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Il doppio orgasmo di Bayonetta 2

Il doppio orgasmo di Bayonetta 2

Sono le tre del mattino. La luna – mezza luna, in effetti – sbuca dalle nuvole. È il momento di abbandonare Bayonetta 2 per abbandonarsi tra le braccia, invero meno invitanti, di Morfeo. Ed è nel letto, al buio, sfinito dall’epicità dirompente del gioco, che realizzo come stia succedendo. Cosa? Be’, sta succedendo che visualizzo i pensieri con marcatissimi momenti di rallentatore in bullet time. Pure con lo stesso suono “vuoooonnn”. Sì. Una meccanica di gioco si intromette nella mia fase pre-nanna. È la notissima “Sindrome di Pažitnov”, cioè quella di quando giochi troppo a Tetris e, sostanzialmente, sei talmente inscimmiato che poi continui a vedere blocchetti che cadono per ore, per giorni, per sempre. Bene, pur sperando di non vedere i pensieri che vanno in bullet time per sempre, perché è un po’ scomodo nella gestione complessiva della vita, non posso che rallegrarmi, perché ciò che mi sta accadendo è un Seal of Quality per Bayonetta 2. Sì: il carrozzone sgangherato, sopra le righe, barocco e jappo-esagerato di Bayonetta torna a convincere in questa seconda incarnazione nonostante gli anni sul groppone e nonostante la ricetta sia rimasta sostanzialmente invariata dai tempi del predecessore. Ma è così. Bayonetta 2 si compone di almeno tre tipologie di gameplay. Il 70% del tempo lo passate combattendo, ovvero picchiando come fabbri gente che cerca di picchiarvi come fabbri. Il 15% lo passate gironzolando alla ricerca di risorse, scrigni segreti, oggettistica assortita e punti nascosti che danno il via a ulteriori combattimenti facoltativi. Poi ci sono un 10% di quelle variazioni chiamate in gergo “gameplay esotico” (cavalcare, volare sul jet di After Burner e altre amenità bayonettesche). Il restante 5% lo passate a domandarvi quale sia la migliore combinazione di armi e oggetti-modificatore per la sezione di gioco in cui state prendendo solenni mazzate (in maniera meno arzigogolata, parleremmo di “gestione dell’inventario”). E qui saremmo a 100%, ma lo sapete che i giochi jappo-esagerati nonstop action climax raggiungono tranquillamente un tanto arbitrario quanto esaltante 120%, sempre che vogliate sciropparvi con dedizione tutte le cutscene e i momenti narrativi offerti dal gioco, Vediamo come se la cava l’adorabile strega di Umbra in tutti questi frangenti. E perché.

Partiamo dal piatto forte. FIGHT! E ci sta, perché è lì per rasserenare tutti i ghiottoni che non vogliono accettare che il Giappone non se la passa più come una volta. Mettiamola così: da un lato della creatività giapponese action odierna c’è FromSoftware. Seri. Punitivi. Gotici. Grandiosi. Dall’altro c’è PlatinumGames e, nella fattispecie, questo Bayonetta 2 (e in mezzo ci sono un botto di altre cose, ma mica è un pamphlet, questo, è un’umile recensione!). Diciamolo: è la scuola del primo Devil May Cry portata all’ennesima potenza, affinata, raffinata, curata nei minimi dettagli affinché il giocatore più distratto se la spassi in una esaltante sensazione al limite dell’onnipotenza e, al contempo, il giocatore più agonistico la spassi in una esaltante sensazione al limite dell’onnipotenza. Sì. Lo stesso risultato.

Direte: be’, ma era un po’ quello che succedeva anche nell’originale. Vero. Verissimo. Parte delle armi a disposizione è cambiata, qualche potere equipaggiabile è stato reso più o meno potente, qualche oggettino di cui si sentiva la mancanza ora invece c’è. Ma, in buona sostanza, Platinum ha mirato a mantenere l’equilibrio funzionale intatto, limando soprattutto le statistiche al fine di offrire il migliore bilanciamento a tutti i giocatori che volessero optare per un approccio piuttosto che un altro. Esistono ovviamente armi che, da sole, vi porterebbero poco lontano – Kafka, l’arco maledetto insettoso, è sostanzialmente inutile nel corpo a corpo, per esempio – ma questi necessari sbilanciamenti sono compensati dalla ben nota genialata di fornire a Bayonetta una coppia di armi alle mani e una ai piedi, ulteriormente potenziata dalla possibilità di cambiare rapidamente tra due set di armi mani/piedi.

