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Pac-Land? Bella - e ci vivrei

Pac-Land? Bella - e ci vivrei

La meraviglia nasce dalla mancanza di informazione. Girateci pure attorno, ma lo stupore infantile è tale perché un bimbo che ne sa, troppo azzurra non può essere l’età ‘sta ceppa: l’età è azzurra, è ignorante, è pervasa da una potenza elettrica che mai nessun sistema nervoso adulto potrà sperimentare.

Eccomi là, a undici anni, beatamente ignorante, allorché entro in una sala giochi di Sirmione. Sarebbe bello ricostruire il perché una famiglia di Trieste sentisse il bisogno di andare in vacanza, a inizio di settembre 1985, sul lago di Garda. Ma forse no, non sarebbe affatto bello, e riporterebbe alla memoria un padre malato, una convalescenza e altre cose che non ricordo con troppo piacere ora, mentre invece in quel momento vivevo in totale denial.

Quindi, riepiloghiamo: eccomi là, a undici anni , ignorante e in totale denial per la condizione di salute di mio padre, allorché entro in una sala giochi di Sirmione. La mia intera esistenza mentale, durante l’anno scolastico 1984-1985, è avvenuta all’interno del medium videoludico. Ho proprio traslocato la mia identità nei videogiochi. Vedo la realtà attraverso lo specchio catodico, al sicuro dentro questo o quel videogame, che sia al bar, che sia nel salotto buono della famiglia di qualche compagno/compagna di classe. A questo punto, settembre 1985, videogioco attivamente da un anno, ho divorato tutte le riviste italiane sulla materia che ho potuto recuperare (qualche sparuto numero di Videogiochi e EG), disegno solo personaggi dei videogame, faccio temi d’italiano in cui tratteggio la fenomenologia di Donkey Kong e programmo in BASIC sul Commodore 64 dei giochi testuali dedicati ai Duran Duran - senz’audio, perché è troppo complicato.

Tocca pertanto riformulare: zigzagando come le light cycle di TRON, ecco che guardo fuori dallo schermo di un Crazy Kong della Falcon e mi rendo conto che sono capitato a Sirmione. Mi ricompongo come corpo non meramente astral-videoludico ma propriamente fisico, ed ecco che sono pronto a fare conoscenza con una serie di videogame mai visti - nuovi mondi da esplorare, percorrere, rendere parte coesa del mio open world mentale ormai composto da centinaia di giochi diversi.

Mi emoziona sempre moltissimo vedere di persona videogame di cui ho solamente letto, magari un trafiletto a corredo della copertina del gioco. Mario Bros., per esempio! Incredibile come non mi sia ancora mai capitato per le mani, né nei bar, né su Commodore. Ed eccolo là, però… però c’è qualcosa che mi distrae. Dall’altro lato della sala arriva una musica che sembra una sciocca sinfonia, una gaia melodia, un cartone animato in musica.

Pac-Land.

Tu lo conosci, Pac-Man. Lo vedi in giro almeno dal 1982. Al bar del campeggio, al bar della stazione. Il gioco di maggior successo. Il gioco con la più ampia letteratura, tanto che certi numeri di Videogiochi sono composti per il 35% di Pac-Man. E poi c’è Ms. Pac-Man. E il figlioletto. E in America c’è pure una roba mezza flipper mezza videogioco, sempre legata a Pac. Sulla pagina dei record di Videogiochi si parla di un misterioso Pac-Man & Chomp Chomp, potentissimo perché è solo un nome, senza spiegazioni, si vede che ti sei perso il numero della rivista dove lo hanno recensito, se mai lo hanno fatto.

Ma Pac-Land? Che roba è?

Innanzitutto: non è un labirinto. Sembra più Smurf per ColecoVision, uno di quei giochi che si salta. Sembra più un cartone animato. Giocabile, però. No, non come Dragon’s Lair. Questo sembra un cartone animato giocabile in ogni istante, fotogramma per fotogramma. Le mie certezze vacillano: è impossibile. Sto assistendo a un cartone animato giocabile, ma ho la netta percezione che sia un fatto scientificamente impossibile, troppo avanti per accadere nel 1985. Anzi, il copyright dice addirittura che si tratta di un gioco del 1984.È palese che Trieste è arretrata e qua a Sirmione invece sono dotati di una civiltà più evoluta, in grado di avere i coin-op dall’America in tempo reale, forse addirittura li prendono dal futuro e cambiano l’anno del copyright per non spaventare le persone.

