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Thronebreaker come Balto: né cane né lupo

Thronebreaker come Balto: né cane né lupo

Che Hearthstone abbia un po’ fatto il bello e il cattivo tempo nel sempre più affollato panorama dei giochi di carte collezionabili (CCG) virtuali è innegabili. Piaccia o meno, il gioco ispirato al mondo di Warcraft è riuscito a tracciare un solco dal quale, nonostante gli alti e i bassi, i competitor raccolgono fettine se non briciole di una torta che pare alquanto saporita.

In questa folle e a tratti insensata competizione, Gwent di CD Projekt è forse l’unico titolo ad aver fatto quantomeno alzare un sopracciglio preoccupato a Blizzard. E a ragione: non solo ha tratto le sue origine da una serie, quella di The Witcher, all’epoca del suo lancio forte del traino di consensi del terzo episodio; ma soprattutto (a differenza di altri competitor quali The Elder Scrolls: Legends o anche lo stesso Magic: The Gathering Arena) ha saputo proporre un sistema di gioco decisamente alternativo a quello di Blizzard e quasi per nulla sovrapponibile alle basi, istituite ormai decenni fa da Richard Garfield con il CCG più celebre del pianeta.

Meve di Lyria è protagonista per buona parte del gioco.

Nonostante giocatori e pro-player abbiano cominciato a vedere sempre con più favore Gwent, anche per via dei suoi reward decisamente più generosi rispetto a quelli del gioco Blizzard, qualcosa a un certo punto sembra essersi spezzato. Con fragore. A tal punto che la stessa CD Projekt si è vista costretta a un rework sostanziale del suo gioco, cambiandone non solo alcune meccaniche di base ma rivedendo la quasi totalità delle carte stesse. Insomma, più che una patch correttiva, un rilancio vero e proprio del gioco.

Sembra il primo The Witcher ma non è.

E Thronebreaker: The Witcher Tales si inserisce proprio qui, in una più grossa e complessa strategia volta a riportare Gwent su console, PC e soprattutto cuori dei videogiocatori. Ma lo fa con buone idee. Thronebreaker, di fatto, è uno spin-off (dello spin-off), un DLC standalone del “nuovo” Gwent, di cui riprende le meccaniche, calandole in una struttura da gioco single player, con tanto di storia decisamente ben narrata e articolata. Ma con una sovrastruttura che, per dare più spessore e arricchire quanto avviene sui tavoli degli scontri a base di carte, finisce per appesantire l’esperienza, più che migliorarla.

Tutto inizia con la Regina Meve e il suo ritorno a Lyria, patria in situazione quantomai turbolenta. Tra missioni che fungono da tutorial, introducendo le meccaniche del citato “nuovo Gwent” e iniziando il giocatore al sistema di combo e sinergie tipiche del card game di CD Projekt, si inizia anche a prendere mano con tutto ciò che funge da sostanzioso contorno agli scontri del gioco.

La mappa è esplorabile a mo’ del primo The Witcher, con tanto di visuale dall’alto, fattorie, bivi e missioni da compiere in giro. Non mancano, nel corso del gioco, anche alcuni passaggi in cui compiere scelte narrative che cambiano un po’ il corso di alcuni eventi. Insomma, c’è tanta carne a cuocere, compresa una parte di gestione dell’accampamento, dal quale costruire strutture in grado di sbloccare bonus o carte specifiche.

Sono tutte aggiunte che, se inizialmente appaiono interessanti, finiscono un po’ per appesantire il flusso di un gioco la cui esplorazione si risolve in poco più che cliccare in giro sulla mappa per raccogliere qualche risorsa e che da il meglio di sé quando da Thronebreaker: The Witcher Tales si passa alla parte “più Gwent” del gioco. Particolarmente apprezzabili sono infatti gli scontri principali, quelli della main quest, dove intervengono regole speciali in grado non solo di aggiungere pepe e varietà, ma anche di sottolineare l’importanza e gli elementi topici della narrazione. Da questo punto di vista, insomma, Thronebreaker è veramente eccelso e non si limita al suo compitino di “palestra” per formare (o riformare) giocatori per la versione multiplayer di Gwent.

Torna centrale la manipolazione del campo avversario.

Torna centrale la manipolazione del campo avversario.

Qualche problema comincia a sorgere proseguendo nel gioco, quando gli scontri prendono a farsi un po’ più tostarelli e la “sovrastruttura di contorno” di cui sopra diventa più importante. E comincia a risultare un po’ pesante (anche se mai davvero indigesta), spezzando troppe volte un ritmo mai in realtà rapidissimo. Insomma, qua si vogliono le carte, mica pizza e fichi.

Ciò, a ben vedere, è causa anche di un altro grande difetto di Thronebreaker: The Witcher Tales: quello di essere davvero appetibile solo per chi è un po’ malato di card game. Della parte “ruolistica” di The Witcher, oltre agli elementi narrativi, conserva insomma solo la buona qualità media della scrittura e poco altro: cose che hanno certamente il loro appeal ma non sono sufficienti a trasformare in amante chi non ha mai gradito più di tanto i giochi di carte collezionabili.

Insomma, Thronebreaker: The Witcher Tales ha delle indubbie qualità ma nel suo insito cerchiobottismo si annidano difetti in grado di farlo risultare meno appetibile sia agli amanti dei card game sia a chi, invece, cerca un ottimo gioco su cui impiegare decine di ore (circa tre). C’è da dire che mi ha fatto reinstallare il Gwent multiplayer, però, quindi CD Projekt, da un certo punto di vista, ha centrato l’obiettivo.

Ho giocato a Thronebreaker: The Witcher Tales grazie a un codice per il download da GOG fornito dagli sviluppatori. Ci ho giocato utilizzando mouse e tastiera. Il gioco, oltre che su GOG, è disponibile anche su Steam e arriverà a breve anche su PlayStation 4 e su Xbox One, quindi credo sia ampiamente giocabile anche con il pad. Per dire, il Gwent “base” l’ho sempre preferito con un controller Xbox One.

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