Tiro due spadate con le Rakshasa strette nei pugni, do una sanguinolenta spennellata qua e là con le seghe elettriche Salamandra che uso come pattini, cambio set di armi saltando all’indietro, scaglio una raffica di frecce avvelenate con l’arco di cui sopra e infine una scudisciata a lunghissima gittata con le Alruna che ho alle caviglie, essì, vero che le fruste sono un po’ impossibili da usare con le caviglie, ma è proprio questo il bello (ricordate bene: non si poteva, in Bayonetta, usare la frusta Kulshedra altro che in mano – ma nel nome della jappofesta più più più ora si può. Perché sì.)

Sicuramente un maggior impegno è stato profuso nell’effetto coreografico e nella varietà e concatenazione delle combo, è questo è un bene, ma a conti fatti non è che stiamo su un altro pianeta rispetto al primo Bayonetta, se non per i più raffinati esperti del genere – loro sì che avranno pane per i loro denti nel confrontare le sottigliezze statistiche che rendono più pulita l’esperienza. La novità più gustosa è rappresentata dalle Apoteosi di Umbra (in inglese Umbran Climax). Quando la vostra barra magica, a suon di mazzate, si è caricata a sufficienza, potrete scatenare un attacco non dissimile da quello che si trova di solito al termine di una combo particolarmente elaborata: enormi stivali fatti di capelli (yum!) che pestano l’avversario, spade grandi come sequoie che fanno barba, capelli e carotide ai giganti, robette sobrie così, insomma.

Ecco, se di solito ne vedete una all’apice di una combo, una volta scatenata un’Apoteosi di Umbra, SBAM, ne potete sparare un bel po’ per qualche secondo. Fossimo negli anni Ottanta, avremmo parlato di “compilation di schiaffazzi”. Se avete giocato il primo Bayonetta, ricorderete che un alto tasso di magia consentiva di scatenare contro certi nemici i divertenti Attacchi Torturanti: non temete, questa possibilità è rimasta, ma il fatto è che con le Apoteosi di Umbra non esiste il concetto di “certi nemici”: si pesta e basta, e tanto e tosto. No context-sensitive. Giù a muso duro. Soddisfazione grossolana, per un attimo si passa da un film di Ang Lee a uno di Bud Spencer, ma ci sta, perché è comunque il premio per una sequenza di combattimento portata a compimento con efficacia dal giocatore: la barra di potere sabbatico necessaria per scatenare questi attacchi va caricata infliggendo danni senza subirne, quindi no style prima, no Bud Spencer satanico dopo.

La sopraccitata facoltà di farsi amare tanto dai giocatori meno capaci quanto da quelli più salaci è conferita a Bayonetta 2 dal ben noto Sabbat Temporale, che permette di rallentare il tempo (quello degli avversari!) qualora si riesca a schivare al pelo un attacco con il provvidenziale tasto ZR. Una meccanica fantastica, nel primo episodio come nel secondo, forse il miglior uso del Bullet Time nei giochi d’azione. Il brivido c’è: arriva l’attacco, il tempismo è tutto, il brivido di adrenalina c’è – nel momento però in cui l’adrenalina è entrata in circolo, e avete insomma portato a termine la schivata, potete godervi il momento di gloria dato da un nemico impotente e rallentato, mentre voi tutte pimpanti lo rovinate di legnate. Cercare, a partire dal termine “climax”, una metafora sessuale per tutto ciò ci porterebbe probabilmente sulla strada degli orgasmi multipli, ma forse non è il caso – anche se in effetti lo abbiamo appena fatto, cavalcando il meccanismo retorico della preterizione, che dice sostenendo di non dire.

Platinum è stata attenta, anche più che nel primo episodio, a gestire i suoni e le animazioni dei nemici per far sì che sia chiaro quale deve essere il momento della schivata (e più all’ultimo istante la fate, più lungo sarà il Sabbat Temporale). Imparate a conoscere i vostri avversari, leggetene i movimenti, ascoltatene i suoni, intuite la “finestra di opportunità” in cui sottrarvi al loro colpo. E via, godetevi ciò che ne consegue. Perfino nelle situazioni più inverosimilmente concitate potrete appoggiarvi su uno dei vostri sensi per capire come evitare il pericolo. Magari non proprio sempre sempre – esistono momenti di bordello davvero inusitati per questa dimensione spaziotemporale videoludica che esperiamo ogni giorno – ma anche lì vi sorprenderete di come la morte sia lungi dall’essere l’unica opzione.

