Il Joker di Joaquin Phoenix è il migliore? | Training montage
La discussione a cena con gli amici sul film del momento è un po’ il climax della vostra settimana, ammettetelo. Bisogna arrivare al sabato sera con una solida preparazione atletica, pronti a schivare frasi fatte e a piazzare al momento appropriato l’aneddoto decisivo sul mento del vostro avversario. L’idea di Training montage è proprio questa, consigliarvi i film giusti e le letture opportune per stare sempre sul pezzo.
Il training montage è una sequenza in cui, in pochi minuti, con un rapido montaggio di immagini che scorrono mentre in sottofondo si ascolta una bella colonna sonora motivazionale, si sintetizzano mesi e mesi di preparazione del protagonista a un evento che, di solito, rappresenta il climax del film. Non so se è una roba inventata da John G. Avildsen e Sylvester Stallone con Rocky; sta di fatto che la saga del pugile italoamericano ha plasmato a tal punto l’immaginario collettivo che il training montage è diventato elemento standard e tassello fondamentale di ogni film sportivo che si rispetti. Ma non solo, ormai lo si trova un po’ in ogni film che parla di sfide professionali, di caduta e rinascita o, più in generale, che culmina in un confronto tra protagonista e antagonista.
Dal 3 ottobre troverete in sala Joker, di Todd Phillips, e quindi la frase fatta della settimana è: “Quello di Joaquin Phoenix è il miglior Joker della storia del cinema.”
La sentirete e leggerete spesso, un po’ perché la campagna marketing orientata a una possibile candidatura agli Oscar sta spingendo tantissimo la performance di Phoenix, un po’ perché attorno al film ruotano un’attesa spasmodica e una voglia matta di parlarne, specie dopo la vittoria del Leone d’Oro alla 76° Mostra del cinema di Venezia e tutti i discorsi sulla legittimazione intellettuale del cinecomic che ha portato con sé.
E non è detto che la frase sia totalmente campata per aria: Joaquin Phoenix è senza dubbio uno dei migliori attori della sua generazione e le prime recensioni celebrano tanto la sua interpretazione, quanto il personaggio immaginato e rielaborato da Todd Phillips. C’è da dire, però, che la concorrenza per lo scettro di “miglior Joker” è abbastanza agguerrita, visto che la storia del cinema ci ha regalato già almeno due performance memorabili. Ma arriviamoci per gradi.
Todd Phillips, interrogato sulle sue fonti di ispirazione, ha citato due film che tutti quanti hanno tirato in ballo dopo aver soltanto visto il trailer (ovveroTaxi Driver e Re per una notte di Scorsese) e altri tre film girati a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta: Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman, Serpico di Sidney Lumet e Toro Scatenato.
Rimasto a bordo per gran parte dello sviluppo della sceneggiatura e defilatosi all’inizio della fase di pre-produzione per poter girare The Irishmen, Martin Scorsese ha fortemente influenzato gli autori di Joker: l’ambientazione nel tempo (gli anni Settanta) e nello spazio (New York), la presenza di De Niro, il protagonista borderline sono tutti elementi cari al regista italoamericano. Phillips, però, ci tiene a far sapere che non è solo una questione di omaggi e citazioni, ma di essersi ispirato alla maniera di raccontare una storia prettamente orientata allo studio del personaggio, una struttura narrativa molto in voga tra gli esponenti della new wave hollywoodiana degli anni Settanta.
Ovviamente, la base di una buona preparazione atletica in vista di Joker passa per la visione dei film già citati, a prescindere dal fatto che si tratti di una prima volta o che facciano già parte del vostro bagaglio culturale. Il linguaggio universale di Martin Scorsese ci parla in maniera diretta, schietta, e ha ancora oggi una vagonata di cose da dire: se Taxi Driver e Toro Scatenato restano le sue opere più famose (ed è estremamente difficile che non siate incappati nemmeno in un loro passaggio televisivo), Re per una notte è una perla dimenticata che va riscoperta.
