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Post Mortem #45: La rivoluzione di Ultima Online

Post Mortem #45: La rivoluzione di Ultima Online

Post Mortem è una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Qualche tempo fa, scrivendo del Classic Post Mortem su Civilization, ho menzionato una fra le rosicate più grosse della Game Developers Conference 2017. Oggi, in questo mio ultimo articolo nella grande saga degli appunti avanzati dalla GDC, vi parlo brevemente di una rosicata della Game Developers Conference 2018. Si tratta di una rosicata molto meno forte, quasi più una risata, ma tant’è, eccola. C’era il Classic Post Mortem su Ultima Online, con presenti Richard Garriott (produttore), Starr Long (director), Rich Vogel (game producer) e Raph Koster (creative lead). I primi due, tra l’alro, si erano presentati vestiti rispettivamente da Lord British e da Blackthorn, perché sì. E io ci avevo pensato. Volevo farlo. Volevo portarmi la bolletta del telefono allucinante che mi si presentò implacabile dopo il primo mese di gioco con Ultima Online, ai bei tempi in cui non esistevano ancora le tariffe flat, men che meno le connessioni a banda larga. Volevo. Anche se non amo spaccare i maroni al prossimo in cerca di autografi. L'occasione per una scenetta ilare era troppo ghiotta. Volevo. Ma non avevo proprio modo. Non avevo con me la bolletta. Forse sta lì, in Italia, nascosta in qualche plico di vecchi documenti. Può essere. Ma non ce l'avevo con me. Sigh.

Nel 1995, internet si appoggiava sui modem a 28.8 baud, la tecnologia non era esattamente pronta per far esplodere il gioco online, eppure si trattava di un ambito in cui si sperimentava da tempo, anche nel campo dei giochi di ruolo. DragonSpires, Neverwinter Nights, i M.U.D. erano tutti dei precursori sul cui lavoro Origin Systems costruì quello che fu il primo vero fenomeno degli MMO. Ma questo tipo di sperimentazione si meritava il budget da grossa produzione che – per gli standard dell'epoca – veniva investito in un episodio della serie Ultima? Dal punto di vista logico, dell'evoluzione di un genere, era un passo forse inevitabile: in fondo gli Ultima erano sempre stati dei simulatori di Dungeons and Dragons a cui mancava l'elemento umano. Ma per anni, la risposta a quella domanda fu no. Anche quando internet e il gioco online iniziarono a esplodere, la risposta continuava ad essere no.

Un giorno, Starr Long stava giocando a Doom in multiplayer, correva per raccogliere il lanciarazzi ma venne anticipato e si beccò un missilone in faccia. Fu un momento rivelatore, di estasi improvvisa: ma quanto è bello, si rese conto, giocare contro altre persone? Dato che il momento, come detto, grazie all’esplosione di internet, era propizio, i ragazzi decisero di proporre ad Electronic Arts lo sviluppo di Multima. Misero assieme un documento di design, un piano tecnologico, delle previsioni di vendita, sapendo che dovevano convincere i produttori e il reparto marketing. Non era semplice comunicare le idee, va tenuto conto che stiamo parlando di un periodo in cui il termine “MMO” non era ancora di uso comune. La risposta del reparto marketing fu netta: “Ottimo che si tratti comunque di qualcosa con la parola Ultima nel titolo, ma il problema è che il multiplayer non vende.” I successi multiplayer vendevano cinquantamila copie, quelli single player ne vendevano un milione.

Loro non mollavano, erano convintissimi: sarebbe presto cambiato tutto, sarebbero stati introdotti nuovi modelli di business… ma niente. Riprovarono sei mesi dopo, sostanzialmente con la stessa proposta, ribadendo che la rivoluzione era già in corso, ma niente. Sottolineavano che, secondo loro, avrebbe venduto il doppio di qualsiasi altro gioco online, ma niente. Un anno dopo ci riprovarono: niente. Ma a quel punto, Garriott e i suoi puntarono i piedi: “Non usciamo da questa stanza fino a che non ci date l’OK e ci garantite duecentocinquantamila dollari per la creazione del prototipo”. Svariate urla dopo, ottennero un pezzo di carta firmato. Ebbe inizio la concezione del gioco che si sarebbe intitolato Ultima Online.