E per i meno capaci non finisce qui: i tre livelli di difficoltà disponibili in partenza si differenziano sensibilmente per l’impegno richiesto. È possibile rigiocare subito un capitolo della storia ad un altro livello di difficoltà, ed è costantemente tangibile la sensazione di miglioramento, a meno che non siate proprio dei pigiatori casuali seriali, ma anche così riuscirete a divertirvi).

Veniamo ora a quel 15% di esplorazione. Che è decisamente più debole. Magari non vi interessa, eh. Siete tipi che vanno dritti al dunque seguendo la linearità della storia e i chiari segnali che vi invitano a non perdervi. Ma se siete invece della risma dei perfettini, allora preparatevi a un po’ di frustrazione. Completisti? Non volete uscire da un’ambientazione senza averne sviscerato tutti i segreti? Ecco, Bayonetta 2 sarà un po’ antipatico, a tratti. Fuori dalla strada battuta troverete muri invisibili come non se ne vedevano da un bel po’, più che nel primo capitolo, perché qui ci sono più ambientazioni aperte. E ci starebbero anche, i muri invisibili, mica è un platform, se non fosse che poi ogni tanto invece non ci sono, perché magari da quella parte c’è un tesoro da scovare. Non c’è equità: certi passaggi che vi aspettereste di superare vi vengono brutalmente negati, altri no. La generale sontuosità della grafica spesso vi inganna: dai, lì posso andare, e invece è il bordo del livello. Ehi, ma là sotto c’è sicuramente qualcosa, sì, c’è il bordo inferiore del mondo (saggiamente, cadere nei baratri non comporta perdita di energia: almeno Platinum è conscia dei suoi limiti). Soprattutto le fasi acquatiche, fortunatamente una minoranza, risentono di questa disparità e sembra di lottare più contro delle forze invisibili poste dai level designer che non esplorare intrigati delle strutture ben studiate.

Capita poi di dover tornare sui propri passi per disputare una tenzone che, passando di là poco prima, non veniva attivata. Per una precisa scelta di design, i creatori di Bayonetta 2 hanno scelto di costringere il giocatore a questa arcaica forma di backtracking parziale. Occhio però a non avanzare troppo, ché magari una cutscene o comunque un avanzamento narrativo bloccano l’accesso alle aree precedenti, dove dovreste andare a stanare questi combattimenti secondari. Come quando siete già alla fermata dell’autobus e realizzate che la merenda l’avete lasciata a casa, ma la mamma ormai è uscita per andare a lavorare e voi non avete le chiavi di casa: pazienza, vado a scuola senza merenda, però che palle. Si tratta in pratica di imparare a menadito quando tornare indietro o, nel migliore dei casi, dove deliberatamente perdersi, di livello in livello. Data l’estrema pulizia del combattimento, queste fasi sembrano un po’ tagliate con l’accetta. Si chiude un occhio, ma c’è un po’ quella sensazione spasmodica di voler raggiungere al più presto una nuova zona dove picchiare, perché lì sì che ci si diverte.

E ci si diverte anche in quel decimo di gioco passato alle prese col “gameplay esotico”, che non vuol dire noci di cocco e banane, ma digressioni rispetto alle dinamiche ludiche viste finora. Sopra le righe come le vorreste, queste sezioni vi regalano adrenalina a buon mercato, ponendovi in situazioni talmente esilaranti che, se non vi esaltate, forse avete sbagliato gioco, ma soprattutto avete sbagliato hobby: i francobolli sono un’alternativa che dovreste prendere seriamente in considerazione. Sto facendo del mio meglio per non rovinarvi le tante sorprese che il gioco vi riserva in questo senso, sebbene la tentazione di spoilerare qua e là sia fortissima. Dove lavoro, per esempio, mi odiano ormai tutti per questa precisa ragione. Colpisce invero quanto Platinum sia andata sul sicuro nel replicare strutturalmente l’alternanza di gameplay vista nel primo episodio: i momenti di stacco dal combattimento “normale” sono posti a intervalli simili, anche se poi i contenuti differiscono e le sorprese, mi ripeto volentieri, sono spassosissime, con una nota di merito alla sezione sui robottoni (ok, sono “Armature di Umbra”, ma in realtà sono proprio robottoni anime della miglior specie che pestano senza pietà: è come se il gioco mantenesse il suo lato ignorante à la Final Fight sgravandovi per un po’ dell’aspetto stylish).

