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Heion sedai no Idaten-tachi: bei colori, brutte persone

Heion sedai no Idaten-tachi: bei colori, brutte persone

Confrontandosi con mostri che le armi non potevano neanche scalfire, l’umanità si trovò sull’orlo dell’estinzione. Quindi gli dei giunsero. Erano deità chiamate Idaten che affrontarono i mostri sconfiggendoli e sigillandoli.
Questi eventi ebbero luogo 800 anni fa.

Ora invece i demoni non esistono più e l’unica Idaten rimasta a guardia del sigillo: Rin si dedica a trovare e preparare alla battaglia i nuovi Idaten che però, al netto del bellicoso Hayato, “non ne vogliono sapere mezza”.

Nati in pace si dedicano a trascorrere l’eternità che gli tocca in sorte seguendo la loro indole, che si tratti di empatia verso le specie viventi come nel caso della svampita Paula o di insaziabile curiosità scientifica come nel caso dell’occhialuto Easley.

Quello che non sanno è che il nemico di 800 anni fa è tutt’altro che scomparso… l’altra cosa che non sanno, e che non sa neanche il nemico, è che le cose sono sempre un po’ diverse da come uno se le immagina.

Andato in onda in Giappone nella stagione estiva appena trascorsa e disponibile agli iscritti a Crunchyroll, Heion Sedai no Idaten Tachi (approssimativamente traducibile in “Le divinità idaten che conoscono solo la pace”) è una serie di dieci puntate prodotta da MAPPA e tratta dal webmanga omonimo di Amahara ed è, beh, diverso da come uno se lo immagina.

Opening

La prima puntata, con il suo character design pulito da epigono dei fantasy “post Dragon Ball” (Dragon Quest, Dai: la grande avventura), i suoi colori primari stesi ad ampie campiture, la sua violenza cartoonesca e i suoi personaggi monodimensionali (la maestra invincibile, il discolo rissoso, la buona svampita, l’intellettuale impassibile), propone allo spettatore un già visto in cui adagiarsi.

Salvo fare il gesto (ma solo il gesto, eh!) di togliergli la sedia da sotto il sedere proprio nel finale, con una scena censurata in maniera palese e, quindi, resa ancora più inquietante.

Dalla seconda puntata, l’anfitrione burlone comincia a diventare progressivamente più sorprendente: come se tenesse una conversazione banale in cui inserisce considerazioni che ribaltano le attese e scherzose minacce. I colori primari ad ampie campiture hanno derive psichedeliche che rimettono in prospettiva la inaspettata sigla di apertura, alcuni personaggi sono caricaturali ma caricaturali in una maniera che non è esattamente quella che ti aspetteresti in un anime che pensavi essere parte di un certo filone, ed altri personaggi non si comportano proprio come ti aspetteresti in un anime che pensavi… eccetera, eccetera.

Ma soprattutto, la storia stessa non va nella direzione che pensavi. Le attese classiche stimolate da due o tre situazioni “tipiche” sono ribaltate con una manciata di fotogrammi o da mezzo dialogo, piuttosto sensato, su cosa siano demoni e umani agli occhi di esseri nati per essere “immanenti”.

Ending

A quel punto, tu spettatore scopri di essere accalappiato e l’unica cosa che speri è che tutta questa arguzia si sviluppi in un crescendo di epica o depravazione (o entrambe) ma che non osi arrivare spompato o inconcludente alla fine delle (davvero poche) dieci puntate. Una scommessa azzardata, certo, se si considera che il webmanga da cui è derivato l’anime è “sospeso” dal 2016.

Al netto dei miei timori di prendermi una sola (non l’ho ancora finito ma non sono riuscito a tenermi dal scriverne) sicuramente ci sono due o tre ulteriori dati oggettivi che posso ancora dare.

Sì, stavo parlando di lei.

Come detto, al netto di personaggi inquietanti nel loro essere volgarmente affascinanti, l’anime non regge certo il suo carisma su un character design evoluto o animazioni di primissimo livello, al limite va riconosciuta l’astuzia di fare della povertà di colori un punto di forza estraniante.

Molto buone invece la sigla iniziale e la sigla finale: la prima, caratterizzata da un tiro psichedelico delle immagini su un pezzo J-pop abbastanza banale, viene contrastata dalla seconda che su una banale scenetta “what-if” appone un pezzo syntho-rap sgraziato quanto divertente. In perfetta sintonia con il tono generale dell’anime ed in grado di compensare un doppiaggio originale professionale ma tenuto al minimo sindacale, forse proprio per non dare indizi, fossero anche sonori, allo spettatore su come porsi rispetto a quello che accade.

Insomma, da qualsiasi parte lo si guardi, un anime che si diverte a non dare appigli.

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