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Dragon Ball Super: Broly, non ho l'età per amarti, ma le botte mi son piaciute

Dragon Ball Super: Broly, non ho l'età per amarti, ma le botte mi son piaciute

Con Dragon Ball, è stato amore a prima vista.

All’inizio mi limitavo a tirargli delle occhiate discrete, frugando tra i poster in fumetteria o tra le foto su Mangazine. Poi l’ho corteggiato, guardando, registrando e riguardando i primi episodi dell’anime, trasmessi un po’ alla corsara sulle TV private. Per consumare la mia passione, però, mi è toccato aspettare il 1995, quando i tipi di Star Comics hanno attaccato la pubblicazione del manga qui da noi.

A quei tempi, dell’opera di Akira Toriyama mi piaceva tutto. Lo stile, il taglio e i colori. Apprezzavo quella vena “gag manga” dei primi capitoli ereditata da Dr. Slump e Arale; andavo pazzo per i momenti più tesi e per quell’azione talmente dinamica che i disegni parevano vibrare. Mentre li sfogliavo di sfrodo sotto al banco durante le ore di matematica, pensavo a quei volumetti come a dei Game Boy. La console di Nintendo adoperava i cristalli liquidi per restituirmi il feeling dei “videogiochi grossi”, mentre le tavole montate da Toriyama mi permettevano di “guardare la televisione” ovunque volessi. Ora, capisco che a metterla giù così la mia pare una gerarchia tra linguaggi, ma giuro che no. Ero – e sono - davvero ammirato.

Eppoi, in Dragon Ball il tempo scorreva! C’erano questi personaggi che crescevano e mettevano su famiglia. A me, abituato alle narrazioni verticali à la Bonelli, già la prima apparizione di Goku teenager alla ventitreesima edizione del Torneo Tenkaichi era parsa una roba rivoluzionaria.

Goku entra in scena in versione teenager.

E più i personaggi crescevano, più le cose si facevano serie. Con la cosiddetta “serie Z” (la distinzione vale solo per l’anime), l’azione e l’epica hanno preso il sopravvento sul lato umoristico e, coerentemente, lo stile grafico è diventato più spigoloso e giocato sui volumi. Ancora oggi, credo che i cicli di Namecc e quello di Cell siano tra le robe più fighe da far leggere a un ragazzino.

Purtroppo, con l’arco di Majin Bu - e, naturalmente, a mio modo di vedere - il giocattolo si è un po' rotto. Forse Toriyama aveva iniziato a stufarsi della piega seriosa presa dagli eventi, oppure c’era di mezzo qualche editor, vai a sapere. Resta che il tentativo di riconciliare le gag degli inizi con il nuovo corso mi è sembrato posticcio, forzato, tipo certe barzellette che non fanno ridere. C’erano queste fusion esasperate, i balletti e Piccolo, che da gran figo, si era ridotto a esibire sudorini d’ansia. Cose che non erano cose.

Nel 1995, proprio quando era appena arrivato dalle nostre parti, Toriyama decise di lasciare andare i suoi personaggi e concludere il manga. Tuttavia, il piatto era troppo ricco e la Toei Animation decise di proseguire con un anime apocrifo sceneggiato da Izumi Tōdō. Mandato in onda da Fuji Television tra il 1996 e il 1997, se lo chiedete a me, Dragon Ball GT costituisce un insulto al mangaka e all’intelligenza degli spettatori.

Bills è forse il personaggio più riuscito tra quelli del nuovo corso di Dragon Ball.

Così ci ho messo una bella pietra sopra, anche perché di shōnen fighi, nel frattempo, ne sono usciti parecchi. Eppure, quando nel 2015 hanno annunciato una serie nuova di zecca ambientata nell’arco di tempo intercorso tra la battaglia contro Majin Bu e il finale-flashforward, beh, un po’ ci avevo creduto, anche perché a ‘sto giro era coinvolto Toriyama in persona.

Purtroppo, Dragon Ball Super si è rivelato una sòla. Uscito contemporaneamente in versione animata - curata nuovamente da Tōdō - e a fumetti, disegnati questi ultimi da Toyotarō su storyboard di Toriyama, il nuovo ciclo delle avventure di Goku e compagni ha preso il peggio degli ultimi capitoli del manga originale.