La trama è semplice (cit.): un aspirante comico, Rupert Pupkin, decide di rapire il celebre conduttore Jerry Langford per costringerlo a concedergli un’opportunità di esibirsi nel suo programma televisivo. Promosso dalla critica, il film uscito nelle sale nel 1983 fu perlopiù ignorato o, nel migliore dei casi, frainteso dal pubblico, che si aspettava una commedia e invece si ritrovò per le mani una pellicola frustrante e incredibilmente poco confortevole, senza sapere bene cosa farsene di un’opera così in anticipo sui tempi.
Nell’intervista concessa al giornalista Michael Henry Wilson il 15 febbraio del 1983, emerge come lo stesso Scorsese fosse disorientato dalla confusione di valori di Pupkin e dalla sua ossessione per un “semplice” idolo televisivo: “Se Langford fosse stato Gandhi, Mosè o Cristo, allora sì, i mezzi impiegati da Rupert sarebbero giustificati. […]L’ossessione di Pupkin è misteriosa.”
Re per una notte parla di un uomo emotivamente e mentalmente instabile (Rupert Pupkin), che cerca la fama ma non riesce nemmeno a far sì che gli altri ricordino il suo cognome. Una storia che forse dice più cose a noi e alla nostra società dell’apparire che a chi lo vide negli anni Ottanta.
In ogni caso, a un livello più viscerale, Rupert Pupkin ignora le convenzioni sociali e il buon gusto, non sa cosa significhi la privacy del prossimo, è invadente e maldestro, il che rende Re per una notte una fra le esperienze più genuinamente cringe che possiate regalare a voi stessi (lo trovate su Amazon Prime Video in alta definizione).
Torniamo al clown.
La nemesi di Batman, finora, non è mai stata protagonista di una pellicola tutta sua. Tuttavia, si tratta probabilmente del villain apparso in più pellicole nella storia del genere supereroico. Quattro attori hanno prestato il loro volto al trucco e parrucco: Cesar Romero, Jack Nicholson, Heath Ledger e Jared Leto.
Tralasciando il primo, apparso nel film del 1966 e tratto dalla serie televisiva camp, e l’ultimo, che non ha lasciato il segno nel cuore degli spettatori (anche a causa del piccolissimo minutaggio riservatogli in Suicide Squad), l’uscita di Joker al cinema è un’occasione ghiotta per riguardare Batman di Tim Burton e Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, e apprezzare le differenze tra le due versioni cinematografiche più celebri del pagliaccio principe del crimine.
Nel fumetto, le origini del personaggio sono sempre state molto fumose, e ogni volta che si è cercato di fare chiarezza l’alone di mistero è rimasto intatto almeno fino al retcon successivo. Questo ha reso la storia di background di Joker, per i cineasti cimentatisi nelle numerose trasposizioni cinematografiche, una sorta di panetto di creta da modellare a piacimento, senza badare troppo alla fonte originaria.
Nel Batman di Tim Burton, uscito in Italia nell’ottobre del 1989 (questo mese si festeggia il trentesimo anniversario), l’idea geniale è quella di creare una sorta di doppio loop narrativo: Jack Napier, il criminale responsabile dell’omicidio dei coniugi Wayne e, di conseguenza, dell’origine di Batman, si trasforma nel Joker in seguito a un incidente nell’impianto chimico della Axis (un po’ come accade in The Killing Joke di Alan Moore) causato dallo stesso Batman.
Jack Nicholson, vestito come un gangster uscito da un noir anni Trenta, gigioneggia, va spesso in overacting, sfrutta i suoi connotati (esasperati dal trucco prostetico) e la sua espressività per passare in un lampo dal clown giocherellone allo psicopatico omicida, suscitando sia una strizza pazzesca che la sensazione di voler ridere con lui. Il suo Joker è un performer che trova il lato divertente in ogni situazione, anche quando non c’è davvero nulla di divertente.
