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L'uomo del dubbio #3: L'Agente 47 ritorna dal passato per andare nel futuro

L'uomo del dubbio #3: L'Agente 47 ritorna dal passato per andare nel futuro

Cosa resta di un gioco dopo il gameplay? A volte la nostalgia, altre un insegnamento, qualche volta neppure il nulla. Qui lasciamo tutto ciò che di positivo circonda le esperienze interattive, affinché non vadano perse nell'abisso dei record platinati. Ma senza giudizio, il più grande dei mali.

Per chi è cresciuto con un James Bond interpretato da Sean Connery, è dura pensare di ritrovare un carisma tale anche soltanto in un fumetto, figuriamoci tra i poligoni. Questo perché alcune cose non si spiegano, si possono solo sentire. In fondo ciò che rende Pino Locchi convincente è il sussurro dell’anima che si esprime attraverso la sua voce.

Scegliere l’Agente segreto per eccellenza diventa compito arduo, nel panorama videoludico, tra la leggenda di Snake e il mito di 47, ma una cosa è certa: James Bond, almeno, su piattaforma, non convince a pieno. Il problema non è neanche tanto il gioco fine a se stesso, ma l’enorme background che sta dietro alla narrativa cinematografica della saga. Per quanto mi riguarda, Snake è un uomo romantico, proprio come 007, un gentiluomo di altri tempi.

Come ci insegna il film La leggenda degli uomini straordinari, interpretato proprio dallo stesso Sean Connery, le leggende non muoiono mai. Ma Snake non è rinato, anzi, è rimasto ingabbiato in quel genio di Hideo Kojima tanto nel gameplay, quanto nella trama. Un’opera d’arte non dura per sempre e a volte è meglio non intaccare i sogni, perché sono il motore della speranza. Così mi ritrovo senza leggenda e con uno Storico di troppo. Per fortuna, resta il mito di chi si conosce, ma non si vede.

Fasciarsi la testa, di cui abbiamo una diapositiva.

Giocando per la prima volta a Hitman 2: Silent Assassin, quando non ancora esisteva Assassin's Creed, mi sono trovato di fronte un prodotto pensante. L’Agente 47 non è dotato di stravaganti poteri o dei gadget di Bruce Wayne, ma semplicemente di un’intelligenza affilata quanto i suoi stiletti nascosti. Il giocatore deve trovare la strategia corretta, che spesso è quella più semplice e diretta, quasi a seguire la filosofia del Wing Chun. Il caso non è caos, ma sconfitta.

Ma non è questo che fa di Hitman la mia preferenza. È una persona attenta al dettaglio. Dubbiosa sul risultato. Ottimista nelle meticolose missioni che affronta. L’Agente 47 ci insegna dinamiche dimenticate come il rispetto per l’avversario. Dinamiche che ti aspetti da Rocky Balboa e non da un sicario. Sì, perché 47 non è un assassino, ma un salvatore ufficioso dello Stato mafiosizzato.

Da un lato si potrebbe giocare a Hitman solo di strategia, ma di Hitman GO resta ben poco e la pedina, a mio avviso, sbaglia percorso. L’Agente 47 non è una pedina da temporizzare in una corsia preferenziale per un ritorno al passato, tanto per usare un'espressione di Doc Emmett Brown. Piuttosto, un freddo camaleonte senza tuta mimetica, fornito solo di grande abilità nel comprendere e interpretare le dinamiche sociali in cui è costretto a muoversi. Senza interpretabilità, Hitman diventa un gioco spento e privo di luce. Il sipario tenebroso scende, ma senza Silverballer. È come avere un Ritorno Al Futuro senza la DeLorean.

La DeLorean in un'immagine di repertorio.

Consapevoli di questo, almeno credo, i finanziatori alla base del progetto previsto per il nuovo Hitman confidano in un ritorno al passato, almeno per le dinamiche di gioco. Hitman ritorna ad essere strategico, ma con la definizione giusta per interpretare il linguaggio non verbale.

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