The Secret of Monkey Island con la febbre
I pirati, per me, sono un po' come il western e, temo, tutto sommato pure come il fantasy: mi piace l'idea, mi affascina, e quando guardo, leggo o gioco qualcosa di bello infilato nel genere son contento, ma non per la categoria in sé, semplicemente perché ho consumato qualcosa di bello. Allo stesso modo, non ho quell'affinità per il genere tale da farmi apprezzare roba a malapena decente solo perché "inserita". Capita, è normale. Va da sé che la Cover Story di questo mese decisamente non è cosa mia, ma c'avevo comunque voglia di infilarmi perché oh, qualcosa di piratesco che ho amato in maniera spropositata esiste e ha a che fare con polli di gomma, cotton fioc giganti e altre amenità.
Non ricordo di preciso in che modo ho fatto conoscenza con The Secret of Monkey Island ma suppongo che sia avvenuto leggendone su qualche rivista. Avevo già ampia dimestichezza col genere delle avventure grafiche e pure con quelle Lucas, fosse solo per l'amore nei confronti di Indiana Jones and the Last Crusade e del diario di Henry Jones che stava nella scatola. Però come ci sono arrivato, su Melee Island? Vai a sapere. Probabile che ne abbia commissionato l'acquisto a mia madre, santa donna lei e le sue spedizioni da Pergioco.
Ricordo di averci giocato tantissimo e ricordo anche che per gli standard dell'epoca lo inserii nella categoria dei giochi forse un po' troppo facili, dato che riuscii ad arrivare in fondo senza particolari problemi e relativamente in fretta. Ovviamente, quando ci ho rigiocato l'altranno, ho fatto una fatica boia. Non son più abituato, eh!
Comunque, legato a quel gioco ho un ricordo in particolare, che poi è quello a cui fa riferimento il titolo di quest'articolo. Nel periodo in cui ci stavo giocando, mi ritrovai a casa da scuola preda della febbre. Stiamo parlando, suppongo, della terza media o prima superiore, quella fase là. Ero più o meno costretto a letto ma questo non poteva certamente impedirmi di continuare a giocare. Ma che, stiamo scherzando? Ricordo che tirai i vari cavi e spostai tutto il trabiccolo dalla scrivania al letto per poter giocare. C'era il monitor, un classicissimo Commodore 1084S che mamma mia quanto mi sono pentito di aver portato alla discarica durante il tragico trasloco del 2010, e ovviamente c'era l'Amiga 500. Tutti i cavi collegati, infilati, tirati e appoggiati sopra alle coperte, probabilmente con una dose significativa di rischio di corto circuito e incendio improvviso, io infilato sotto le coperte suddette, tappetino per il mouse appoggiato sopra e via a trafficare coi clic. Una pacchia.
Ma il ricordo più forte di questo setup è quella scena in cui Elaine e Guybrush si corrono incontro sul pontile, allo stesso tempo romantica e tragicomica. Che bellezza! Me la ricordo perché la adoravo, quella scena. Ma me la ricordo anche perché credo di essermela puppata cinque o sei volte. Come mai? Perché i collegamenti di cui sopra, con tutto accatastato sul letto e me sotto, erano poco saldi, ballerini. E per qualche motivo, forse perché mi divertivo e mi agitavo, boh, vai a sapere, proprio in quel momento si staccava il cavo di alimentazione e si spegneva il computer. E io dovevo caricare il salvataggio posizionato poco prima e ripetere. E siccome ero un giovane stordito, non è che cercassi di sistemare meglio il cavo, cambiare posizione, rassegnarmi alla sconfitta. No, mi limitavo a riaccendere, caricare, ripetere, puff, tutto spento, rifai. La follia è continuare a ripetere la stessa azione attendendosi un risultato diverso, suppongo.
Tra l’altro, come si evince dal video qui sopra, quella scena arrivava dopo l’unico momento del gioco in cui si poteva effettivamente morire ed essere costretti a caricare il salvataggio. Momento che avevo scoperto, perché arrivato a quel punto mi ricordai che Guybrush millantava di sapere trattenere il fiato per dieci minuti e provai immediatamente a lasciarlo lì ad affogare. Che bello, quando cambiavano i comandi del menu!
Comunque, alla fin fine questa cosa m'ha creato un bel ricordo a cui sono affezionato. Un altro è legato a quel "relativamente" che ho scritto là sopra. C'è un punto del primo Monkey Island in cui effettivamente mi bloccai un po'. Durante il viaggio in nave, che poi è la sezione più breve del gioco, per qualche motivo non mi veniva proprio in mente di rovistare sul fondo della scatola di cereali. La frustrazione fu tale che chiesi a mia madre (santa donna lei e le sue spedizioni da Pergioco) di andare a comprarmi la guida ufficiale. Lei mi fece il favore, io la consultai solo ed esclusivamente per quel passaggio lì, proseguendo poi in autonomia per il resto del gioco, fino alla fine. Sono comunque contento dell'acquisto perché è un bell'oggetto di antiquariato che tengo ancora nella scatola originale però, certo, a mia madre non dissi che non era servita quasi a nulla.
Monkey Island, nonostante sia un capolavoro è un gioco invecchiato come il vino buono, per qualche motivo non lo considero là in cima fra i punta e clicca a cui voglio più bene, là dove per esempio si trova Gabriel Knight. Però cacchio se gli voglio bene e ci sono affezionato, forse anche per quella manciata di giorni passata a letto. Poi sarebbe arrivato il seguito, a cui pure sono affezionato per questo o quel ricordo, tipo quella prima sessione assieme a un mio amico dell'epoca e le risate folli che ci facemmo nella scena al cimitero. Però già a quel gioco voglio meno bene. E il resto della serie... Col terzo episodio ho quasi fatto pace grazie a Retroutcast, ma per certi versi continuo a considerarlo un mezzo abominio. Al quarto episodio e alla serie di Telltale non ho mai giocato, la grafica dei remake mi fa piangere e... no, a Return ho voluto molto bene. Ma anche lì, l'amore sta altrove.
Però il primo Monkey Island, eh, non si scorda mai. Anche quando è il terzo, suppongo.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai pirati, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.