E come procedere? Beh, la prima mossa fu di arricchire il team con un po' di gente abituata a lavorare sui M.U.D., cosa che fra l'altro diede vita a un gruppo di persone molto giovane (età media: ventidue anni) e piuttosto “diverso”, per gli standard dell'epoca. Nel gruppo c’era anche Micael Priest, compianto illustratore che fu fra i primi a lavorare non solo in Origin Systems, ma proprio nel settore. Misero assieme un prototipo, che supportava cento giocatori e permetteva di raccogliere un oggetto, portarlo altrove e lasciarlo per terra, in un contesto persistente, da cui non sarebbe svanito. Era solido, convincente, lo usarono per fare una prima presentazione e si sentirono lanciatissimi. Il paradosso? Loro erano gasati a dismisura ma, visti da fuori, erano gli sfigati. Tutti, in Origin Systems, volevano lavorare sul nuovo Ultima e sul nuovo Wing Commander, non su quella strana roba sperimentale destinata al fallimento. Anche all'interno di Electronic Arts, più in generale, venivano visti come i reietti: nessuno, fra chi prendeva decisioni, voleva davvero il loro gioco e finirono relegati al quinto piano, ancora in costruzione, senza alcuni muri e senza le finestre. No, sul serio: c'erano dei teli di plastica a proteggerli dalle intemperie, il riscaldamento non si accendeva perché avevano il server sotto al termostato e programmavano indossando i guanti. Erano le piccole fiammiferaie del game development.

Intanto, però, lanciavano idee folli a raffica, sparandole contro il muro dell'immaginazione per vedere quali rimanevano attaccate. I ragazzi che arrivavano dai M.U.D., soprattutto, forse anche per una certa mancanza di consapevolezza, erano i più ambiziosi. Proposero di sviluppare un'intelligenza artificiale basata su bisogni e desideri, ma il prototipo che tirarono fuori non funzionava e quindi abbandonarono l'idea. L'intero sviluppo, comunque, veniva portato avanti ragionando sul piano della simulazione: crearono un mondo di quattro chilometri quadrati con una risoluzione da un metro, in cui tutte le entità venivano gestite dai sistemi della simulazione. Funzionava a malapena, e questo nonostante fosse quattro volte più piccolo rispetto alle loro mire iniziali. Erano chiaramente fuori controllo.

Nel mentre, c'era anche un po' la questione di stare lanciandosi testa, mani e piedi su internet, che all'epoca era ben lontana da quella odierna. Per capirci, Electronic Arts non aveva nemmeno un sito ufficiale e infatti i ragazzi decisero di sviluppare quello del proprio gioco autonomamente, senza dirlo a nessuno. Nel sito inserirono, fra l'altro, una FAQ, una fra le prime mai esistite per un gioco commerciale, e iniziarono a promettere funzionalità come se piovessero, in maniera del tutto sciagurata. Però, all'ambizione, seguivano i fatti: il gioco cresceva a vista d'occhio e ormai già proponeva un mondo fantasy vero e proprio, pieno di creature viventi gestite dalla simulazione, in cui ogni singolo oggetto era persistente, potevi gettare roba per terra e ritrovarla lì giorni dopo (se nessuno la raccoglieva, ovvio).

Le case venivano fatte degradare col tempo perché non c’era abbastanza spazio per tutti quelli che volevano costruire. Peggio ancora: ogni singola casa aveva al suo interno migliaia di oggetti persistenti dinamici, governati da un sistema di comportamento dinamico. Il peso per il server rischiava di diventare insostenibile.

Alla base del progetto, c'era il desiderio di creare davvero un Ultima online, un gioco che conservasse le radici della serie e in cui fosse possibile provare a seguire sul serio le virtù. Il sistema di gioco mirava a dare eguale importanza a combattimento, crafting e gioco di ruolo puro, nella speranza di favorire tutti i possibili approcci e garantire un mondo popolato, vario, credibile. Mica male, no?

