Windjammers è più nineties del codino di Baggio
Se domani qualcuno dovesse chiedermi di indicare a caso l’anno più Novanta dei Novanta, credo che sparerei il 1994. Fu proprio durante quell’aprile lì che Kurt Cobain ci lasciò le piume, perdendosi per un soffio l’inizio del berlusconismo. Essì che era appena passato da Roma.
Io alle politiche del 1994 ancora non avevo maturato il diritto al voto, però ricordo bene che alcuni tra i ragazzi più grandi erano passati al baretto vantandosi di aver segnato sulla scheda il nome di Roberto Baggio. Chissà se avrebbero fatto lo stesso se si fosse votato a settembre, anziché a marzo, per via di quella clamorosa svirgolata del buddista durante la finale di USA ‘94? Forse lo scoprirò guardando la serie TV 1994, che – stando a quanto dice l’internet - stanno girando proprio in questi giorni a Napoli.
Personalmente, di quell’anno ricordo soprattutto magliette troppo larghe e dai colori allucinanti, un sacco di Dylan Dog nuovi o recuperati, una tipa che mi piaceva (la mia variabile per tutto il decennio) ma purtroppo non ce n’era (costante).
Ancora: le trasmissioni calcistiche della Gialappa’s Band con la sigla di Elio, i Nirvana (appunto), ma soprattutto le mille corse in motoretta e la riga in mezzo schiacciata dal gel e dall’enorme casco che mi ficcavo sulla capa, ché era uguale sputato a quello di Capirossi. Con la non trascurabile differenza che sotto al culo di Loris viaggiava una Honda NSR250s preparata dal team, mentre io mi barcamenavo con un Sì della Piaggio smarmittato dalla Motocicli Vismara di Capiago Intimiano.
Detto questo, se mi avete seguito fin qui nella speranza (??) di imbroccare un racconto dell’ospizio di quelli pettegoli dedicato a Windjammers, siete fuori strada.
Perché sì, nonostante il gioco di Data East abbia visto la luce proprio nel 1994 e all’epoca si trovasse praticamente ovunque, io – plot twist – non l’ho mai cagato granché, tutto preso com’ero da questo o da quel picchiaduro. Anzi, dirò di più, le volte che mi è capitato di metterci mano per fare da sparring a qualche amico, mi è sempre parso una mezza sola. Un gioco pacchiano da giocare ma soprattutto da guardare, con quel design dei personaggi a metà tra il tizio di Super Human Samurai e American Gladiators.
Lo stesso design che oggi, naturalmente assieme al gameplay, rende Windjammers un’autentica chicca, oltre che una manna dal cielo per chiunque desideri indagare un po’ sullo spirito dei Novanta.
Meglio noto in Giappone come Flying Power Disc, dopo la nascita su Neo Geo e il recente sbarco su Virtual Console, PlayStation 4 e PlayStation Vita, a partire dallo scorso ottobre Windjammers è arrivato anche su Switch.
Come ho già accennato, il gioco rappresenta un autentico punto di convergenza di segni, stili e narrazioni “So ‘90s”; alla radice del gameplay c’è Pong, OK, ma a essere storicamente interessanti sono tutti gli strati che vi si sovrappongono.
In primis il frisbee, naturalmente, autentico simbolo di quella gioventù americana accampata lungo la West Coast assieme ai Red Hot Chili Peppers. A differenza dei loro fratelli maggiori a otto bit cresciuti su Out Run e California Games, i teenager dei Novanta già conoscono le mosse speciali di Street Fighter II e le schiacciate fiammeggianti di NBA Jam.
Vestono t-shirt O'Neill, Ocean Pacific e Mambo dai colori fluo e dalle fantasie à la Zack Morris; indossano occhiali da sole a mascherina e portano bandane tipo i surfisti di Point Break, mentre avanzano indecisi tra il grunge, il funky e la techno. Tutti questi colori, le magliette, gli occhiali, il sound e la sabbia nelle mutande li ritroviamo in Windjammers, assieme alle ginocchiere dei Gladiatori Americani e alle mosse speciali “mezzaluna + tasto” forgiate da Capcom, ma celebrate anche dai picchiaduro di SNK.
Ed è proprio dai giochi di menare giapponesi, in fondo, che Data East mutua lo spirito di questi duelli a base di frisbee, assieme ai minigiochi, alla palette cromatica e al roster multietnico con i nomi stereotipati: basti pensare che l’italiano si chiama Loris Biaggi.