Agli antipodi di questi momenti da circo Togni on speed c’è quel serissimo 5% di tempo che spenderete a gestire l’inventario: cosa compro? Dove lo metto? Quali sono le migliori combinazioni di armi? È un piacere anche dannarsi l’anima, perché poi vi rendete conto che dovevate acquistare lo Sguardo della Disperazione e non la Luna di Mahaa Kalaa, quando il primo sembrava una schifezza da equipaggiare mentre la seconda una figata. Pazienza, si torna indietro a grindare un po’ in qualche area grind-friendly (non abbiamo notato i glitch eccessivi che taravano il primo episodio, dove a volercisi mettere era possibile svuotare il portafogli del gioco con brutalità addirittura greve, vero Temperance?).

E ora c’è la trama.

No, davvero, ora bisogna descrivere in qualche modo la trama.

Ecco fatto. Visualizzato ciò, sappiate che la trama di Bayonetta 2, a volerla analizzare con calma, ma proprio proprio mettendocisi lì con le conoscenze da bignami di sceneggiatura, beh, non ridete, ma ha un senso. La FABULA, ovvero l’ordine logico e cronologico degli eventi, in Bayonetta 2 è studiata con una certa coerenza. Tanto che, alla fine della fiera, vi renderete conto che quel pazzo di Hideki Kamiya se ne è venuto fuori con una storia che pone il primo e il secondo capitolo rispettivamente in un rapporto di prequel e sequel l’un l’altro. Ripetetelo mentre il cervelletto si ribella e urla “NO MORE!”: una storia che pone il primo e il secondo capitolo rispettivamente in un rapporto di prequel e sequel l’un l’altro. Tutto questo richiede di aver giocato Bayonetta 1, però, sennò proprio è un grande jackiechan.jpg forever and ever. Dato questo merito a Kamiya, è anche vero che l’INTRECCIO, cioè l’organizzazione dei fatti narrati secondo l’ordine voluto dall’autore, è un mindfuck jackiechan al cubo alla nona di Beethoven dottor Thomas non è in sede.

Tra analessi e prolessi si arriva al prolasso narrativo, con digressioni ridicole e personaggi lasciati là per un po’, poi ripresi, poi “ehi è un po’ che non si vede Luka, aspetta che lo ripigliamo fuori” o anche “ehi dobbiamo far sparire di scena Loki, come facciamo, ah, sì, facciamo arrivare Luka dal nulla col rampino”. Senza nemmeno discutere la follia incongruente generale di personaggi e ambientazione, quella va benissimo, eh. Jappopazzia portami via. Che poi con ‘sto trucco c’è un bel po’ di riciclo di personaggi, texture e ambientazioni del primo episodio, e diciamolo. Non è un problema, se poi c’è una grossa porzione di gioco che conduce Bayonetta e i suoi amici diversamente interessanti all’inferno, con una masnada di demoni inediti che è un piacere farli a fette, con nuove evocazioni demoniache che è tutto un oooh e aaaah e la qualità è salva nonostante qualche riciclo innegabile e tangibile.

Il vuoto mentale pneumatico di gran parte dei personaggi ha però un pregio: Bayonetta e una manciata di altri soggetti sembrano attori shakesperiani, a confronto. La nostra, in particolare, succhia molti meno lecca-lecca e fa molto meno la sciantosa (l’incipit del gioco è assolutamente fuorviante), cresce man mano come donna e riesce a essere, pur conciata come la commessa di un sexy-shop di Novate Milanese, più sfaccettata e intensa di molti altri ruoli femminili ludici e cinematografici. Proprio come Liz Hurley alla prima di Quattro Matrimoni e un Funerale nel suo clamoroso vestito nero Versace, Bayonetta definisce i paradossi di un femminismo controverso, di nuova generazione, che celebra la responsabilizzazione nell’atto di attrarre e manipolare lo sguardo maschile, per poi liberarsene perché alla fine gli uomini “sono solo una miserabile pila di segreti”, come diceva qualcuno voi-sapete-chi.