Comunque, lo sviluppo procedeva e si arrivò al momento della beta. Solo che, con la tecnologia dell'epoca, era complicato pensare di poter far scaricare il gioco alla gente: come fare per fornirlo ai tester? Questa problematica si intrecciò con un'altra questione non banale: erano finiti i soldi. La soluzione fu, col senno di poi, un'idea lievemente avanti con gli anni: chiesero cinque dollari a copia, tramite cui coprirono le spese di spedizione del gioco. In pratica, inventarono l'Accesso Anticipato vent'anni prima che lo facesse Valve. Poteva sembrare una mossa azzardata, in fondo non è che all'epoca fosse normale pagare per provare un gioco largamente incompleto, e invece il successo fu clamoroso. Si aspettavano di vendere trentacinquemila copie ma in pochi giorni ne piazzarono cinquantamila.

Fu il momento in cui Electronic Arts disse “Ah, OK.”

“Improvvisamente, l'occhio di Sauron si spostò su di noi”. Improvvisamente, dall'alto si incitava a mettercela tutta e si prendevano decisioni radicali, tipo, che so, spostare l'intero team di Ultima IX su Ultima Online. Improvvisamente, gli espertoni di EA venivano a dare suggerimenti non richiesti su come portare avanti il lavoro. Improvvisamente, il team era diventato da cinquanta persone. E il problema è che si trattava di persone che volevano fare altro, il cui progetto era stato improvvisamente chiuso.

Mano a mano che ci si avvicinava al lancio, ci si rendeva conto di problemi, mancanze, drammi da risolvere. Il produttore che li seguiva, un giorno, realizzò che stavano sviluppando un gioco interamente online per il quale mancava un'infrastruttura. Si inventarono i keycode, generati casualmente muovendo il mouse come capitava. Si resero conto che serviva un sistema di fatturazione e lo ottennero riciclando quello che veniva usato in altri reparti di Electronic Arts. Scoprirono che in Europa le carte di credito si usavano pochissimo e dovettero organizzarsi per venderne di prepagate. Furono sostanzialmente i primi a vendere un gioco in negozio per il quale i singoli clienti dovevano crearsi account personali. Ultima Online, insomma, segnò un sacco di prime volte.

Tutto questo avveniva in tempi strettissimi, col lancio sempre più vicino, e i ruoli si mescolavano, con designer che si trovavano a lavorare direttamente sul codice (non una grande idea) e bug che uscivano dalle fottute pareti. E, come spesso accade, una fra le idee più innovative e seminali nacque come risposta a una crisi imprevista. In Origin erano convinti che, in caso di successo, avrebbero venduto trecentomila copie di Ultima Online. E invece, nel giro di un mese, c'era già oltre un milione di giocatori. Mantenerli tutti all'interno di un singolo mondo era impossibile, andavano separati. Ma bisognava dare un senso narrativo alla cosa. Andarono quindi a recuperare addirittura la trama del primissimo Ultima, nel quale il giocatore distruggeva la gemma di Mondain, riducendola in frantumi (shards). Questo aveva generato numerose copie della stessa realtà, che appunto vennero chiamate shard, e addirittura, nella finzione, c'era la speranza di poterle un giorno riunificare. La cosa fantastica, che diverte e riempie di orgoglio Garriott, è che “shard” divenne un termine universale in ambito informatico, anche per server in settori del tutto slegati dai videogiochi. Si dice “shard” in ogni ambito, senza sapere di stare parlando della gemma di Mondain.

Chiaramente, la divisione in shard si prestò alla creazione di mondi dalle regole differenti, con – banalmente – shard in cui ci si uccideva, shard espressamente dedicati a chi voleva giocare di ruolo in maniera radicale e via dicendo.

Nel nuovo millennio, riflette il gruppo sul palco, si cerca di lanciare un gioco quando si è pronti, anche se la disponibilità dell'Accesso Anticipato complica le valutazioni. Di sicuro, si sono viste svariate catastrofi a seguito di lanci sbagliati. E il problema è che un gioco online va aggiustato in corsa, ragionando su come limitare i disagi per i tuoi utenti, lavorando di nascosto. Perché “30% è il gioco, 70% è l'esperienza”. A fine anni Novanta, gestire una cosa del genere era un delirio: “non puoi chiudere uno shard di un mondo persistente”. Inoltre, essendo uno dei primi giochi del genere ad avere quel genere di successo, ci si trovava anche in situazioni completamente inedite e non era banale capire come gestirle.