Anche gli attributi di ciascun atleta attraversano uno spettro decisamente classico che ha i suoi estremi in forza e velocità: si parte dalla giapponese Hiromi Mita e dal coreano Sud Bee-Ho Yoo (noto anche come “Steve Miller l’inglese”, nella versione USA), veloci ma dai colpi debolucci, passando per gli equilibrati Jordi Costa (Spagna) e Loris Biaggi, per chiudere infine con due bestioni da sfondamento: Gary Scott (USA) e Klaus Wessel (Germania, chiaramente).
Come da copione, scelti atleta e tipologia di gioco, tocca sfidare tutti gli altri - oppure un amico - alternando gli sforzi tra attacco e difesa. Nel primo caso, l’obiettivo è quello di infilare col frisbee una serie di spot a fondo campo da tre o cinque punti, nel tentativo di accumularne dodici e spuntare due set su tre. I lanci possono essere lisci, in diagonale o a pallonetto; oppure a effetto. Sì può afferrare il disco al volo e rispondere con delle mine, ma soprattutto è fondamentale la parata che, mescolata al giusto timing, innesca una serie di pirotecnici tiri speciali che, a parità di esecuzione, sortiscono un effetto diverso a seconda del personaggio.
Riguardo la difesa, stesso discorso ma all’inverso: si tratta di correre in giro per il campo evitando che il disco lanciato dall’avversario ci fischi tra le orecchie e penetri la nostra barriera.
Gli scontri ruotano lungo sei arene, ciascuna con le sue brave peculiarità legate al terreno, alla collocazione delle porte e a quei cosi appiccicati alla rete che non so come si chiamino; ma insomma, quelli che impicciano il disco, dai. Ogni due vittorie, parte il bonus stage: nel primo tocca lanciare il frisbee a un cane per poi fare in modo che la bestiola lo afferri al volo; il secondo, invece, è una variante del bowling.
Venendo finalmente alla versione Switch che ho avuto modo di provare, praticamente è la roba originale del 1994 rispolverata per l’occasione dai tipi di DotEmu, pratici di operazioni del genere. Diversamente da Wonder Boy III: The Dragon's Trap (dove c’era di mezzo Lizardcube), Windjammers non gode di una reskin grafica, ma come già Neo Turf Masters o le versioni uscite a suo tempo per PlayStation 4 e Vita, si propone al pubblico nudo e crudo con giusto un paio di extra. Tipo, la possibilità di rovinare i 4:3 passando ai 16:9; di spalmare qualche filtro sopra lo schermo (smooth, CRT, scanline) e di selezionare la colonna sonora della versione Neo Geo CD.
L’unica vera novità è rappresentata ovviamente dall’online, che permette di accedere a partite veloci, personalizzate o classificate. Tolto questo, niente artwork o cotillon di sorta, il che, francamente, per me non rappresenta un grosso problema, ma mi rendo conto che stiamo parlando di un videogioco del 1994 rivenduto per 14,99 euro.
Eppure, sapete che c’è?
C’è che a prescindere dall’operazione, che può riuscire simpatica o meno, e da eventuali giudizi sullo sforzo di DotEmu, Windjammers è davvero di un gioco della madonna, dalle meccaniche semplici rispetto agli standard odierni ma profondo e perfetto da giocare con gli amici sia in presenza che online. E su Switch ci sta che è una crema.
Io, tra l’altro, non avendolo sviscerato ai tempi, ho finito per godermelo con occhi freschi e senza le lenti della nostalgia. E al netto degli asset contestualmente datati (ma fanno vintage), ho scoperto un gameplay fresco e guizzante, de fero o de piuma a seconda delle circostanze ma mai noioso. Insomma, in una linea temporale parallela dove non è mai uscito nel 1994, Windjammers sarebbe assolutamente credibile anche come gioco multiplayer indie moderno.
Ho giocato a Windjammers grazie a un codice per il download su Switch gentilmente fornito dallo sviluppatore, prevalentemente in modalità docked ma qualche volta pure al cesso (Tiro a vortice!). Al di là del suo valore intrinseco, se volete spiegare a un amico come si stava negli anni Novanta ma siete a corto di argomenti, non avete che da mettergli in mano uno Switch + ‘sto gioco. Questa riedizione di Windjammers è disponibile su PlayStation 4, su PlayStation Vita e su Switch.