Outcazzari

Milanoir, smoke a cigar, revenge can be spectacular

Milanoir, smoke a cigar, revenge can be spectacular

Il suo nome era Cerutti Gino
Ma lo chiamavan Drago
Gli amici al bar del Giambellino
Dicevan che era un mago (era un mago)
— Giorgio Gaber

Qui su Outcast si era già parlato di Milanoir qualche mese fa, in occasione di una bella chiacchierata con gli sviluppatori Emmanuele Tornusciolo e Gabriele "Giga" Arnaboldi, che il sottoscritto era andato a molestare alla fiera meneghina Tempo di Libri. Dallo scorso 31 maggio, l’action poliziottesco di Italo Games distribuito dal publisher Good Shepherd (lo stesso dietro al recente Where the Water Tastes Like Wine) è disponibile in versione digitale sulla piattaforma Steam, oltre che sugli store di PlayStation 4, Xbox One e Switch.

Ispirato alle atmosfere anni Settanta di film come Milano odia: la polizia non può sparare e Milano calibro 9, Milanoir è un frenetico dual stick shooter disegnato con una deliziosa pixel art in 2.5 D. Quella che un tempo - più o meno propriamente - i redattori di Zzap! avrebbero definito “a volo d’uccello”.

Fin dalle prime battute, la vocazione narrativa del gioco picchia i pugni sul tavolo. Il narrative designer (e antropologo) Emmanuele Tornusciolo ha scelto di raccontare una brusca storia di criminalità ambientandola tra le vie di Milano, che evidentemente conosce a menadito. Quella del protagonista di Milanoir, il criminale Piero Sacchi, è un’escalation di violenza e corruzione che traccia una linea di sangue tra i bar del Giambellino, il Naviglio Grande e Parco Lambro; su su fino agli uffici del Pirellone e ai centri di potere della mala.

Pietro è ben lontano dallo stereotipo dell’eroe o della canaglia dal cuore d’oro alla Han Solo. Qui siamo più dalle parti di certi personaggi della serie TV Gomorra, con tutta la spietata violenza del caso; il nostro è davvero una brutta persona, un criminale sanguinario lontano da certe rivisitazioni romantiche. A farlo alzare dal letto la mattina sono i soldi, i proiettili e la sete di vendetta verso l’uomo che lo ha soffiato al gabbio.

Come suggeriscono le ambientazioni e i titoli di alcuni capitoli (tipo, I guerrieri di Parco Lambro), Milanoir manda qualche bacio anche al cinema americano di genere, da Trappola di cristallo a I guerrieri della notte, fino ai film dell’ispettore Callaghan, ma non rinuncia mai alla sua milanesità che emerge da ogni rigo di dialogo e dagli ambienti.

Con i suoi pixel, l’artista Giuseppe Longo è riuscito a ricostruire perfettamente il feeling dell’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta. Un feeling che io, anagraficamente, ho fatto appena in tempo a sfiorare, ma che ho imparato a conoscere attraverso la rimediazione offerta dal design, dal cinema e dalla televisione, anche in tempi recenti. Penso a un film come Vallanzasca - Gli angeli del male, o alla serie TV Romanzo Criminale (ché è romanesca, OK, ma ci siamo capiti).

L’iconografia di Milanoir è davvero precisa: sui muri campeggiano pubblicità che rivisitano i marchi Lavazza, Martini, eccetera. Nei bar ci sono i tavoli da biliardo all’italiana, le bottiglie di amari e gli orinatoi zozzi. Per le strade girano Vespe, Apecar e Alfa Romeo; e a fianco delle cabine telefoniche SIP ci sono tizi che vendono le “bionde” di sottobanco. Insomma, per una volta saranno gli altri a fare i turisti, mentre noi italiani ci sentiremo un po’ a casa.

I dettagli contribuiscono a costruire il feeling "anni Settanta" di Milanoir.

