Super Mario Land 3: Wario Land odora di rivoluzione
Quando sei piccolo nulla ti sembra strano, soprattutto se hai tra le mani il gioco più bello del mondo. Nel mio caso si trattava di Wario Land per Game Boy. Esatto, Wario. Land. Per. Game. Boy. scusatemi ma non ho intenzione di utilizzare il nome ufficiale, cioè Super Mario Land 3: Wario Land, perché l’idea di anticipare il nome di Mario a quello di Wario mi reca fastidio, sia per una questione di merito sia per una questione etica. In questo articolo discuterò la seconda: da grande, ho mangiato la foglia, e ho capito che in Wario Land per Game Boy fanno tutti schifo tranne Wario, che pure ha la parola giapponese per “cattivo” (warui) inscritta nel nome. Intendo che fanno schifo Mario e, sì, Peach. Partiamo dall’inizio, cioè dall’inizio della storia.
Dopo essere stato buttato fuori a calci dal castello di Mario, che aveva occupato quando il suo alter ego socialmente accettabile era in una delle sue numerose missioni di salvataggio, Wario viene a sapere che la statua d’oro della principessa Peach è stata rubata da alcuni pirati. Decide di mettersi sulle tracce di questi ultimi, per sconfiggerli ed entrare in possesso della gigantesca e scintillante riproduzione di una figura umana. Il suo piano prosegue con l’intenzione di rivendere il simulacro a Mario e comprare, con il ricavato, un castello, da suggellare con una grossa “W”.
A differenza della mascotte Nintendo più famosa, e pure di Bowser, Wario ha manifestato fin da piccolissimo un’inclinazione particolare al peccato di avidità. Se Mario è la caricatura italiana di un principe azzurro, ma non nella parte in cui è indomito e inguaribilmente romantico, il movente di Wario è generalmente più sordido, consistendo in fin dei conti nell’accumulazione sfrenata del denaro. A voler prendere le cose troppo seriamente, Mario corrisponde a una versione superomistica e maschio-centrica dell’eroe, mentre Wario è il prodotto di una società capitalistica che spinge gli uomini ad accumulare ricchezza con l’illusione della felicità. Naturalmente un modo più sano di fruire il Mario-universe sarebbe considerarlo un archetipo narrativo - un calco preciso preciso dello schema di Propp - la cui essenzialità è perseguita scientemente per essere messa al servizio dell’estetica schizzata e irresistibile di Miyamoto. Ma noi non siamo qui per fare discorsi seri, siamo qui per CAZZARARE.
Quindi mi piace perseguire un’interpretazione non necessaria, per arrivare però a un punto molto reale, cioè uno switch non previsto e divergente nel mio percorso di videogiocatore. Ripeto: quando ripenso al finale di Wario Land per Game Boy non posso non vedere stilizzati in quei pochi minuti di sprite animati tutte le storture e le brutture dell’umanità. Innanzitutto non esiste una sola buona ragione perché Peach possegga una statua come quella di Saddam Hussein ma ricoperta d’oro, del valore stimato pari al pil del Regno dei Funghi moltiplicato per tre. Questa statua è l’equivalente delle Piramidi nel mondo di Mario e gli storici ancora dibattono su quanti Toad siano rimasti uccisi nella sua costruzione. Inoltre solleva più di qualche ragionevole dubbio sul fatto che Peach sia una principessa caritatevole e ci lascia sospettare che non sia meno smaniosa di oro e gioielli rispetto a Wario, che però si “porta la nominata”.
Va bene, Wario vuole a sua volta rubare della merce rubata, per poi rivenderla ai proprietari originari, ma almeno Wario, quella statua, sta provando a guadagnarsela, lasciandosi in solitaria contro un numero elevatissimo di pirati cattivi, capeggiati dai loro ancor più temibili boss finali. Nelle sue mani, non sarebbe un simbolo del potere, ma “soltanto” il ricavato di un furto a danno di persone che conducono una vita all’insegna di usurpazioni e altre amenità. Lo so io cosa ha passato Wario in Wario Land per Game Boy! La Spiaggia di riso in cui è attraccato era stracolma di nemici, più è andato avanti più le cose sono peggiorate: al termine della mia zona preferita, Il Canyon Stufa, è addirittura stato preso di mira dalle caccole mortali sparate ad altissima velocità dal naso di una testa volante. Io e Wario abbiamo condiviso successi e fallimenti, abbiamo esultato e pianto, siamo scivolati dalla vetta di una montagna a forma di Teiera alle acque gelide che circondano l’iceberg nella Terra del sorbetto - da italiano ho spiegato a Wario cosa fosse un colpo d’aria e siamo d’accordo pure sul fatto che l’escursione termica gli ha fatto rischiare un brutto raffreddore.