Addirittura, erano molto timorosi nel gestire la comunicazione col proprio pubblico perché alcune questioni erano finite in tribunale. Ma d'altro canto, i dati parlavano chiaro, se chiudevano le comunicazioni, la gente giocava meno. Insomma, si camminava sulle uova e si prendevano costantemente decisioni delicatissime. Bisognava, per esempio, gestire la gente che sfruttava i bug a proprio vantaggio o capire cosa fare con chi si dedicava a uccidere gli altri giocatori. La decisione di lasciare completamente libero il “player killing” fu forse la scelta di design più controversa. E dovettero provare a porre rimedio, tentando mille vie, arrivando a provare ben sette design nuovi completi, introducendo per esempio la possibilità di segnalare gli utenti e un sistema di taglie (che i giocatori finirono per trasformare in una sorta di classifica). Questo problema, confessano, costò parecchi giocatori.

D'altro canto, quando la gente racconta le proprie storie preferite su Ultima Online, sono sempre legate a comportamenti discutibili dei giocatori e, in questo, “Fortnite e simili sono successori spirituali di quel fenomeno di player killing”. Ma gli esempi di “casi” complessi si sprecano. Per esempio, nel gioco c'erano degli oggetti rari (a volte anche a causa di bug che ne bloccavano il respawn) e la gente iniziò a dedicarsi alla loro ricerca come se fosse un lavoro, organizzando poi vendite clandestine al di fuori del gioco. C'era chi spostava pozze d'acqua in stanze chiuse per passare la giornata a pescare indisturbato. C'era chi pagava messicani e cinesi per lasciarli a lavorare in miniera tutto il giorno. Io, in effetti, conosco una persona che si faceva sfruttare in miniera dal suo ragazzo. In pratica, Ultima Online fu un precursore di microtransazioni e free to play perché il team si era dimenticato di flaggare i candelabri.

La causa in tribunale creò un sacco di grattacapi, perché impediva una comunicazione sana coi giocatori. Tra l’altro, il motivo per cui oggi non sono disponibili i documenti di design originali è proprio quello: sono chiusi in un qualche armadio di Electronic Arts per questioni legali.

L’idea di creare un contesto in cui si giocasse davvero di ruolo funzionò al punto di andare fuori controllo, dando vita a dinamiche impreviste e non sempre gradite. Del resto, era nata una vera e propria comunità, grande come una città reale, in cui la gente si ritrovava a discutere di governo virtuale come se fosse un governo reale. Loro, gli sviluppatori, erano il governo e per loro lavoravano le forze di polizia, i game master, che talvolta erano perfino corrotti. Come, purtroppo, nella realtà. Organizzavano assemblee parlamentari, durante le quali ci si ritrovava con il popolo per discutere proposte di modifiche alle leggi, che venivano poi messe alla prova in server appositi. Le patch arrivavano dall’alto come se fossero provvedimenti del governo e c’erano impiegati che si occupavano di gestire il volere del popolo… anche se all’epoca ancora non si chiamavano community manager. Ci pensate? A quei tempi, quando si ritrovarono a dover assumere qualcuno si occupasse di gestire la community, il cui lavoro fosse “parlare alla comunità di giocatori”, il solo pensiero faceva ridere. Oggi mica tanto. E, del resto, serviva, dato che Raph Koster si era ritrovato a fare esattamente quello per venti ore a settimana, venti ore che sarebbe stato meglio dedicare al gioco.

