Outcazzari

I God of War che nemmeno sapevo esistessero

I God of War che nemmeno sapevo esistessero

Mentre pasticciavo fra Wikipedia e simili per trovare spunti da sottoporre ai miei minion, da cui ricavare i vari contenuti per la Cover Story di questo mese, ho scoperto l’esistenza di “cose” a tema God of War delle quali non sapevo nulla. Una, per dire, è l’EP God of War: Blood & Metal, una roba musicale delirante con cui non voglio avere niente a che fare e che vi ho fatto raccontare da quel matto di Stanlio. Poi ho scoperto che, nel quantitativo tutto sommato neanche poi troppo numeroso di giochi della serie, ci sono due spin-off e/o prequel e/o prologhi ben più “off” di Chains of Olympus, Ghost of Sparta e Ascension, fosse anche solo perché sono gli unici God of War usciti su piattaforme non appartenenti a Sony. E hai detto niente. Certo, sono anche due cavolatine, ma vuoi mettere? Io, amante del farsi del male, dell’impiegare il mio tempo per giocare alle robe più vecchie e/o assurde possibili, per i motivi più cretini possibili, invece di dedicarmi al mio infinito backlog “serio”, non potevo certo tirarmi indietro. E quindi, in sacrificio per voi, ho messo mano a God of War: Betrayal, gioco d’azione per telefoni pre-iPhone che faceva da prologo a God of War II, e God of War: A Call from the Wilds, avventura testuale a cui si può giocare tramite Facebook che fa da prologo al nuovo God of War per PlayStation 4.

La vera sorpresa? Non sono neanche male!

God of War: Betrayal

God of War: Betrayal è stato sviluppato da Javaground e Sony Online Entertainment, con tale Phil Cohen a capo del progetto, a cavallo fra 2006 e 2007. Stiamo quindi parlando di un periodo immediatamente precedente all’uscita di iPhone e al conseguente cambio di paradigma per quel che riguarda il videogioco mobile. L’idea era di portare in tasca alla gente un’esperienza che potesse perlomeno ricordare quella dei God of War casalinghi e venne tutto sommato realizzata con discreto anticipo rispetto alle apparizioni su PSP citate sopra. Ovviamente i mezzi tecnologici erano ben inferiori rispetto a quelli della console portatile Sony, senza contare che bisognava creare un gioco adattabile a qualcosa come duecento modelli diversi di telefono, dalle specifiche hardware più disparate.

Creato lavorando a contatto con gli uomini chiave dei primi due God of War “casalinghi”, Betrayal venne impostato come picchiaduro a scorrimento bidimensionale, con un taglio, sì, vagamente nostalgico, ma che in realtà, anche mettendoci mano oggi, riesce a riprodurre incredibilmente ben il feeling, la brutalità e l’atmosfera dei suoi fratelli maggiori. Dalla sua ha anche un primato, se vogliamo, dato che è rimasto per tanti anni anni, fino all’esordio su PlayStation 4, l’unico God of War con una visuale diversa da quella solita. Per il resto, seppur in veste estremamente semplificata, Betrayal include un po’ tutto quello che serviva a un God of War di quegli anni. Abbiamo infatti ultraviolenza, combo sanguinarie, combattimenti a strafottere, semplici enigmi ambientali, fasi in cui si rimane bloccati fino a che non si ammazzano tot avversari, potenziamenti a base di globi luminosi, boss molto aggressivi e una trama un po’ cretina in linea con la serie: Kratos, divenuto dio della guerra al termine del primo God of War, viene accusato ingiustamente dell’omicidio di Argos e decide di risolvere la faccenda riducendo in poltiglia qualsiasi essere vivente (e non) gli si pari davanti. Si concluderà tutto con un vago senso di acrimonia fra il nostro eroe e l’intero pantheon greco, che andrà poi ad esplodere in God of War II.

