Le fantasie sognanti di Tetsuya Mizuguchi
Qua su Outcast vogliamo molto bene a Tetsuya Mizuguchi e non perdiamo occasione per celebrarne l’opera ogni volta che se ne presta l’occasione. Figurarsi se non ci buttavamo a pesce sull’opportunità di intervistarlo al Reboot Develop Blue 2019! L’ho tenuto in ostaggio e mi sono praticamente fatto buttar fuori a calci dal giornalista che doveva intervistarlo dopo di me ma sono riuscito a chiacchierare con lui dei suoi esordi, della sua carriera, delle sue prospettive future e di come vede la possibile evoluzione delle esperienze interattive. In questo articolo su Everyeye, ho unito le risposte che mi ha dato a un racconto del suo intervento sul palco della fiera croata, nell’Outcast Reportage dedicato alle interviste del Reboot Develop Blue 2019 potete ascoltare la conversazione in inglese e di seguito potete leggerne la trascrizione integrale in italiano.
Buona lettura!
Come è nato il tuo interesse per i videogiochi e la tecnologia in generale?
Mmm… è una domanda molto profonda! Da bambino non mi distinguevo particolarmente, ero un ragazzino ordinario, giocavo ai videogiochi, guardavo videoclip musicali, ascoltavo musica, guardavo film… ma volevo creare qualcosa! Era un mio sogno. Una sorta di direzione da seguire nella mia vita. E, diciamo, i film sono un grande medium narrativo ma hanno dei limiti molto chiari dettati dal formato: uno schermo bidimensionale, quadrato, con del suono, una durata attorno alle due ore. Lo stesso discorso si può fare per i video musicali: per quanto potessero essere geniali i registi, il formato era quello. Io volevo creare qualcosa di molto più libero. Purtroppo, all’epoca, i videogiochi erano a risoluzione bassissima, la tecnologia era molto arretrata, ma già si vedeva che è un medium… “esperienziale”, che non si limita a descrivere, a far guardare… non ha confini. Tutti possono giocare, tutti possono sentire, tutti possono divertirsi. Per me fu una scoperta incredibile, l’interazione come nuova forma espressiva.
Quando ero un ragazzino, giocavo a Breakout, Pong… quei giochi in bianco e nero coi bip come suoni, ma ero comunque stupefatto. Uau! Che roba è? È divertente… potevo giocare per ore e ore… non mi dimenticherò mai la sensazione che mi diede quella scoperta.
Però volevo anche creare della musica, nel mio futuro. Ora, qual è la cosa più divertente nel settore dei videogiochi? La tecnologia, che cambia, cambia, cambia continuamente, il continuo inventare e reinventare, Io vedevo quel futuro e per questo decisi di lavorare nel settore.
All’università, hai studiato letteratura e probabilmente, soprattutto in quegli anni, quello non era il tipico background di chi andava a lavorare nei settore dei videogiochi. Era più facile arrivare da una formazione tecnica. Pensi che i tuoi studi abbiano influenzato in maniera significativa il tuo approccio al design, alla produzione?
Credo di essere stato fortunato. Ho avuto l’opportunità di studiare estetica dei media, un tema davvero fondamentale, spaziando fra tecnologia, filosofia, arte, entertainment, design… tutto. Fu un bel periodo, che mi aiutò a riflettere in maniera più profonda su quali siano le meccaniche, l’essenza dell’essere umano. Perché la gente ama la musica? Perché ne trae emozioni forti? Perché? Quali punti di forza e quali debolezze caratterizzano i medium passivi? Il cinema è un medium molto forte sul piano narrativo ma non è interattivo. Il videogioco è interattivo, libero, esperienziale, un medium nuovo… ma era limitato dalla tecnologia. Nessuno piangeva davanti a un videogioco, all’epoca. Oggi va diversamente, ma all’epoca non accadeva. Mi interessava quel genere di cooperazione fra i medium. E di nuovo: mi concentravo sull’estetica dei media, quindi ragionavo sulla tecnologia, mi chiedevo che genere di tecnologia avrebbe potuto cambiare le nostre vite nel futuro. Volevo lavorare sulle emozioni, attraverso l’arte, l’intrattenimento.
Quindi all’inizio ti sentivi molto limitato dalla tecnologia?
Sì, volevo di più. Con una tecnologia più avanzata, forse, avremmo potuto creare esperienze nuove. Vedevo il videogioco come un oceano da esplorare. E decisi di farlo. Stiamo parlando del 1990, era ancora l’era del 2D.
Alla Game Developers Conference, durante il tuo Classic Post Mortem dedicato a Rez, hai mostrato una sequenza tratta da Xenon 2 per Amiga. Devo dire che mi ha sorpreso… l’Amiga era popolare in Giappone?
