In Codice d'onore il vincitore morale è Nathan Jessep
“Probabilmente - non so, mi sta venendo in mente adesso - probabilmente abbiamo la responsabilità, come ufficiali, dell’addestramento di Santiago. Probabilmente, come ufficiali, abbiamo delle responsabilità verso la nazione; dobbiamo far sì che gli uomini e le donne addetti alla sua sicurezza siano addestrati professionalmente. Sì, mi sembra... anzi, sono certo di averlo letto una volta da qualche parte.”
Ultimamente mi sono reso conto di avere anch’io un problema abbastanza diffuso tra i fruitori di film sulle piattaforme digitali, ovvero che non c’è più un film che mi invogli davvero a guardarlo. Soprattutto fra i titoli più recenti, ormai non trovo più nulla che mi lasci a bocca aperta o che mi faccia venire voglia di riguardarlo dall’inizio una volta terminato. Così mi ritrovo, spesso, a fare un rewatch di cose già viste. Sarà che ormai tutto è già stato raccontato in tutte le salse possibili, sarà che attori capaci di bucare lo schermo come le grandi star degli anni Novanta non ce ne sono più, ma ormai temo che pure la settima arte stia un po' girando intorno a sé stessa da anni.
Tanto per fare un esempio in linea con il film oggetto di questo pezzo, non ricordo un legal drama in grado di tenere il passo con Codice d’onore.
Il film di Rob Reiner, targato 1992, vede il giovane avvocato della Marina degli Stati Uniti Daniel Kaffee assumere la difesa di due marine, il vicecaporale Dawson e il soldato scelto Downey, accusati di aver ucciso un loro commilitone, il soldato scelto William T. Santiago. I due accusati sostengono di aver semplicemente obbedito ad un ordine superiore, di aver applicato quello che nel loro gergo è un “codice rosso”, ovvero un provvedimento disciplinare interno non ufficiale.
Daniel Kaffee è il figlio del più famoso Lionel Kaffee, un vero e proprio principe del foro, scomparso ormai da qualche anno, un avvocato agguerrito ed appassionato che lottava per i diritti dei più deboli e meno fortunati. A differenza del padre, la cui ombra rimane ingombrante, Daniel non prende a cuore i casi dei suoi assistiti e si limita a patteggiare senza mai affrontare il tribunale. Anche in questo caso, il giovane avvocato non si cura molto del fatto che i suoi assistiti siano innocenti o meno: vuole chiudere il caso al più presto e tornare a giocare a softball, cosa che sembra interessargli molto di più rispetto alla sua professione.
Il rifiuto di patteggiare da parte dei suoi assistiti, che ribadiscono la loro innocenza in quanto stavano semplicemente eseguendo un ordine, e i consigli dei suoi colleghi Galloway e Weinberg, con i quali compone il collegio di difesa, che cercano di scuoterlo emotivamente dalla sua comfort zone di patteggiatore, lo spingono a guardare con meno superficialità alla situazione e a indagare a fondo.
Kaffee capisce che il caso è molto meno semplice di quanto sembri e durante lo svolgimento delle indagini andrà a scontrarsi – prima in maniera molto soft, e poi, nella parte finale, in maniera veemente e aggressiva - con colui che, almeno secondo me, è il vero e proprio protagonista del film, il colonnello Nathan Jessep, interpretato da un impeccabile Jack Nicholson, in forma come non mai.
Jessep dirige la base di Guantanamo a Cuba, teatro dell’omicidio. Santiago, la vittima, era un marine molto al di sotto della media nelle valutazioni, un soldato palesemente inadeguato ed estremamente debole. Santiago, pur di lasciare la base, è pronto a denunciare Dawson per aver sparato un colpo di fucile senza autorizzazione in territorio cubano. Jessep non accetta le debolezze di Santiago e, contro ogni logica e ogni consiglio dell’amico e collega Markinson, con cui ha fatto l’accademia e combattuto in Vietnam, anziché concedere il trasferimento a Santiago, pretende che quel soldato così fragile, considerato da tutti una zavorra e una vergogna per il corpo dei marine, venga addestrato fino a quando non sarà un soldato quantomeno nella media. I marine, per come vengono descritti nel film, sono una vera e propria setta in cui regole, disciplina, onore e codici sono le uniche cose che regolano le loro vite.
Kendrick, comandante del plotone di cui fa parte Santiago nonché sorta di braccio destro di Jessep, durante la deposizione in tribunale sembra non uscire mai dalla propria figura di soldato, e sottolinea che la sua scala gerarchica è “Reparto, Corpo, Dio e Patria” e che le uniche autorità da lui riconosciute sono “Nostro Signore e il mio comandante colonnello Nathan Jessep”. Il corpo dei marine è tutto ciò che conta, farne parte vuol dire spendere la propria vita seguendo certe regole e portare sulle proprie spalle il peso di dover difendere la propria patria.
Kaffee, durante tutto il film, compie un vero e proprio percorso di maturazione interna: da avvocato patteggiatore relegato in un angolo dall’ombra di un padre che non sarà mai in grado di eguagliare, a vero e proprio avvocato da tribunale che vince la prima causa cercando la verità ad ogni costo, anche rischiando di perdere in maniera cocente e bruciante. Tuttavia, così come da titolo, nonostante Kaffee vinca la causa – con una mossa disperata e anche un po' fortuita – il vero vincitore morale è Jessep.
Intendiamoci, è un personaggio totalmente negativo, che ha colpe enormi ed è disposto a mentire e a rovinare due sottoposti per salvarsi dalla legge, ma durante la deposizione finale, fa un discorso che, dal suo punto di vista, non fa una piega.
Il discorso di Jessep è molto semplice: lui e i suoi marine sono chiamati a una responsabilità enorme: difendere la nazione. Chi si assume un peso del genere deve saperlo fronteggiare, altrimenti la gente muore. Lui deve addestrare degli uomini pronti a difendere gli Stati Uniti, in modo che le altre persone, quelle che non stanno “in prima linea” come lui, possano essere libere e dormire sonni tranquilli. Lui difende la nazione a modo suo, e la vita persa da Santiago ha contribuito a salvarne altre.
Insomma, il succo del discorso è questo: tu, Daniel Kaffee, accusi me di essere il colpevole quando io non faccio altro che permettere a te e ad altri come te di vivere tranquillamente fornendoti una “coperta di libertà” sotto la quale puoi dormire sonni tranquilli. Ti fornisco la libertà e la sicurezza a modo mio e tu, ingrato, non devi contestare come te la fornisco, altrimenti indebolisci la Patria di cui fai parte. Noi eseguiamo degli ordini figliolo, altrimenti la gente muore. Semplice, no?
Kaffee non ha alcuna prova della colpevolezza di Jessep, il colonnello non ha lasciato alcuna traccia del suo crimine e sa che il comando preferisce insabbiare tutto e non intaccare la sua figura, tra l’altro in procinto di essere nominato Direttore Operativo del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Un po' come nel calcio, quando stai perdendo e manca un minuto alla fine, l’unica cosa che puoi fare è buttare in campo tutti gli attaccanti che hai e spingere in avanti anche il tuo portiere, nella speranza di segnare il gol decisivo. E Kaffee ce la fa, spinge Jessep ad ammettere che l’ordine l’ha impartito lui.
Game, set match.
Ma il personaggio interpretato da Tom Cruise ha avuto solo una botta di fortuna. Diciamolo.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al colore rosso, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.