Insomma, mazzate senza senso. Il sistema di gioco, ovviamente, è molto semplice, anche perché stiamo parlando di una roba da controllare col tastierino numerico dei telefoni di una volta. Le combo, infatti, si mettono assieme semplicemente premendo a raffica il singolo tasto delle mazzate e l’elemento tattico è dato più che altro dalla possibilità di alternare le armi in tempo reale, utilizzare gli attacchi magici e decidere se e quando dedicarsi ai quick time event, attivabili tramite la classica icona fluttuante. Il bello, però, è che funziona tutto abbastanza bene e, nei limiti di quanto ci si può attendere da un gioco del genere, per una piattaforma del genere, c’è un minimo di profondità.

Io, all’epoca, non giocai a God of War: Betrayal. Del resto, l’ho scritto là in cima: fino a un mesetto fa, non sapevo nemmeno della sua esistenza. L’ho recuperato la scorsa settimana tramite emulazione, anche perché stiamo parlando di un gioco in Java pensato per telefoni che ormai non utilizza più nemmeno mia zia. Non è stato particolarmente complesso: basta una ricerca veloce su Google per trovare addirittura siti che ti spiegano come fare, quale emulatore utilizzare e come recuperare il gioco. Funziona tutto, si gioca con la tastiera e si va felici. Felici? Beh, insomma, questione di punti di vista. Il gioco è davvero semplice e alla lunga, forse, la sua ripetitività viene un pochino a noia. Dalla sua ha che dura il giusto (nonostante un boss finale davvero troppo lungo da abbattere, a meno di aver passato non so quanto tempo a grindare per potenziare gli attacchi di Kratos) e che l’essere pensato per un consumo “telefonico” garantisce grande semplicità in termini di salvataggio, respawn e conservazione dei progressi fatti. Sembra di giocare a un qualsiasi platform game indie contemporaneo, di quelli che non ti fanno ripetere minuti di livello se muori nel momento sbagliato. Bene! Per il resto, ehi, è ovviamente più che altro una buffa curiosità del passato recente e una persona più furba del sottoscritto si può accontentare di quel longplay lì sopra. Ma se siete dei completisti e all’epoca ve lo siete perso…

God of War: A Call from the Wilds

A proposito di completismo, l’altro spin-off surreale che ho recuperato è God of War: A Call from the Wilds e diciamo che più “off” di così non potrebbe proprio essere: ci si gioca tramite Facebook ed è l’unico God of War a non poter essere nemmeno lontanamente categorizzato come picchiaduro. Oddio, non è vero: a un certo punto si tirano dei gran cartoni, quindi, volendo, gli si potrebbe pure appiccicare addosso la definizione, ma insomma, eh, di sicuro non è un gioco d’azione. Si tratta infatti di un’avventura testuale, e neanche particolarmente moderna. Nonostante vi si giochi tramite Messenger, non è un gioco in stile Lifeline, strutturato come una lunga conversazione con qualcun altro. Men che meno è una variante postmoderna sul genere come quelle di Inkle Studios. No no, è proprio una specie di Zork, che ti descrive la situazione e ti permette di interagire tramite semplici comandi, osservando gli ambienti, raccogliendo oggetti, interagendo e muovendoti lungo la mappa tramite le quattro direzioni cardinali.

La storia, come detto, fa da breve prologo al nuovo God of War e ci vede nei panni del giovane Atreus, che si allena nel tiro con l’arco e impara alcune rune assieme alla madre per poi avventurarsi nei boschi attratto dalla voce telepatica di un cervo moribondo. In sostanza, si deve esplorare un piccolo labirinto d’alberi, seguire una storia breve, risolvere degli enigmi che è forse esagerato definire tali e perfino affrontare un paio di combattimenti. È poca cosa, un semplice passatempo da mezz’oretta con qualche bell’artwork sbloccabile se lo si esplora a fondo, ma ha una bella atmosfera, un afflato questa volta incredibilmente nostalgico e permette di interagire fugacemente con mamma. Ho visto operazioni di marketing molto peggiori. Se volete farci un giro, basta andare qui e mandare un messaggio.

Questo articolo fa parte della Cover Story su God of War, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

Racconti dall'ospizio #132: Buon compleanno, Niko!

Racconti dall'ospizio #132: Buon compleanno, Niko!

Outcazzari uniti! La multirecensione di Avengers: Infinity War

Outcazzari uniti! La multirecensione di Avengers: Infinity War