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Tomb Raider e il riscoperto istinto paterno

Tomb Raider e il riscoperto istinto paterno

La abbiamo ammirata, guidata in rovine abitate da dinosauri, gioito quando abbiamo saputo che sarebbe stata interpretata da Angelina Jolie, pianto dopo averla vista interpretata da Angelina Jolie, la abbiamo patchata quasi diciassette anni fa per mettere in mostra i suoi seni piramidali e per un motivo o per l'altro abbiamo sempre tifato per lei. O almeno questo è a grandi line il mio rapporto con Tomb Raider sin dalla sua prima uscita, emozione più, emozione meno. Ad aggiungere però un nuovo modo di rapportarsi con Lara ci ha pensato Crystal Dynamics, che grazie al suo reboot ha permesso di aggiungere anche l'empatia ai sentimenti che si provano verso la (non ancora del tutto) popputa miss Croft, che di mazzate qua ne prende davvero a non finire e più di una volta mi ha fatto scattare il desiderio di volerla abbracciare, anche solo per prepararla la fatto che probabilmente da lì a poco le sarebbe successo qualcosa di ancora più tremendo.

Per la terza volta si riparte quindi da zero, con un'operazione che nasce sì sulla vecchia generazione di console, ma che ha lo sguardo evidentemente ben saldo sul quella attuale, tanto che la Definitive Edition, versione in stile Pimp My Ride del gioco originale, è già disponibile da un mese per PS4 e Xbox One. Ma torniamo a Lara, ancora giovane e inesperta archeologa wannabe che si imbarca (letteralmente) in un'avventura che è anche processo di formazione personale, visto che gli eventi di cui è protagonista sono il motore del cambiamento che l'ha portata ad essere la donna volitiva e determinata che abbiamo conosciuto nelle sue prime (in ordine temporale) apparizioni.

Lo scontro con l'isola, di fatto il villain del gioco, l'ha vista costantemente messa alla prova, privata di affetti e sicurezze, fatta crescere nel modo più veloce e duro possibile. La storia in cui l'archeologa inglese è coinvolta è banalotta, animata dalla classica spedizione a cui qualcuno ha dedicato la propria esistenza e popolata del più prevedibile cast che possiate immaginare a base di amici veri, agnelli sacrificali e pugnalatori alle spalle, ma grazie ad un ritmo serratissimo e ad un taglio da action movie fracassone si fa perdonare facilmente la piattezza della sceneggiatura, visto che i suoi intenti sono ben altri.

Lo scopo principale di Crystal Dynamics, infatti, è assai più lungimirante della mera realizzazione di un buon titolo: l'obiettivo è cambiare la formula di Tomb Raider, aggiornandola all'anno di grazia duemilatredici e gettando le basi per un futuro next gen che ne deve segnarne la definitiva rinascita. E quale miglior modello potrebbe esserci di Uncharted? Nessuno, tanto che c'è tantissimo dello spirito di Naughty Dog in questo gioco, che riesce addirittura a superare il suo maestro in alcuni aspetti, pur risultando in senso assoluto meno curato e preciso del blockbuster Sony.

Tutta sola, al freddo, che prende pugni dalla mattina alla sera. Come si fa a non volerle bene?

Tutta sola, al freddo, che prende pugni dalla mattina alla sera. Come si fa a non volerle bene?

I personaggi sono intanto caratterizzati in maniera profondamente diversa: laddove Nathan Drake è un simpatico caciarone che dà sempre l'idea di avere la situazione sotto controllo (o quantomeno un buon piano B), Lara è per la buona prima parte della sua avventura in totale balia degli eventi, sola nonostante avesse un numeroso equipaggio al suo seguito e raramente in controllo della situazione. La prima notte che passa sull'isola, da sola, al freddo e con un solo piccolo fuoco a tenerle compagnia è particolarmente riuscita, e riesce far solidarizzare subito il giocatore con Lara, facendo montare la voglia di riscatto che arriverà inevitabilmente nelle battute finali.

Per quanto fortemente guidata e a tratti blindata, la struttura del gioco si compone di alcune macro-aree liberamente esplorabili collegate tra loro, tra le quali ci si può spostare rapidamente con i focolari, che fungono sia da punto di salvataggio che da spostamento veloce. All'interno di queste aree, ben caratterizzate e diverse tra loro nonostante siano coerenti con il contesto generale, Lara si trova a poter eseguire tutta una serie di compiti e ricerche con una libertà che a Nathan Drake è preclusa, anche se l'impressione che molti elementi siano appena appena abbozzati e poi tagliati in fase di finalizzazione è abbastanza evidente. Siamo comunque nella terra natia di una popolazione misteriosa e pressoché sconosciuta, quindi le vostre pulsioni da aspiranti archeologi troveranno abbondante sfogo: tra il reperimento dei materiali utili per l'evoluzione delle armi (una delle caratteristiche principali dell'esplorazione libera), diverse serie di collezionabili (alcuni discutibili, come le coordinate GPS) e la ricerca di tutte le tombe nascoste (che sono un po' come i covi dei templari in Assassin's Creed) le cose da fare all'interno di ogni hub sono parecchie, e anche se nulla aggiungono a livello sostanziale al gameplay di sicuro male non fanno.