No, per niente. Ce l’avevano in pochissimi. Ma a me piaceva!
Hai iniziato la tua carriera lavorando su giochi di guida, cabinati arcade che già mostravano il tuo interesse per il movimento, il corpo, le sensazioni. Poi hai creato il Trance Vibrator per Rez, hai lavorato con Kinect, ora la realtà virtuale e i vestiti vibranti… Vedi la VR come un punto d’arrivo, che deve solo essere perfezionato, o vedi nel futuro qualcosa di ancora più folle che utilizzerai per farci provare sensazioni bizzarre? La VR è la fine del viaggio?
No, è solo l’inizio, un punto di partenza. Guardando al futuro, vedo la XR, Extended Reality (realtà estesa), che mescola realtà virtuale, realtà aumentata, realtà mista. L’unione di tutte queste tecnologie è il futuro. Ci stiamo spostando sempre più verso l’era esperienziale e in quest’ottica, la VR, per quanto sia esaltante, crea troppo isolamento. È un problema. Ma la realtà mista, mescola reale e virtuale, tangibile e intangibile, all’interno del mondo virtuale. È un qualcosa di nuovo, una nuova realtà. Noi abbiamo creato Rez Infinite e Tetris Effect in VR ma l’idea di giocare assieme, nella stessa stanza, come siamo noi due ora, mi sembra molto più divertente.
Ricordo, quando ero un bambino, ci trovavamo a casa di un amico, portavamo una cartuccia e giocavamo tutti assieme. Era divertentissimo. E voglio quello, in futuro.
Quindi non ti piace l’idea di ritrovarci tutti isolati nella realtà virtuale in una sorta di futuro distopico?
Quello che voglio è una cosa tipo Avatar, in cui si fonde tutto assieme a creare una visione unica.
Hai menzionato Rez. È uscito su Dreamcast, ed era bellissimo, poi l’hai rifatto in HD, poi l’hai rifatto in VR. Su questo, ho due domande: la versione in VR è quella definitiva o pensi di poter fare ancora di meglio? E al di là di questo… hai fatto qualcosa di parecchio difficile: quando la gente tenta di migliorare qualcosa che ha fatto in passato, spesso, fa un gran casino. Tu, invece, sei riuscito a migliorarlo, due volte! È un problema che ti sei posto? Eri nervoso all’idea di rimettere mano a Rez?
No, per niente. È stato solo divertente. Quando ho lavorato sul primo Rez, nella mia testa, il gioco era già come l’Area X, doveva offrire quel genere di libertà di gioco, di volo. Era tutto tridimensionale. Ma era impossibile da realizzare, all’epoca. La tecnologia può rendere l’immaginazione e le idee reali, o comunque farti avvicinare sempre di più alla versione pura che hai in mente. Ti permette di eliminare le frustrazioni e resta solo il divertimento della creazione. Ma, ehi, non sono un genio, ho solo delle idee, ma ho grande fiducia, avevo la certezza che fosse un risultato ottenibile. Dovevo provarci, dovevo dimostrare che fosse possibile. Rendermi conto che la mia ispirazione è molto vicina alla VR è una gioia. Del resto, il nostro cervello non è 2D, è 3D.
Sapevi fin dall’inizio di voler creare l’Area X, ci hai solo messo un sacco di anni per arrivarci!
Sì.
Per Child of Eden hai lavorato con Kinect, che aveva i suoi limiti di precisione ma aveva il pregio di abbattere la barriera del controller, eri solo tu a giocare usando il tuo corpo in maniera diretta. E con la VR ancora non ci siamo: devi ancora indossare questo grosso elmetto, devi ancora tenere in mano un controller. Pensi che arriveremo ad avere visori che sono davvero come un paio di occhiali e sistemi di controllo che non ti chiedono di tenere nulla in mano, magari fra dieci o vent’anni?
Sì, penso di sì.
E probabilmente è quello che serve per fare in modo che la VR diventi davvero mainstream.
Sì! Credo che nei prossimi dieci o vent’anni vedremo un’integrazione di molte tecnologie diverse. Vedremo per esempio il nuovo Kinect. Come sarà la prossima versione di quella tecnologia? Non lo so. Ma sicuramente ci serve quel tipo di evoluzione. Tutto è possibile, comunque. C’è chi vuole utilizzare un controller, e si può fare, certo. O magari senza controller. In generale, penso che con la XR, la realtà mista, la gente potrà giocare, comunicare, utilizzando qualsiasi dispositivo, magari il feedback aptico…
Il tuo vestito!
Sì, o anche solo una giacca, magari.
