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Downward Spiral: Horus Station - “My empire of dirt… ”

Downward Spiral: Horus Station - “My empire of dirt… ”

Sarà stata l’influenza di Gravity o la naturale predisposizione della realtà virtuale a simulare ambienti a gravità zero, fatto sta che quello della stazione spaziale abbandonata è uno dei temi più abusati nel campo della realtà virtuale. Da Detached a Lone Echo, passando per Adrift, la possibilità di vagare sospesi nello spazio come in un incubo kubrickiano pare piacere molto agli sviluppatori. E allora cosa dovrebbe distinguere Downward Spiral: Horus Station dai suoi simili, in un settore che già stenta a decollare e che sembra avere una vera e propria ossessione con la navigazione in ambienti a zero g?

Fin dalle prime battute della storia, Downward Spiral: Horus Station si configura chiaramente come un horror atmosferico in salsa fantascientifica, con una enorme stazione spaziale, ormai abitata solo da droni, robot e un’intelligenza artificiale di chiara ispirazione egizia, da esplorare alla ricerca di cosa abbia portato alla prematura dipartita di tutti i suoi abitanti, ora ridotti a meri cadaveri fluttuanti. Non una parola viene proferita nel corso delle circa quattro ore necessarie a completare il gioco e tutta la narrazione è affidata ad ambienti e indicazioni sparse in giro per la stazione spaziale. Per quanto Downward Spiral: Horus Station faccia di tutto per costruire un’ambientazione affascinante ed opprimente, non sempre ci riesce a dovere, specie nelle fasi avanzate dell’avventura, quando la monotonia degli ambienti, pur generalmente ben costruiti, comincia a prendere il sopravvento e stancare il giocatore più di quanto non faccia lo sforzo di tenersi addosso il pesante caschetto del VIVE per periodi prolungati di tempo.

In compenso, il movimento del giocatore all’interno degli ambienti è molto comodo ed istintivo. All’inizio è possibile usare solo le mani come mezzo di propulsione, spingendosi ed aggrappandosi alle pareti in un’operazione che risulta del tutto naturale, in un ambiente a gravità ridotta. Quasi immediatamente si viene in possesso di un comodissimo verricello, che è possibile equipaggiare su una delle due mani per potersi issare verso pareti o per recuperare oggetti lontani. A differenza del classico approccio al movimento adiuvato da jetpack e compagnia cantante, utilizzato in quasi ogni altro gioco del genere, l’utilizzo del verricello risulta davvero comodo, per evitare problemi di motion sickness ma anche per trasmettere una sensazione di continua tensione al giocatore, che deve essere sempre impegnato a trovare una parete o un appiglio che possa permettergli di effettuare il movimento o la manovra acrobatica che vuole, specie durante le fasi di combattimento. Downward Spiral: Horus Station, infatti, oltre agli ovvi puzzle da “apri la porta, tira la leva, trova la chiave”, offre anche varie sezioni di combattimento a gravità zero, che si intervallano ai più rilassati momenti esplorativi. Le prime armi a disposizione del giocatore sono davvero terribili e afflitte da un sistema di mira che è possibile riassumere in “spara e prega”, da quanto sono poco precise. Il fatto che la morte del giocatore viene punita solo con una sua momentanea traslocazione al checkpoint precedente, mantenendo però inalterata la situazione dei nemici (quelli distrutti rimangono tali), aiuta un po’ con l’inevitabile frustrazione nell’uso di queste prime, terribili armi, pur compromettendo inevitabilmente la tensione degli scontri.

La seconda pistola del gioco. Rateo di fuoco di una gatling gun e stessa precisione di una fonda fatta col bastoncino del Doctor Strabik.

Fortunatamente, già nelle prime ore di gioco si viene in possesso di strumenti ben più efficienti e divertenti da usare, su tutti un fucile da cecchino con un piccolo monitor, che mostra esattamente a cosa stiamo sparando, e uno shotgun con un ampio cono di ingaggio e dalla ricarica manuale, da effettuare con un movimento di scatto del polso molto soddisfacente. Tutto ciò non salva le sezioni di combattimento dal sembrare un po’ appiccicate lì per caso e per poter dire che ci sono, non aggiungendo niente che non sia un minimo di varietà. Tant’è che è possibile escluderle completamente dal gioco nelle opzioni, se si preferisce un approccio interamente basato sull’esplorazione.

Pur non avendo potuto provare la cooperativa, non riesco a pensare a una singola ragione per cui voler giocare con un amico.

Per quanto Downward Spiral: Horus Station possa essere giocato anche senza bisogno di visore, la sua versione su schermo risulta ancora più blanda, senza nemmeno il beneficio dell’immersione totale che, soprattutto nelle fasi iniziali, regala qualche bel momento visivo. È possibile giocare all’intera avventura in co-op (col caschetto oppure no), ma vista la qualità complessiva del prodotto, non riesco a pensare a una ragione valida per farlo. Gli enigmi e i combattimenti sono tutti pensati per un giocatore singolo e un secondo giocatore rischierebbe di sentirsi solo come un incomodo.

Downward Spiral: Horus Station prova a fare un po’ di tutto senza riuscire perfettamente in nulla, se non nel suo sistema di navigazione, che è veramente ben congegnato. Per il resto è un’esperienza altalenante, visivamente impressionante ma piuttosto noiosa sulla lunga distanza. Nonostante l’ottimo sistema di movimento e un paio di belle trovate, il gioco di 3rd Eye Studios non riesce ad essere incisivo quanto vorrebbe, consegnando al giocatore un’esperienza blanda e che sa di già visto, nella realtà virtuale come su uno schermo.

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Ho giocato a Downward Spiral: Horus Station per circa quattro ore su PC e PlayStation 4 grazie a codici forniti dagli sviluppatori. Gran parte del mio tempo è stato speso in modalità VR, ma ho provato anche la versione classica a schermo per alcuni frangenti della storia.

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