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I (nostri) migliori anni del videogioco: 1998, l’anno in cui i videogiochi sono diventati grandi

I (nostri) migliori anni del videogioco: 1998, l’anno in cui i videogiochi sono diventati grandi

Lo so che probabilmente avete letto la stessa cosa anche negli altri articoli dedicati alle varie annate videoludiche, ma credetemi se vi dico che il 1998 è stato uno degli anni più belli e importanti. Incidentalmente, me lo sono vissuto in quella che forse è una delle età più belle per un essere umano: diciassette anni, ovvero nel punto esatto in cui sei ancora in bilico tra l’età adulta e l’adolescenza, l’ansia per l’esame di maturità non ti ha ancora serrato la gola e quella dei primi anni di liceo è ormai alle spalle. Un punto d’equilibrio ideale per godersi dei giochi della madonna.

Il 1998 è forse uno fra i primi anni in cui i videogiochi sono diventati “adulti” e con questo termine non identifico la presenza di donne nude, violenza e parolacce ma un tipo di narrazione diversa, un linguaggio che si ispirava al cinema ma iniziava già a prenderne le distanze. Insomma, anche i videogiochi, come me, stavano per approdare alla maturità.

Dal punto di vista tecnico, è stato uno dei primi anni in cui i videogiochi hanno iniziato a prendere dimestichezza con la tridimensionalità: le prime schede grafiche dedicate erano uscite solo un paio di anni prima, ma furono giochi come Unreal e Half-Life a mostrare ciò che si poteva fare con quel genere di hardware. Se invece guardiamo al linguaggio videoludico, il 1998 fu un anno di evoluzione sui generi che già si erano consolidati negli anni precedenti. Se la scrittura fosse nata negli anni Novanta il 1998 sarebbe stato l’anno dei primi veri capolavori.

Tanto per chiarire subito di cosa stiamo parlando, vi lascio qua qualche nome. Nel 1998 abbiamo Starcraft, che poggia sulle spalle del genere RTS per diventare uno dei primi fenomeni multiplayer della storia e trasformar la Corea in una superpotenza del gaming competitivo. Abbiamo il già citato Unreal, che ha uno fra gli incipit più belli nella storia degli FPS, è il capostipite di una dinastia di titoli che di li a poco diventeranno un punto di riferimento sempre nel campo del multiplayer e si appoggia su uno fra i motori grafici più usati di sempre.

Citare Half-Life, poi, è un atto dovuto e quasi un gesto di eccessiva cattiveria nei confronti delle annate successive e precedenti: probabilmente una fra le opere umane più importanti degli ultimi trent’anni, un gioco capace di ridefinire il concetto di narrazione soggettiva, citazionista al punto giusto, avanti sui tempi e in grado da solo di creare una vera e propria mitologia che dura ancora oggi.

Ma non è finita, perché nel 1998 abbiamo un’altra grande opera che sfrutta per la prima volta il 3D: The Legend of Zelda: Ocarina of Time, ovvero il primo Zelda tridimensionale, uno fra i primi giochi a usare i tasti in maniera contestuale all’ambiante, il primo della sua stirpe a permettere nuovi modi di esplorare Hyrule e una tra le fondamenta dei videogiochi di oggi.

Sempre nel campo dell’esplorazione, il 1998 è l’anno in cui Bioware fa il primo passo nel mondo degli RPG con Baldur’s Gate che non solo era una miracolosa trasposizione delle meccaniche di D&D, sogno bagnato di ogni lanciatore di D20, ma era anche la prima volta in cui potevamo assaporare la capacità di Bioware di calarci in un vastissimo mondo da esplorare in tutti i suoi dettagli e le sue storie. Ancora oggi si gioca che è un piacere.

Ci sarebbe poi da citare un altro gioco di ruolo estremamente complesso, nascosto sotto la simpatica veste di un gioco per ragazzi. Sto parlando di Pokémon Rosso e Blu, ovvero il momento in cui un business che era già forte diventò una vera macchina stampa-soldi in puro stile Nintendo. Ovviamente, all’epoca lo snobbai, perché i Pokémon erano per bambini e ancora adesso mi do del coglione.

Cos’abbiamo, poi? Beh c’è Grim Fandango, che forse non sarà stato il più grande successo commerciale, ma era un gioco scritto con una cura maniacale, ricco di situazioni spettacolari e che cercava di uscire dal loop in cui le avventure grafiche sembravano intrappolate da anni. C’è Thief: The Dark Project, che ridefiniva il concetto di gioco stealth, anzi forse lo definiva per la prima volta sul serio, e dettava i tempi di una musica che ascoltiamo ancora oggi.

E poi, beh… e poi c’è Metal Gear Solid.

Dai, devo veramente iniziare su Metal Gear Solid? Ricordo che all’epoca, tutto sommato, mi arrivò tra le mani come un oggetto misterioso, ancora in versione giapponese, annunciato dalle riviste di settore ma in fondo poco conosciuto. All’epoca, i negozi di videogiochi attiravano attorno a sé delle piccole comunità di personaggi pittoreschi che passavano il tempo a discutere su giochi e console: ovviamente, anche io perdevo i miei pomeriggi in questo modo. Sempre meglio che studiare. Quando arrivò la prima copia d’importazione parallela, un capannello di avventori, tra cui il sottoscritto, assistettero in religioso silenzio all’arrivo di Solid Snake a Shadow Moses. Prima del suo arrivo all’ascensore, avevo già deciso di comprare la versione giapponese, non potevo aspettare. Me lo giocavi in giapponese, stampandomi da internet le traduzioni dei dialoghi pagina per pagina.

Adesso non lo farei neppure sotto tortura, ma nel 1998 aveva tutto molto senso: il miglior anno dei videogiochi varrà pur qualche sacrificio.

Il 1998 riassunto in maniera arbitraria e incompleta: Baldur’s Gate, Banjo-Kazooie, Dance Dance Revolution, Fallout 2, F-Zero X, Gran Turismo, Grim Fandango, Half-Life, The Legend of Zelda: Ocarina of Time, Mario Party, Metal Gear Solid, Panzer Dragoon Saga, Parasite Eve, Pokémon Rosso e Blu, Starcraft, Thief: The Dark Project, Tom Clancy's Rainbow Six, Unreal.

Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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