In che senso Ori and the Blind Forest è uscito dieci anni fa?
No, aspe’, ma seriamente? Cioè, mi si sta dicendo che sono già passati 10 (dieci!) anni dall’uscita di Ori and the Blind Forest? Mi sembra impossibile! Cioè, capiamoci. Già di base per me è folle che siano passati già dieci anni dal 2015, in generale. Perché tutto quello che è successo nell’area temporale del 2015 mi sembra abbastanza vicino nel tempo. Se non proprio l’altro ieri o la settimana scorsa, di sicuro non più di un paio d’anni fa, ecco. E invece, il 2015 risale a dieci anni fa. E OK, a questa cosa bene o male mi ero mentalmente abituato. Per dire, fra non molto compirà dieci anni anche Bloodborne, uno fra i miei giochi preferiti di sempre. E sicuramente anche questa è una cosa che mi fa effetto, ma in questo caso – non so perché – mi sembra più “normale” che siano passati dieci anni. Che poi, per carità, io so di essere pazzo, ma ho parlato di questa cosa anche con altre persone (tra cui giopep, che aveva recensito Ori dieci anni fa) e a quanto pare non sono l’unico ad avere queste sensazioni “incoerenti” sul tempo passato da diversi giochi del 2015 a oggi.
Vabbe’, comunque, fatto sta che Ori and The Blind Forest compie dieci anni in questi giorni. La prima opera di Moon Studios, quelli che avevano intuito molti anni prima del Covid quanto sia figo lavorare come un team pur standosene ciascuno a casa sua, anche se in diversi posti del mondo. Ahahah, giuro che anche questa cosa mi sembra tipo l’altro ieri, e invece. Comunque, ricordo molto bene la prima volta che provammo Ori all’E3 2014, poco meno di un anno prima dell’uscita: era incantevole. Per grafica, fluidità, colori, musiche, animazioni. Uno spettacolo audiovisivo, che diventava ancora più eccitante se lo si associava al gameplay da platform e alla struttura da metroidvania che caratterizzavano il gioco di Thomas Mahler e soci (molti dei quali provenienti da grosse software house).
E mi ricordo ancora meglio il momento in cui ho recensito il gioco. Diciotto ore di grande piacere videoludico, sparse in una manciata di giorni. Ci ho giocato su Xbox One. Ah, giusto, perché Ori era stato pubblicato da Microsoft, in un’epoca in cui le esclusive contavano ancora qualcosina, per l’azienda di Redmond. Tra l’altro, su Xbox One, il metroidvania di Moon Studios era uno dei pochi giochi a girare a 1080p e 60fps, con pochissime incertezze da me riscontrate nel corso di tutta l’avventura. Disponibile fin da subito anche su PC, il gioco è negli anni successivi arrivato anche su Nintendo Switch (ed è uno di quei pochi giochi che su Switch permettono di sbloccare obiettivi Xbox – sì, lo so, queste sono quelle cose di cui ci accorgiamo io e altre 130 persone in tutto il mondo). Comunque, qualora non ci aveste ancora giocato, e voleste farlo oggi, potete scegliere tra più piattaforme. Tra l’altro, oggi lo giochereste in una Definitive Edition che va a migliorare l’avventura originale, aggiungendo ad essa anche qualche nuovo contenuto (non ricordo cosa, di preciso, perché alla Definitive non ho giocato).
E la cosa figa di giocare Ori and the Blind Forest oggi è che il gioco è ancora spettacolare esattamente come lo era dieci anni fa. Probabilmente il sistema di salvataggi può risultare un pizzico antiquato (e vi assicuro che era un po’ antipatico anche all’epoca), ma ci si fa la mano in poco tempo e, soprattutto, per il resto, Ori è un gioco che se uscisse domani attirerebbe ancora l’attenzione. Il suo seguito, Ori and the Will of the Wisps, uscito nel 2020, lo migliora in diverse caratteristiche, ma, ciò nonostante, di metroidvania belli come il primo Ori non se ne sono visti tantissimi in questi dieci anni. Ah, ed è disponibile sul Game Pass, tra l’altro (come anche il suo seguito).