Oddio, alcuni tra i nuovi personaggi introdotti sono anche azzeccati, vedi il Dio della distruzione Bills e compagnia, ma l’inutile riesumazione di nemici storici come Freezer sa fin troppo di fan-service, mentre la faccenda degli universi paralleli pare uscita da una cattiva fan fiction. Va detto che l’anime è girato bene, con delle belle battaglie, e sull’altro versante, i disegni di Toyotarō - già noto per il celebre spin-off non ufficiale Dragon Ball AF – ricordano davvero quelli del Maestro. Poi, oh, vale lo stesso discorso Carl Barks/Don Rosa: dipende da quanto vi stanno sulle balle gli imitatori.

Bon, mi sono preso la briga di spiattellare quest’introduzione perché avevo una gran voglia di parlare di Dragon Ball in via generale, lo ammetto, ma anche perché torna comoda per affrontare il discorso su Dragon Ball Super: Broly.

Il nuovo film della serie, in uscita oggi nei cinema italiani, come già i precedenti La battaglia degli dei e La resurrezione di 'F - e diversamente dai vecchi lungometraggi – si infila nella continuity regolare. E come si può intuire dal titolo, dopo tanti anni di sfighe, canonizza finalmente il personaggio di Broly.

Per chi si fosse perso Il Super Saiyan della leggenda, Sfida alla leggenda e L'irriducibile bio-combattente, Broly è un potente Sayan più o meno coetaneo di Goku; talmente potente da rappresentare una minaccia per Re Vegeta, che tenta invano di eliminarlo.

In questa sorta di reboot, ne ritroviamo intatte le caratteristiche e la mitologia, al netto di qualche variazione e divagazione. Tutta la faccenda dell’allontanamento di Broly e del padre Paragas è parte di un lungo prologo che termina con la distruzione del pianeta dei Sayan. Se siete fan della serie, la sola introduzione vale il prezzo del biglietto: oltre a funzionare benissimo in termini tragici e ad essere spettacolare, amplia il racconto dei genitori di Goku e concede persino un sbirciata inedita nelle vite dei giovani Vegeta e Radish.

Già da bambino, Vegeta correva per il titolo di miglior personaggio della serie.

Di contro, quando raggiunge il presente del racconto, la struttura del film perde parecchi colpi, e tra gag riciclate, personaggi praticamente già inscatolati per il merchandise e i soliti sudorini freddi di Piccolo, quello che salta fuori è giusto un filo meglio della serie nuova (nonostante soggetto e sceneggiatura siano stati curati dallo stesso Toriyama, eh).

Quindi che si fa, si butta via? Eh, no, perché non appena i Sayan iniziano a menarsi sul serio, Dragon Ball Super: Broly se ne esce con alcuni tra i combattimenti più belli della serie, e tra i più dinamici che abbia mai visto in un anime in generale. Ammirare su uno schermo che sia il più grande possibile Goku, Vegeta e Broly mentre sfrecciano ad altissima velocità, col mondo che gira dappertutto, è un’esperienza esaltante. La direzione dell’azione è curatissima e la qualità dell’animazione è complessivamente davvero alta.

Broly, finalmente canonizzato: dopo tanti anni, non ci sperava quasi più.

In più, il regista Tatsuya Nagamine (già autore del buon One Piece: Heart of Gold) è stato piuttosto accurato nell’azzeccare le tecniche, le posture e gli stili di combattimento tipici dei vari personaggi fin nei minimi particolari, e considerato che le botte si prendono almeno un buon settanta per cento del film, direi che la cosa non guasta.

Per tagliare: se vi piace Dragon Ball ma la serie Super vi ha lasciato un po’ così, secondo me un salto al cinema vi conviene farlo lo stesso, perché la messa in scena fa la differenza e il prologo è davvero figo. Pure se non conoscete la serie ma vi piace l’azione, il film di Nagamine merita, e se avete dei bambini metteteli davanti allo schermo. Tuttavia, se andate cercando il feeling di Dragon Ball Z, qualche battuta ben piazzata o, banalmente, un racconto un minimo più articolato di “menare menare menare”, ecco, forse non siete in target.

Ho visto Dragon Ball Super: Broly in anteprima grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati da Koch Media, che ne ha curato la distribuzione italiana. Riguardo al claim che “È il miglior film di Dragon Ball mai girato”, oh, è vero. Se non altro perché gli altri fanno discretamente schifo.

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