Ora, immaginate la faccia di me bambino quando ho visto disvelarsi sullo schermo gli ipnotici luccicori del simulacro lungamente ambito. Immaginate la mia reazione quando Mario è comparso su un elicottero agganciando la statua e portandola via. Cosa ha fatto l’idraulico baffone per accaparrarsi lo spregevole simbolo del potere autoritario, a parte prendere una licenza di volo? A parte sfruttare il lavoro altrui? Wario è plusvalenza, viva la Rivoluzione! Mario e Peach non meritavano il premio finale più di me e Wario: quando finii per la prima volta Wario Land per Game Boy ci rimasi malissimo, le successive run non mi hanno fatto sentire meglio. Questa è la storia di come la mia vita è cambiata sottosopra sia finita: ho imparato ad amare l’antagonista. In questo videogioco pieno di stronzi, Wario è almeno l’unico che non nasconde le sue contraddizioni dietro l’etichetta di eroe.
Nella carrellata di figure spregevoli devo inserire anche il boss finale: dopo essere stato sconfitto, il genio della lampada concede a Wario un desiderio, ma decide di esaudirlo dietro pagamento, come uno di quegli agenti che prendono una percentuale elevatissima su una transazione importante, ma che, a differenza del genio, non hanno poteri speciali. L’esaudimento del desiderio dipende da quante monete e tesori hai accumulato nel corso del gioco: si va da una casetta per uccelli a un castello e infine a un pianeta. Per quanto 99.999 monetine potrebbero essere considerate un prezzo conveniente per un pianeta - ma che te ne fai di un pianeta deserto piccolissimo? - Wario, con il genio, rimane la vittima di una truffa. Altro che lieto fine.
Wario Land per Game Boy mi ha anche insegnato che a volte non conta quello che trovi alla fine del viaggio, ma il viaggio stesso. Wario Land per Game Boy è un gioco bellissimo, migliore dei prequel con Mario protagonista e pieno di invenzioni: la prima zona veniva sommersa dopo il completamento ed era possibile ri-giocarla con l’acqua, in modo che ogni livello apparisse come un upgrade del precedente. Altro che orecchie da coniglietto, il casco-jet di Wario ti dava una sensazione fisica di putenza nonostante i mezzi limitati della console portatile. Quando lo si otteneva si tentava di conservarlo il più a lungo possibile ed era il non plus ultra dello speedrunning, perché consentiva di mangiarsi intere porzioni di livello bucando l’inquadratura nella parte alta della cornice e attivando i motori. Menzione speciale per i livelli sul treno: in essi l’inquadratura si muoveva nello stesso senso, o in senso contrario - questa era la variante più difficile - rispetto alla direzione di marcia dei vagoni, spingendo Wario contro i nemici o schiacciandolo tra un lato della cornice e una piattaforma, una mortale gag meta videoludica che mi faceva sbroccare ma anche riflettere. E insomma, con Wario Land, Wario ha guadagnato un gioco enorme, ma soprattutto ha guadagnato la simpatia e la solidarietà di me e quelli come me che sono passati dalla parte del, bah, “cattivo”.
Non è quello che trovi alla fine del viaggio, ma tutti gli amici che hai trovato viaggiando. Caro Wario, ovunque tu sia, in un castello polveroso e infestato o su quel tuo triste pianetino vuoto, sappi che noi siamo con te anche se non ci vedi, sappi che puoi circondarti dei tuoi amici ogni volta che vuoi, basta chiamare, il mio numero ce l’hai, è ancora quello.
Un abbraccio, Wario, e thanks for all the memories <3.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Mario, che trovate riassunta a questo indirizzo.