pure superpro. E questo lo si capisce in un attimo. Basta badare ai setting scelti per le interviste, per esempio, che spaziano dai giardini zen di Kyoto al salotto buono della casa di campagna di Uematsu. O, ancora, basta prestare attenzione ai tizi che sono stati disturbati dagli emissari della Red Bull, che sono andati a scomodare non solo Uematsu in persona (e in ciabattoni, tra l’altro), ma pure Junko Ozawa (una Signora, fatta e finita, che nei primi Ottanta si prese la briga di musicare, per conto di Namco, robette come Gaplus e The Tower of Druaga).

Scrivevi musica per conto di Namco, nei primi Ottanta, e vivevi con la consapevolezza che da un momento all’altro potevi essere rapita: signori e signore, ecco a voi Junko Ozawa.

Scrivevi musica per conto di Namco, nei primi Ottanta, e vivevi con la consapevolezza che da un momento all’altro potevi essere rapita: signori e signore, ecco a voi Junko Ozawa.

E Hirokazu “Hip” Tanaka (quello di Nintendo, sì, responsabile, tra le altre cose, dei chip audio del NES e del Game Boy). E pure Akio Dobashi (dei Rebecca, una preistorica band j-pop, che prestò il suo estro alla ciurma di Konami per Lagrange Point, primo cartuccione per NES dentro al quale era stato infilato, a tradimento, un sintetizzatore FM). O Masashi Kageyama (quello di Gimmick! della Sunsoft, e che siete autorizzati a non conoscere, ma che entro la fine del secondo video arriverete a considerare idolo assoluto). E, insomma, tra uno Yuzo Koshiro (questo lo conoscete di sicuro) e un Hitoshi Sakimoto (probabile che conosciate pure questo qua) rischieremmo di far notte. Fate prima a prendervi un paio d’ore (un goccio meno, e sia, visto che le puntate durano circa quindici minuti) e a farvi un viaggio indietro nel tempo (e nello spazio, anche) alla scoperta di una contro/sotto cultura che ci ha scheggiato un po’ tutti, noi che siam cresciuti aggrappati ai joystick dei coin-op o avvinghiati ai pad dei NES, dei Super Nintendo e dei Mega Drive. I primi quattro video, 99 su 100, vi (ri)porteranno ai matti. Gli ultimi, che si concentrano su tempi più recenti (come quello che indaga l’inizio della fine, ovvero l’arrivo della prima Play e, quindi, del CD), magari vi entusiasmeranno un po’ meno. Una gran voglia di Red Bull, comunque, ve la metteranno addosso lo stesso. Come confermano il Bortolotti e il Babich, tra l’altro, che interpellati a proposito di ‘sti video hanno gentilmente scribacchiato quello che incolliamo di seguito.

Hirokazu “Hip” Tanaka nel suo locale preferito, dove da ragazzo si innamorò del reggae. Cose del genere le potete vedere per la prima volta in ‘sti video qui. Roba da matti.

Hirokazu “Hip” Tanaka nel suo locale preferito, dove da ragazzo si innamorò del reggae. Cose del genere le potete vedere per la prima volta in ‘sti video qui. Roba da matti.

Non sono un bevitore di energy drink, ma dopo aver visto Digging’ in the Carts avverto il dovere morale di acquistare un bancale di Red Bull. Non è un semplice documentario, è un ritratto dipinto con amore, rispetto e talento. Per farvi capire quanto mi è piaciuto Diggin’ in the Carts, posso descrivere l'effetto di ogni puntata. Non appena iniziano i titoli di coda, corro furiosamente verso il Game Boy. Devo scrivere, devo fare musica, devo produrre suoni. Devo giocherellare con un'onda a quattro bit copiata dal foglio di carta millimetrata di Junko Ozawa. Devo provare a fare un pezzo con la batteria in stile Gradius. Devo studiare la sintesi FM perché da grande voglio fare Yuzo Koshiro. L'ispirazione non ha prezzo. Grazie Red Bull. Grazie davvero.

Fabio “Kenobit” Bortolotti

Questo tizio qui, Masashi Kageyama, è facile che non lo conosciate. Prima della fine del secondo video avrete un nuovo eroe.

Questo tizio qui, Masashi Kageyama, è facile che non lo conosciate. Prima della fine del secondo video avrete un nuovo eroe.

Visto 10 minuti fa ci sono ancora sotto è clamoroso bellissimo la Red Bull è la mia bibita preferita d'ora in poi per sempre e non voglio più sentire parlare di Calvados sto usando il telefono con la sintesi di riconoscimento vocale per quello scrivo come Joyce.

Andrea “Bisboch” Babich

E, insomma... play.

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Tanto casino, pochi giochi, troppa Games Week 2014