Outcazzari

Switch or Die Trying - Un Superplatformer poco Super

Switch or Die Trying - Un Superplatformer poco Super

A Napoli si usa un famoso proverbio che recita così: “Si nun sapite fa’ e’ scarpare, nun rumpit o cazz e’ semmenzelle”, che letteralmente si potrebbe tradurre con “Se non sapete fare i calzolai, non rompete le scatole ai chiodini” ma che in un senso più ampio sta a significare che non ci si dovrebbe imbarcare in imprese più grandi delle proprie abilità e bisognerebbe lasciare lo spazio ai professionisti.

Questa verace esternazione trova piena applicazione in Switch or Die Trying, un gioco che si prefigge di ricalcare le orme di Super Meat Boy o del recente Celeste (già fra i GOTY 2018), ma fallisce miseramente nelle sue intenzioni in un genere che richiede grande abilità da parte dei game designer nel cesellare meccaniche e livelli.

Nope!

Switch or Die Trying mette i giocatori nei panni della lettera ”i”, sì proprio quella che i più puntalcazzisti (*coff coff* Nabu *coff coff*) si sforzano di completare ossessivamente con un puntino in alto. Dunque, questa letterina minuscola è in grado di trasformarsi in una “i” maiuscola e così facendo può effettuare un double jump mentre è in aria. A questo aggiungete la classica dose di wall jump e trappole mortali sparse per i livelli e avrete la classica formula da platforming estremo, genere che mi piace chiamare “superplatformer”, dicitura che non ho ben capito se sia universalmente accettata o se sia sbucata a caso da qualche angolo poco utilizzato della mia testa.

Sostanzialmente il gioco è tutto qui, e in fondo non sarebbe un problema, visto che i capolavori sopracitati si reggono su per giù sugli stessi principi. Il grosso problema di Switch or Die Trying è però il modo in cui queste meccaniche sono state pensate e messe in atto dagli sviluppatori. Cominciamo col double jump, che è legato, come ho detto, alla trasformazione della lettera protagonista nella sua versione maiuscola. Ciò forza il giocatore a usare un altro pulsante diverso dal salto per effettuare il double jump. Questa scelta risulta profondamente innaturale, e anche se la meccanica di trasformazione viene utilizzata in alcuni livelli per far apparire e scomparire piattaforme, sarebbe stato molto più intuitivo, e senza conseguenza alcuna sull’economia del gioco, unire entrambe le funzioni in un unico pulsante. Sembra una decisione del tutto forzata e senza ragione effettiva, che complica inutilmente la vita del giocatore, probabilmente già frustrato da un level design per nulla all’altezza della sfida rappresentata dal genere.

More Nope.


Parlando di level design, è proprio qui che il gioco trova la sua più grande débâcle. Un superplatformer è al 40% controlli, al 40% level design e al 20% sparare percentuali a caso nelle recensioni. Se i controlli, pur decisamente legnosi, si rivelano tutto sommato funzionali, il level design è esclusivamente concepito per essere frustrante. Non c’è spazio per creatività, puzzle solving o anche solo riflessi di acciaio, ma solo per una quantità imbarazzante di salti pixel perfect e picchi di difficoltà verticali tipo pareti del K2. Inoltre, Switch or Die Trying è visivamente scialbo, a volte con scelte di colori tali da confondere il giocatore su cosa sia solido e cosa faccia da sfondo al mondo di gioco. Aggiungeteci un accompagnamento musicale ripetitivo e blando, et voilà.

Per quanto mi sforzi, non riesco a trovare un singolo motivo per cui dovreste anche solo lontanamente considerare Switch or Die Trying. È ovvio che sviluppare un titolo anche solo gradevole di questo genere è affare difficile e gli sviluppatori di Threye non sono stati decisamente all’altezza. Manca ogni tipo di guizzo, originalità o anche solo mero e sano divertimento. Evitatelo, a meno che il vostro obiettivo sia rompere tutti i pad di casa per la frustrazione.

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Ho giocato a Switch or Die Trying grazie a un codice per Xbox One fornito dagli sviluppatori. Non sono riuscito a completarlo onde evitare la distruzione definitiva della mia già labile psiche ma gli ho comunque dedicato due ore abbondanti della mia vita che non riavrò mai più indietro.

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