I ragazzi di Italo Games hanno scelto di non scollare mai la componente narrativa dall’interazione. Anche nei segmenti di transizione, il giocatore è al timone; questa scelta - al netto di un paio di goffaggini qua e là - funziona bene e contribuisce a tenere l’attenzione sempre in ballo. Tutta la parte ambientata a San Vittore, per dire, offre un paio di momenti parecchio crudi che funzionano soprattutto per la presenza del giocatore.

Detto questo, è nell’azione pura che Milanoir si esprime al meglio. Come da convenzione, con lo stick sinistro il giocatore controlla i movimenti di Pietro, con annessi scatti e schivate; con quello destro tocca invece armeggiare col mirino, avvolto dal tamburo dell’arma in ballo. Le meccaniche non potrebbero essere più lisce: schiva, spara, ricarica, spara. Le cartucce sono illimitate, l’energia può essere ripristinata semplicemente tirando il fiato in un luogo sicuro, mentre le traiettorie dei proiettili sono sempre ben visibili (il team si è dichiaratamente ispirato a Westerado: Double Barreled). Ma se le costanti del gioco si contano sulle dita una mano, le variabili che ne conseguono non fanno sconti. Milanoir è esigente fin dalle prime battute; la soglia di attenzione richiesta è piuttosto alta, e quando si inizia a fare sul serio è tutto un “mira, corri, nasconditi, ricarica, CAZZO! Sono morto”. In effetti, si muore molto e si muore in fretta; eppure, una volta che si imbrocca il ritmo giusto, parte la musica.

Questa GIF descrive perfettamente il "flow" del gioco.

Superata una certa massa critica, la frustrazione si abbassa e lascia il posto a un piacere quasi fisico. L’alternanza tra le azioni si fa automatismo; e mentre Pietro innaffia Milano di piombo pompato dalla colonna sonora funky, il gioco regala i suoi momenti migliori e dispiega tutto il suo flow.

Il gameplay si appoggia moltissimo anche a un sistema di coperture, che viene tuttavia un po’ inficiato da qualche problema di leggibilità (soprattutto giocando su Switch, in modalità portatile). Ogni tanto, per variare il ritmo, si fa viva qualche blanda sezione stealth, alternata a inseguimenti su mezzi che, se lo chiedete a me, sono la parte meno riuscita del gioco (o, perlomeno, quella dal sapore più aleatorio). Anche i power up nel complesso non sono memorabili, e le carambole con i cartelli stradali le avrei preferite più raffinate: allo stato delle cose, sono giusto dei bonus.

Durante le missioni di infiltrazione, le pallottole lasciano il posto al corpo a corpo.

Eppure, ripeto, quando c’è da fare sul serio e sparare il gioco è solido, e si inventa sempre qualcosa per tenersi su: che sia una fila di porte da abbattere a colpi di mitra, una successione intrigante di ceffi che ci danno addosso, o una boss battle particolarmente gustosa. Certo, gli avversari tutto sommato non sono dei geni. O, perlomeno, non sono più svegli che in un coin-op medio degli anni Ottanta. Eppure la loro disposizione sulla scacchiera non è mai scontata, e alza sempre un minimo di strategia.

Dopo un po’ - soprattutto dalla metà in avanti - le carneficine di Milanoir prendono a farsi davvero, davvero dure; gli sviluppatori avrebbero potuto andarci un po’ più piano. Ciononostante, durante la mia esperienza di gioco, ogni volta che accendevo la console mi bastavano cinque minuti per rientrare nel personaggio e godermi l’azione. E questo, per quanto mi riguarda, basta e avanza per farmi dire sì.

Ho giocato a Milanoir su Switch, grazie a una copia gentilmente fornita dagli sviluppatori. Questa versione pixellosa della mala milanese è riuscita a distrarmi dagli orrori veri di un pallosissimo weekend al lago (bleah!). Purtroppo non ho avuto modo di sperimentare la modalità per due giocatori, ma posso dire lo stesso di un sacco di altri giochi. Comunque, su Steam l’edizione liscia di Milanoir viene via per 10,79 €, mentre sugli store di Sony, Microsoft e Nintendo costa un paio di euro in più. Lassa pur ch'el mond el disa, ma Milan l'è on gran Milan.

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