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Il mascherato dolore di Valiant Hearts

Il mascherato dolore di Valiant Hearts

Il dibattito su cosa sia effettivamente un videogioco, e su come debba esprimersi è tanto stucchevole quanto inutile. Si leggono costantemente pagine e pagine di soloni che analizzano gli aspetti che compongono il prodotto di una software house, che lo smontano, lo dividono in comparti, ne fanno un'esegesi tanto precisa quanto impersonale, e che si ostinano alla fine, all'alba dell'era della cross medialità, a giudicarlo a compartimenti stagni, paragonandolo magari (e questo è alla fine il crimine peggiore) con altri medium ben più maturi e codificati, come ad esempio letteratura o cinema. Non che l'industria dell'intrattenimento videoludico faccia molto per smentire queste esimie penne, eh? Troppo spesso si vedono giochi che provano ad essere qualcos'altro, che scimmiottano questo o quell'altro modo di fare intrattenimento, e che in sostanza non sanno bilanciare il pressoché unico mix tra interazione e narrazione, che deve per forza di cosa essere gestito in maniera diversi che su altri mezzi di comunicazione.

Quando però tutti i pezzi vanno a posto, e si abbandonano da un lato e dall'altro i preconcetti legati a come debba esprimersi il videogioco, succedono cose meravigliose, che riescono a riconciliare con un'industria la cui costante ricerca di profitto E legittimazione artistica sta portando più danni che benefici. Oggi, questa cosa meravigliosa si chiama Valiant Hearts.

Sviluppato da Ubisoft Montpellier con UbiArt Framework, e nuovo titolo della collana "Un colpo al cerchio e uno alla botte" di cui Child Of Light è stata l'ultima uscita, Valiant Hearts può essere categorizzato in molti modi. Le mere definizioni come avventura, punta e clicca, graphic novel o chissà che altro, però, non gli renderebbero pienamente giustizia, perché uno dei punti di forza del gioco sta proprio nel non voler rientrare per forza all'interno di un genere definito, ma di voler prima di tutto raccontare una storia, non badando troppo al modo in cui questa è narrata, e alla percezione che i videogiocatori possono avere della sua effettiva valenza ludica.

Karl, Emile, Freddie, Ana e Walt sono prima di tutto dei personaggi veri, uomini (e donne, e cani) comuni che vivono una storia non comune fatta di disperazione, solidarietà e morte, talmente ben costruiti e caratterizzati che si guarda a loro prima come personaggi a cui affezionarsi che vuoti avatar, a cui far compiere azioni più o meno complesse. Ubisoft ha infatti raccontato la loro storia contestualizzandola in uno dei periodo più cupi dell'era moderna, nel quale intere generazioni di famiglie sono state coinvolte in un conflitto (di cui si è celebrato da poche settimane il centanario) che ha radici ben più profonde dell'uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando. Avremo quindi a che fare con contadini, padri di famiglia, infermieri e soldati che cercano di mantenere, ognuno a suo modo, la loro umanità. È un gioco che vive di emozioni prima ancora che di meccaniche, che non sono grevi in senso assoluto, quanto più amare e piene di disincanto. L'ineluttabilità della guerra e le sue disastrose conseguenze sono perfettamente alleggerite (nella messa in scena e nel tono, non nel messaggio di fondo) da uno stile grafico delizioso per realizzazione e quasi "divertente" per concept, con buffe animazioni e personaggi dalle proporzioni volutamente esagerate, accomunati (a parte qualche delicata eccezione) però dall'unica nota realmente triste nel loro design, e cioè che di nessuno si vedono mai gli occhi, quasi a non voler indugiare sull'orrore di cui possono essere stati testimoni.

Bravo cagnolone, anzi, bravò.

Dal punto di vista prettamente ludico, Valiant Hearts non verrà certò ricordato per la difficoltà dei suoi enigmi, risolvibili solitamente nel giro di una stessa schermata e con tanto di aiuti sempre pronti ad arrivare nella forma di piccione viaggiatore, né per le particolarmente elaborate meccaniche di gestione di Walt, il cane che è anche filo conduttore dell'intera vicenda. L'interazione che viene chiesta al giocatore è sufficiente perché si abbia sempre qualcosa da fare, senza comunque proporre nulla di troppo impegnativo, trovando un a mio avviso perfetto equilibrio tra gioco e narrazione. Va infatti ricordato che siamo davanti ad una storia che, per quanto romanzata e raccontata in maniera delicata, rimane la cronaca di una sanguinosa guerra, della quale Valiant Hearts vuole essere una sorta di testimone, visto che grazie ad accurate ricerche il gioco Ubisoft è pieno di riferimenti storici, curiosità e informazioni assortite, che possono assumere anche una certa valenza didattica se esplorati a dovere.

Non si può nemmeno parlare di valore di rigiocabilità per un titolo come questo, perché i pochi collezionabili e segreti sparsi per il gioco difficilmente vi spingeranno a prendere nuovamente in mano il pad e ripartire daccapo. Valiant Hearts è infatti una cavalcata emotiva che punta a lasciare qualcosa in chi la affronta, e a mio parere ne uscirebbe quasi sminuita in un secondo passaggio, quasi a profanare quella che è stata la vita e l'avventura del bizzarro gruppo protagonista dell'opera Ubisoft.

Se poi dopo Child of Light (o Rayman Legends) ancora non foste convinti della bontà dell'infrastruttura grafica su cui si poggia, o dell'abilità di designer e artisti che lo usano di creare piccoli gioielli, allora non sarà certo questo gioco a farvi cambiare idea. Grigio, marrone e toni opachi delle zone di guerra stridono con il cielo azzurro di una campagna francese pre-conflitto o con il cielo di una Parigi in festa, e riescono in egual misura a trasmettere mestizia e gioia, con un tocco che si può solo invidiare ai ragazzi di Ubisoft Montpellier. Ad accompagnare il tutto ci pensa una colonna sonora strepitosa, che fonde perfettamente pezzi originali con classici della musica, e una serie di effetti sonori (grugniti e imprecazioni in francese o tedesco comprese) che non potrebbero essere più adatte a sottolineare la reazione del momento.

Valiant Hearts è in sostanza una piccola esperienza, prima emozionale e personale che ludica, e pur non rispettando i canoni classici dei videogiochi riesce ad intrattenere perfettamente e a non annoiare nemmeno per un secondo, nonostante il livello di sfida sia prossimo allo zero. Sarò un ciccione dal cuore tenero, o un barbuto troppo incline alle emozioni, ma Valiant Hearts (insieme a Child of Light) sono i giochi che mi hanno detto di più in questa prima metà di anno, il che non li rende di certo i migliori in senso assoluto, o esenti da difetti, ma di sicuro capaci, sopratutto il primo, di raccontare con tatto e delicatezza una bellissima storia, cosa di cui, alla fine, tutti abbiamo bisogno.

Ho giocato a Valiant Hearts su PC grazie ad un codice Uplay mandato da Ubisoft, terminandolo in poco più di sei ore. Siccome poi gli occhioni di Walt mi hanno guardato guaendo e implorando, l'ho comprato pure PS4, giusto per versare il mio obolo e far capire che di giochi del genere dovrebbero essercene di più.

Voto: 9

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