Il film di Burton è sicuramente figlio del suo tempo e l’inflazionato filone dei superhero movie, specie dopo l’accelerata di questi ultimi anni, va al doppio della velocità rispetto agli altri generi e sottogeneri. Batman ha le stimmate del primo esempio di film tratto dai fumetti di supereroi americani che prende sul serio la materia di ispirazione (se mi dite Superman, io rispondo Richard Pryor), e quindi è invecchiato male, per certi versi – i costumi sono quelli alla moda a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, cioè un pugno nell’occhio, e certi espedienti narrativi risultano superati e abbastanza ingenui – ma benissimo sotto altri punti di vista. Resta una grande produzione, ancora oggi appassionante e divertente, che si incastra bene nella filmografia di Burton (si parla pur sempre di padri e figli e di freak). Un’opera colta in cui si fa il verso all’utilizzo delle luci e al gusto per gli spazi e le scenografie del cinema espressionista tedesco, si citano Hitchcock e Frankenstein, e in cui se appare un quadro di Francis Bacon non è messo lì a caso per dare un tono all’ambiente.
La proposta di Heath Ledger, invece, è radicalmente diversa da quella di Nicholson: il suo Joker è un terrorista anarchico privo del substrato giocoso della precedente incarnazione del personaggio. Se il Joker de Il cavaliere oscuro ti sta tirando uno scherzo, lo sta facendo per ficcarti una matita in un occhio. Mentre la versione di Nicholson attingeva a piene mani dal passato gangster di Jack Napier ed era mossa da un sentimento di vendetta, misto alla generica volontà di conquista del mondo criminale di Gotham, quella di Ledger è mossa da un’ideologia precisa: mettere in discussione l’ordine costituito, instillare il dubbio, denudare la miseria umana dimostrando che, di fronte al pericolo e al caos, l’istinto di sopravvivenza e il bisogno di sopraffazione prevalgono su ogni sentimento di solidarietà.
Il Joker di Nicholson è pura improvvisazione di una mente criminale priva di scrupoli, con un senso dell’umorismo da avanspettacolo; quello di Ledger è un comunicatore con un’agenda politica (corrompere l’anima di Gotham) e una tabella di marcia densa di piani tanto ingegnosi quanto dettagliati. Il Joker di Ledger usa le sue capacità istrioniche per mascherare la fredda precisione delle sue azioni e dei suoi pensieri. È un calcolatore sadico e, soprattutto, masochista, il che lo rende l’antagonista perfetto, in quanto incredibilmente bravo a sfruttare la più grande debolezza di Batman: il suo codice morale. Batman non uccide, ma ovviamente i suoi avversari non lo sanno, perciò il suo asso nella manica è l’intimidazione, il potenziale di uccidere ricorrendo a una forza fisica quasi soprannaturale. Ma come si può fermare un antagonista totalmente immune alla tua capacità di intimidire il prossimo? Solo uccidendolo.
Il cavaliere oscuro, uscito ormai undici anni fa, resta ancora oggi una fra le pellicole supereroiche più artisticamente rilevanti mai prodotte. Lo è grazie alla scrittura, all'aderenza agli argomenti portati avanti dal cinema di Nolan, al ritmo incessante, che fa passare due ore e mezza senza mai ammorbare, all'atmosfera tesa e alle performance degli attori. Magari rivedendolo sarete assaliti dalla stessa sensazione che mi attanaglia ogni volta: mi sembra sempre di più un thriller in cui uno dei protagonisti, per qualche ragione, se ne va in giro con un ridicolo costume col mantellino, e in cui ogni tanto succedono cose assurde che stonano con i toni quantomeno plausibili che caratterizzano il resto (tipo il mega sonar di Lucius Fox, che è un deus ex machina facilone e bruttissimo da vedere). Ma è un prezzo tutto sommato infimo da pagare.
A quanto ci è dato sapere, nel rappresentare il personaggio al cinema per la quinta volta, Todd Phillips e Joaquin Phoenix sembrano essersi giocati la carta della malattia e del rifiuto della società. Il Joker che vedrete al cinema dal 3 ottobre sarà con buona probabilità una versione ancora diversa dalle altre due. La principale curiosità riguarda il fatto che sarà il primo film da solista, in cui il personaggio di Joker non sarà funzione di quello di Batman. Riuscirà a stare in piedi sulle sue gambe?