Cercare materiali per fabbricare munizioni, tendere subdoli agguati a poveri ungulati indifesi o cercare di preparare una cena a base di erbe aromatiche e coniglio al rugù sono tutte azioni che sembrano essere state inserite solo per far numero, visto che poi non hanno un reale riscontro in termini di gameplay: le munizioni non mancano praticamente mai e l'uccisione delle varie specie di animali non è legata ad un reale sistema di sopravvivenza. Va meglio per i materiali recuperati in giro per l'isola, utili come detto a migliorare e fare evolvere le proprie armi, che, insieme alla possibilità di spendere dei punti per migliorare le tecniche di combattimento di Lara, vanno a completare il comparto che potrei definire "da gioco di ruolo" dell'avventura, che è tanto abbozzato quanto comunque efficace nella sua semplicità.

Un raggio di sole. Non saranno così frequenti i momenti in cui si riuscirà a vederlo.

Un raggio di sole. Non saranno così frequenti i momenti in cui si riuscirà a vederlo.

Ad essere particolarmente riuscita è proprio questa doppia anima di Tomb Raider, che può essere affrontato sia tutto d'un fiato senza badare a extra e collezionabili, sia con più calma e piglio da esploratrice, andando a cercare sotto ogni sasso qualche oggetto che può risultare utile alla causa o semplicemente dire qualcosa della misteriosa civilizzazione che ha abitato da sempre l'isola. La più grande vittoria Crystal Dynamics è proprio quella di aver creato un ambiente perfettamente caratterizzato, meraviglioso da esplorare e sopratutto capace di far perdere il senso del tempo mentre si è intenti a batterlo palmo a palmo. Difficile in buona sostanza che un'archeologa potesse chiedere di meglio.

Oltre a zompettare qua e là, in Tomb Raider si spara, e pure molto. Impianto da sparatutto in terza persona, coperture distruttibili, nemici che escono da ogni dove, uccisioni silenziose: c'è tutto il campionario iconico degli action della scorsa generazione, che qua nemmeno fa finta di voler innovare o offrire meccaniche particolarmente elaborate o raffinate. Si punta tutto sul numero, sull'utilizzo di armi differenti e sul far esplodere quante più cose (o persone) possibili. Un approccio alla Michael Bay direi. Anche l'intelligenza artificiale dei nemici è ovviamente schiacciata su questo assunto, per cui tenete bene a mente che non gli avversari non cooperano praticamente mai per avere ragione di voi con relativa facilità, ma si limitano a sbucare qua e là dalla loro copertura e a proliferare come formiche assassine. Il ritmo è sempre altissimo, la difficoltà mai eccessivamente elevata e i momenti scriptati (e particolarmente scenografici) legano molto bene le diverse sezioni del gioco, creando un crescendo sia ludico che emotivo di impatto, anche se, come detto, non troppo supportato da una trama che avrebbe sicuramente potuto osare di più, sopratutto se scritta da una che di cognome fa Pratchett.

Dal punto di vista tecnico, pur non settando alcuno standard, Tomb Raider si difende parecchio bene. Già giocato su PS3 all'uscita aveva il suo perché, e la Definitive Edition aggiorna l'esperienza visiva alla nuova generazione, arrivando di fatto ad essere comparabile alla versione PC, dalla quale mutua, ad esempio, le texture HD e una serie di effetti grafici come il TressFX (il quale fa un lavoro sui capelli che manco Pantene Pro V), che unito ad un più completo modello poligonale di Lara (può piacere o non piacere come sia stato modificato il viso, ma rimane di qualità superiore), rende l'esperienza sensibilmente più appagante dal punto di vista visivo. La risoluzione, se c'è bisogno di dirlo (beh, forse c'è bisogno di dirlo) è stata portata a 1080p, ed è accompagnata da sessanta frame per secondo (non sempre, ma la media ci si avvicina) nella versione PS4 e trenta in quella Xbox One. Ci sono anche tutti i DLC, una nuova tomba da scoprire, extra assortiti all'interno del disco e gli inutili comandi vocali per Kinect, che nulla aggiungono all'esperienza di gioco, ma certo male non fanno.

Il ritorno di Lara convince (quasi) senza riserve, grazie ad un team che ha saputo aggiornare la formula ai canoni odierni e ha creato un personaggio al quale è impossibile non affezionarsi. Non è un gioco perfetto, in alcuni passaggi è troppo guidato e in altri dà un po' la sensazione di vorrei ma non posso, ma si lascia giocare che è un piacere, sia nella sua componente esplorativa che in quella di sparatutto ignorante.

Ho comprato (e poi giocato) Tomb Raider prima su PS3 al tempo della sua uscita, e poi su Xbox One con la Definitive Edition. Il salto grafico è notevole, e anche se non si arriva alla fluidità della versione PS4 è comunque un gran bel vedere. Mi è difficile fare il conteggio delle ore, perché entrambe le volte mi sono lasciato prendere dalle meraviglie dell'isola, esplorandola il più possibile, e finivo per dedicare al gioco sempre una ventina di ore, ma mi rendo conto che realisticamente portare a termine la trama principale non ve ne occuperà più di una decina.

Voto: 8,5

Old! #54 – Marzo 1984

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La (vecchia) nuova isola degli Yoshi

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