Oltretutto, c’erano anche i problemi tecnici: come poi i giochi online ci avrebbero abituato a sopportare, nei primi giorni la qualità del servizio fu tremenda. Vennero seppelliti da segnalazioni di bug ma non avevano il personale necessario per rispondere e la gente si sentiva ignorata. Anche qui, entrò in gioco la libertà offerta dalla simulazione: la gente iniziò a organizzare assembramenti sui server, azioni di protesta, che però peggioravano la situazione, vuoi perché appesantivano il carico di lavoro dei server, vuoi perché la gente si comportava in maniera barbara, come in fondo spesso accade nella realtà. Entravano nelle case o nel castello nudi e ubriachi, vomitando in giro e urlando oscenità. Questo genere di situazioni “emergenti” andava affrontato dagli sviluppatori, che però si impegnarono sempre a intervenire cercando di non rompere la simulazione, lavorando all’interno del mondo di gioco. Un esempio? Beh, l’assedio di Trinsic, coi giocatori che bloccarono tutte le uscite con i mobili, costringendo la gente che spawnava lì a uscire da un cancelletto dove i player killer erano pronti a massacrare chiunque si presentasse. Durò fino alla patch successiva, quando gli sviluppatori inserirono la possibilità di utilizzare le asce per sfondare il legname e, quindi, le barricate.

Una volta, un tizio vestito da Hulk Hogan sfidò a duello Blackthorn, quindi Starr Long: organizzarono una serie di match e tornei. E poi c’è il caso, famosissimo, dell’assassinio di Lord British (che, ovviamente, era il personaggio di Richard Garriott): verso la fine della fase di beta, fecero un wipe del server, con i personaggi che andavano ricreati da zero. In quei momenti, gli sviluppatori dovevano ricordarsi di riattivare il flag dell’invulnerabilità per i propri personaggi. Ma una volta Garriott se ne scordò e, durante un discorso pubblico dalle mura Trinsic, venne attaccato da tale Rainz, che lanciò un campo di fuoco su sua maestà e i suoi fidi alleati. Blackthorn si fece due risate: era invulnerabile. Lord British, però, ci rimase secco e per qualche minuto fu il panico, con Garriott che controllava un fantasma, Blackthorn che evocava demoni in mezzo alla folla per disperderla e i GM che proteggevano il cadavere e i suoi averi.

Era tutto fuori controllo. Erano i giocatori a controllare il gioco. Ed era giusto così.

All’interno del gioco nascevano le attività più folli. In avvio della fase di beta, il primo dialogo fra un personaggio maschile e un personaggio femminile fu “Do you wanna cyber?” I giocatori si toglievano i vestiti e si inchinavano per simulare l’amplesso, dicendosi maialate tramite la chat testuale. Bastò una settimana perché tale Flyguy avviasse un vero e proprio giro di prostituzione in un edificio vuoto al porto. Si tinse perfino i vestiti per calarsi nei panni del pappone. Anche in Ultima Online, la prostituzione fu il mestiere più antico del mondo.

Altro? La gente piazzava rune per il teletrasporto nelle banche, tramite cui rapiva gente che aveva appena prelevato, per derubarla e mollarla lì, completamente nuda, nel bel mezzo del nulla, a urlare chiedendo aiuto. A Natale, fecero apparire Babbo Natale con tanto di renna, ma il respawn andò fuori controllo e il gioco si riempì di panzoni con la barba che i giocatori avevano spogliato. Giravano nudi urlando “Oh oh oh!”, mentre, utilizzandone i vestiti, i ladri organizzarono una gilda di player killer vestiti da Babbo Natale. Era guidata dal programmatore capo. Provarono a dare il carbone a chi si comportava male: i giocatori lo utilizzarono per assemblare un’armatura nera che divenne, di fatto, un oggetto raro, di grande valore. Era tutto fuori controllo.

Ma, in fondo, voleva dire che ce l’avevano fatta. Nel giro di due anni e tre mesi, con un team base di 8/10 persone, avevano messo assieme un gioco rivoluzionario. Oggi, i blockbuster vengono sviluppati da diverse centinaia di persone, ma Ultima Online raggiunse a malapena quota cento verso la fine dello sviluppo. E un mese dopo il lancio, a occuparsene erano rimasti in due (tutti i programmatori se ne andarono a lavorare altrove), anche se si aggiunsero una dozzina di persone ingaggiate fra i giocatori. Era nato un vero e proprio fenomeno, cui venivano dedicati saggi, racconti, siti web, comunità online e offline. Ci sono gilde in attività ancora oggi, famiglie che giocano a Ultima Online da tre generazioni. Il regno di Ultima non era più governato da Richard Garriott, era completamente nelle mani dei giocatori.

L’orgoglio e la gratitudine del team di sviluppo si percepiscono chiaramente.

Ed è giusto così.

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