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Racconti dall'ospizio #218: Lollipop Chainsaw does wear her vagina proudly

Racconti dall'ospizio #218: Lollipop Chainsaw does wear her vagina proudly

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Qualche giorno fa, giopep mi ha chiesto di scrivere il racconto dall’ospizio di Lollipop Chainsaw. Ora, tutti i miei Racconti dall’ospizio più o meno recenti cominciano con me che spiego che non ricordo nulla della mia vita recente, ma in questo caso c’è una piccola eccezione: Lollipop Chainsaw sarebbe dovuta essere la mia prima recensione qui su Outcast, prima che proprio lui, un giopep dall’entusiasmo incalcolabile, sbrodolasse una lettera d’amore in cui, non a caso, compare anche un mio commento edulcorato. La mia recensione di Lollipop Chainsaw vide dunque la luce solo sul mio blogghetto del cazzo™, rimanendo lì con i suoi errori di battitura e un voto finale di 7,5 (LOL) fino a quando non decisi di cancellare tutto dalla faccia di internet. Una fra le decisioni migliori della mia vita.

Al netto di questo ricordo, tutto quello che mi viene in mente riguardo a Lollipop Chainsaw è gentilmente offerto dalla suddetta recensione firmata Maderna e da una varia infarinatura video. Per dire, il titolo l’ho mutuato riguardando il filmato iniziale, che è una roba che anche rivista oggi e senza saperne niente, dice già da solo tutto quello che dovete sapere sul gioco. In realtà c’è giusto da dire che le canzoni su licenza erano davvero ottime, tipo che c’era anche You Spin Me Round, perfetta sigla dell’assurdo per un articolo partito in un modo e che (SPOILER) finirà in un altro.

Lollipop Chainsaw è probabilmente il punto più alto della produzione di Suda51, pazzo giapponese che si è fatto benvolere nella comunità degli action grazie a un catalogo di follie mica male, tipo Killer7, Shadows of the Damned e la saga di No More Heroes, ovvero una serie di giochi che mettono la forma sopra alla sostanza, dividono il pubblico e, nel corso degli anni, diventano oggetto di culto, anche a causa di quel piccolo difetto dell’impermeabilità del mercato davanti a qualcosa che non si riesce a spiegare con tre parole. Un catalogo di giochi con queste caratteristiche non poteva che garantire a Suda51 lo status di autore, nel bene o nel male, il che lo ha portato a condividere la sua vita creativa con altri simpatici bonzi delle arti figurative. Non a caso, con Lollipop Chainsaw, il nostro si è messo sotto braccio James Gunn, all’epoca più vicino alle battute dissacranti su Twitter che al salotto buono di Disney, e ha portato sugli scaffali un gioco quadrato, non certo esente da difetti, ma capace di esprimersi in maniera eccellente, pur mantenendo l’esagerazione e la leggerezza con cui abbiamo imparato a conoscere il buon Suda.

Il cuore di Lollipop Chainsaw è quello di uno stylish action (e non poteva essere altrimenti, vista la Cover Story), in cui la protagonista Juliet è chiamata a fermare un’invasione di zombi nella sua scuola, la San Romero High (ehr!), sfruttando a dovere il suo retaggio da cacciatrice (i genitori sono investigatori dell’occulto because of reasons) e una magnifica motosega che sburra arcobaleni alla bisogna. Anche qui, come da tradizione di Suda51, non bisogna certo aspettarsi un gameplay paragonabile a un Devil May Cry dei tempi belli, o men che meno di un Bayonetta. L’azione c’è e le combo non mancano, ma non pensate di ritrovare quella stessa profondità o ancora meno la stessa “densità” di azione: l’istrionico Goichi, come suo solito, non ha perso occasione per alternare le fasi di menare con altri set piece più cazzari e caciaroni, che funzionano e abbuffano le guglie in misura abbastanza salomonica. Va anche detto che mi ricordo di boss fight abbastanza clamorose, con un segmento folle à la Tron, ma sono abbastanza dalle parti della memoria del pesce rosso e vorrei provare a mantenere la quantità di CxA (cazzate-per-articolo™) sotto al livello di guardia. Ad ogni modo, comunque, il gioco si lasciava giocare serenamente senza particolari intoppi, distribuendo qua e là ottimi momenti di divertimento e cazzimma.

Una donna forte e il suo toy-boy.

Al di là della rilevanza che può restituirgli una cover story sul menare stiloso, tuttavia, quello che rende davvero importante Lollipop Chainsaw a quasi sette anni dall’uscita (wut?) è che Juliet Starling è probabilmente la miglior protagonista femminile in un videogioco dai tempi di Ms. Pac-Man. Nonostante Suda51 si diverta a piazzare Juliet nella categoria delle bionde svampite, la realtà dei fatti non vede mai la protagonista come oggetto sessuale in balia di una trama tanto arzigogolata da essere inutile (ciao Bayonetta), ma anzi, offre un achievement a chi riesce nell’impresa di sbirciare sotto la gonna… no, OK, sono a tanto così dallo sforare le CxA, ché comunque i costumini succinti da comprare nello store in game non mancano e, di base, stiamo sempre parlando di un gioco fatto da un giapponese e pensato per un pubblico in preda alla crisi ormonale. Quel che conta, al netto delle apparenze, è che nella linearità della trama e dei risvolti narrativi Juliet emerge come una donna forte, cazzuta, che non si perde mai di animo e, anzi, palleggia quel cretino del suo ragazzo come fosse un oggetto (metaforico e letterale, visto che ben presto diventa un pratico portachiavi oversized) per schiaffeggiare i vari boss, uno stuolo di uomini il cui cervello è ben più morto delle loro carni.

Forse incosciente e forse noncurante del fatto che il femminismo sarebbe diventato uno dei tanti filtri con cui setacciare l’arte contemporanea, Suda51 è riuscito nell’impresa di consegnare alla storia un gioco e una protagonista femminile perfetti nelle loro esagerazioni costanti, immergendo il giocatore in un mare di sangue, ammiccamenti e battute di serie Z. In un’epoca in cui tutti si sforzano per farsi cavalieri della parità e dell’uguaglianza, è... triste? Paradossale? Bizzarro constatare come un equilibrismo del genere non sia più riuscito a nessuno, e che probabilmente nessuno neanche più provi a fare qualcosa di così fuori di cozza, per paura di pestare una merda e avere i social justice warriors alla porta. D’altro canto, visto anche cosa ci hanno portato in seguito le carriere di Suda e Gunn, è anche facile concludere che Lollipop Chainsaw sia stato un allineamento di pianeti, una sorta di avvenimento miracoloso avvenuto per caso, a cui in pochi hanno assistito e a cui laggente di oggi farebbe fatica a credere. Eppure è vero: nel 2012 abbiamo raggiunto l’apice del femminismo videoludico grazie a una biondona che trincia zombi con una motosega sburra-arcobaleni. Alla faccia di The Last of Us.

Capito, no? È tutto un parallelismo col settemmezzo, le provocazioni, il progressismo, le protagoniste femminili, quelle robe lì! Non vi incazzate! Volemose bene!

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Devil May Cry e alle pizze in faccia alla giapponese, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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