Hai dimostrato chiaramente di amare Tetris, prima dandone la tua interpretazione con Lumines e poi sviluppando Tetris Effect. Ti ricordi la prima volta che hai giocato a Tetris? Che versione era? Perché ti piacque?
Sì. Era in sala giochi. Era molto potente. Semplice, ma potente. Una meccanica di gioco molto minimalista, semplice, quasi completa. Non c’era bisogno di aggiungere nulla. Era un gioco completo, perfetto.
E quella purezza, quella semplicità, è ciò che lo rendo immortale e fa sì che chiunque possa giocarci e non riesca a smettere.
Esatto.
E forse è per lo stesso motivo che è così versatile? Solo negli ultimi mesi abbiamo visto due reinterpretazioni molto diverse come Tetris Effect e Tetris 99: sono lo stesso gioco ma sono così diversi, nel ritmo, nelle sensazioni…
Sì, decisamente.
… ma la tua versione, Tetris Effect, come nasce?
Henk Rogers, il capo di Tetris Company, è un amico di vecchia data. Abbiamo parlato a lungo di Tetris, della sua potenza, le sue meccaniche, il modo in cui il giocatore si ritrova immerso nel flusso di gioco, sempre più veloce. Le sensazioni che quel gioco riesce a creare mi attiravano molto! Mi sono chiesto come potevo amplificare quel genere di esperienza sfruttando le nuove tecnologie: realtà virtuale, PlayStation 4, alta risoluzione… Il nostro motre, il Synesthesia Engine, mescola effetti particellari, suoni, musica, in una maniera che ti veicola una fusione totale di musica, estetica e gameplay. È la sinestesia! Forse potevamo creare qualcosa di nuovo, pur partendo da un gioco completo come Tetris, forse potevamo creare un’esperienza nuova. Abbiamo deciso di riuscirci.
E ora che ho visto la versione Mizuguchi di Tetris, voglio vedere la versione Mizuguchi di tutto! Voglio vederti tornare alle tue radici e creare un gioco di guida che si appoggi sulla tua estetica attuale, sul concetto di sinestesia. Voglio vedere il tuo bullet hell. Anche i classici! Gli scacchi di Mizugichi! Voglio vedere la tua skin applicata su qualunque cosa.
[ride] La vita è breve!
Lo so! Appunto: devi fare più giochi, non ne fai abbastanza.
[ride] Grazie!
Ad ogni modo, al di là dei miei desideri… Nei tuoi giochi, sei molto bravo a comunicare sentimenti, emozioni, sensazioni, senza usare parole. Lo fai attraverso la musica, l’esperienza… Ci sono però tantissimi altri giochi che puntano tutto sulla narrazione, usando un sacco di testo, di parole… Ti vedresti a sviluppare un videogioco che racconti una storia in maniera più tradizionale e diretta?
È un’osservazione azzeccata! Non ho mai fatto niente del genere ma penso che ci siano tanti confini entro cui muoversi, nei videogiochi, nel cinema, la musica, l’interazione, attivo, passivo, la prima persona, la terza persona, il soggettivo, l’oggettivo… sono confini che si stanno fondendo sempre più fra loro. Penso che lo sviluppo della tecnologia possa far sparire tutti quei confini, rendere tutto una cosa unica, permetterci di vivere esperienze separate mentre allo stesso tempo comunichiamo fra di noi. Il Kinect del futuro... i sensori del futuro… arriveranno nuove forme espressive. Nuove forme che includeranno tutti questi elementi preesistenti. Includeranno quello che in passato chiamavamo film, o videogioco, per creare qualcosa di nuovo. Non abbiamo un termine per definire questa cosa. Magari, chi lavora nel cinema, la chiamerà film esperienziale, chi lavora nei videogiochi la definirà molto cinematografica.
Sei diventato uno sviluppatore indipendente cinque anni fa. Guardandoti indietro, cosa vedi di buono in quella scelta e vedi anche delle conseguenze negative che magari non ti aspettavi?
Non ho visto effetti negativi, per il momento. È stata una decisione molto sana. Ne ho guadagnato in salute. Non sono per niente stressato, anche se sono impegnatissimo. Ma è una cosa positiva. Abbiamo una visione, delle idee, vogliamo fare tantissime cose, ma zero stress. Non abbiamo clienti a cui rispondere, lavoriamo sulle idee in totale libertà, dobbiamo solo preoccuparci di trovare i fondi necessari. Sono molto contento.
Ultima domanda, la faccio a tutti: qual è l’ultimo gran gioco a cui hai giocato e perché lo ritieni un gran gioco?
Di recente, non gioco più. Non voglio rischiare di prendere idee dai giochi di altre persone. Ho bisogno di fonti d’ispirazione, ovviamente, e quindi uso il mio tempo per cercare idee altrove.