Ora dimenticate per sempre Liz Hurley, il cui femminismo si fermava alle graffette del vestito Versace. E tornate a Bayonetta. Come si trova, su Wii U? Bene, grazie, rock solid a 60 fps quando serve, butter solid a indefiniti fps quando invece non ce la fa, che per fortuna è di rado, tipicamente mentre state esclamando tutto maiuscolo OMMIODDIOOOOOOOOO e sbra sbra sbrammmm. Per la vostra gioia ho giocato tutto il gioco col paddone infernale e l’ho trovato ottimo, comodo, mai stancante, anzi, nei momenti di punizione dei nemici (quando dovete pigiare come pazzi i pulsanti per incrementare il danno recato da una mossa finale) si è rivelato più divertente di un controller tradizionale. Più fisico per dimensioni e ergonomia. Anche se quel suo rumble che vibra disperatamente facendo bzzzzzzzz è un po’ stucchevole, fortuna che c’è un audio celestiale e satanico al tempo stesso che va sparato assolutamente a volume improbabile. La colonna sonora è davvero “Bayonetta 1 by numbers”. Non ce ne lamentiamo, eh, perfetta per il gioco e di altissima qualità, ma non aspettatevi sorprese eccentriche. Là dove c’era Fly me to the Moon ora c’è Moon River, là dove c’era Mysterious Destiny ora c’è Tomorrow is Mine, là dove c’era l’erba ora c’è una città.

Né fatevi fuorviare dalle tante illustrazioni di Bayonetta vestita in stile nintendoso: si tratta di contenuti sbloccabili sensibilmente avanti nel gioco (a parte il costume da Samus, che da taccagno non ho manco comprato). Non combatterete contro Yoshi e non incontrerete nessuno vestito da Waluigi, e anche i riferimenti a vecchi franchise SEGA sono stati ridotti all’osso. Bayonetta 2 è fiero della sua cifra stilistica e della sua identità ludica e può benissimo affrancarsi da certe sudditanze (tranne se si tratta di cercare di vendere qualche copia in più, e allora ben venga un po’ di Nintendo Porn con la nostra strega agghindata come Peach, è solo per la causa dei Videogiochi Giapponesi di Qualità, che diamine!)

Ah! Sì! Poi c’è la modalità Doppia Apoteosi, che me la stavo dimenticando, tanto mi ha entusiasmato, fate voi. Quella in cui ci si cimenta in scene selezionate del gioco combattendo fianco a fianco con un altro giocatore online. Il mio scarso entusiasmo deriva innanzitutto dal fatto che, non essendo uscito qui da noi il gioco al momento in cui scrivo, riuscire a cimentarsi online è stata una roba da latte alle ginocchia, che poi è diventato acido, che poi ha cagliato, che poi s’è fatta la ricotta e ancora non ho giocato online, ecco. Tuttavia si può simulare la sfida usando la CPU, e mi ha un po’ stranito: combattere fianco a fianco per finire il livello ma allo stesso tempo cercare di fare più punti (soldi) dell’altro giocatore? Cooperativo/competitivo, OK, ma continuo a sentire Bayonetta come un’esperienza single player, fintanto che non mi permettete di imbarcarmi nella campagna principale assieme a un altro giocatore. Il sospetto è legittimo: volevano farlo, non hanno fatto in tempo. Ma tant’è, Bayonetta 2 resta un ottimo gioco anche se con qualche occasione sprecata – ardire l’inserimento di una maggiore quantità di innovazione, per esempio, o definire meglio i perché e i percome del lato esplorativo con un level design che bilanci meglio libertà e limiti di movimento. Così com’è è eccellente ma sembra quasi la metà di un Bayonetta 1 lungo il doppio che noi non lo sapevamo, ma ancora mancava all’appello. Consigliatissmo pertanto l’acquisto dell’edizione limititata, che comprende entrambi i giochi – anche perché vi trovate una rendizione del primo capitolo coi fiocchi, i cotillon e qualche ameno contenuto sbloccabile in più. Insieme, Bayonetta 1 e 2 sono un’esperienza fondamentale nella vita del vostro Wii U, ma sul serio, perentoriamente, andate, comprate, giocate, godete.

Ho giocato a Bayonetta 2 col codice download eccetera eccetera. L’ho finito a difficoltà media, poi ho finito capitoli qua e là a modalità duretta, non sbloccando purtroppo quella durissima, abbiate pazienza. Poi l’ho provato a modalità facile ma insomma, ormai me lo rigioco tutto a Hard e tanti saluti. Sto in scimmia di continuare a giocarlo. Mi sembra un buon segno. Ho anche dato una rapida occhiata a Bayonetta 1, ché ci avevo pure il codice per quello, grazie, Nintendo, spero proprio il gioco venda quanto possibile qui da noi, mica come in Giappone che si sono evidentemente bevuti il cervello.

Voto: 8,5

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Videopep #86 – Elefanti a Parigi

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