Direttamente dall'ultimo tubo catodico che mia madre abbia mai posseduto, Pac-Land. Non era scritto che quel CRT finisse usato così, ed è esattamente questo il senso della vita.

È bellissimo. I colori, le campiture, i personaggi grandi che sembrano disegnati a mano, lo schermo scorre fluidamente, campi, città, colline, oscure segrete, è quasi troppo. E poi i fantasmi che seguono Pac con tutti i mezzi - letteralmente: automobili, dischi volanti, pogo stick, aereoplani… Mi scoppia la testa, uno splendore disarmante, non capisco come riescano i ragazzi della sala giochi di Sirmione a giocare così compassati, come se niente fosse. Mi guardo per un attimo intorno: Pitfall II riveduto e corretto da SEGA per la sala giochi? Coooos? E io che a casa su Commodore sto ancora giocando quello di Activision, non riveduto, non corretto, non SEGA, non per la sala giochi. E cos’è quel Return of the Invaders? Look metallico in bassorilievo, power-up, musica drogata… È evidente: gli astanti sono oramai abituati a mondi talmente lontanissimi che hanno sviluppato una resistenza per me impensabile - per me undicenne che mi aggiro confuso per la sala e a ogni monitor vengo sbalzato indietro da deflagrazioni catodiche colorate e piene di un 1985 videoludico che ancora non riesco a decodificare.

Esco un attimo.

C’è mia madre, come sempre pazientissima, che aspetta che io finisca la mia perlustrazione. “Finito? Andiamo?” “No mamma macché tu non capisci c’è PAC-LAND” “Aaaah be’, manco avessi detto che c’è Tony Musante!” Ricordo con affetto questa battuta, che non capii così come non la capite probabilmente voi, ma mia mamma aveva una strana fissa per Tony Musante.

“Va bene, Andrew” (non ho mai capito perché, ma in gioventù mia madre mi chiamava Andrew) “Hai tempo per una sola partita. Scegli quale gioco e poi andiamo”. Rientro, pronto a… niente. È l’ora di punta. Tutti i coin-op più maestosi sono occupati, pure con un capannello di gente intorno a fare la fila, a gufare, a procurarsi una tintarella di futuro catodico. No, non giocherò a quel Nibbler abbandonato in un angolo. Ho una mia dignità. Ho deciso.

L’unica mossa vincente è non giocare. Continuerò a svolazzare di schermo in schermo, a impollinarmi per bene prima del ritorno a Trieste, ad abbeverarmi alla fonte di saggezza dell’avanzatissima civiltà videoludica di Sirmione. E soprattutto…

Pac-Land.

Ora, essendo che è l’inizio di settembre del 1985 io non lo so ancora che tra circa due settimane esce, in Giappone, Super Mario Bros. su Famicom. Ignoro totalmente l’esistenza del Famicom stesso, e l’ultima volta che ho visto Mario in azione è nel summenzionato Mario Bros. con il suo fondale nero e la sua schermata singola. Pertanto ancora non so che Miyamoto stava in fissa totale con Pac-Land, e che in Super Mario Bros. ne avrebbe ricalcato ferocemente ogni singolo elemento di gameplay. Migliorandoli tutti, TUTTI, mortacci sua.

Ma l’atmosfera, be’, no.

Scusami tanto SCIGHERINO, ma al sekaikan di Pac-Land il tuo Super Mario Bros. gli può lavare le mutande. Certo, ceeeerto, poi da lì in poi hai investito tantissimo, di episodio in episodio, per costruire un mondo sempre più disney-fico, worldbuilding da parco dei divertimenti, Super Mario WORLD eccetera. Ma alla fine, se hai avuto la possibilità di farlo è solo perché Super Mario Bros. è andato taaanto taaanto bene. E Super Mario Bros. esiste, così com’è, SOLO per via di Pac-Land.

La versione per Commodore 64 era una bella senz'anima: sembrava davvero il coin-op, ma aveva il gameplay castratissimo, a partire dall'impossibilità di appoggiarsi sulla testa dei nemici. La amai totalmente analogamente.

Se fossi un paludato saggista cinquantenne, ora vi spiegherei per filo e per segno le analogie tra Pac-Land e Super Mario Bros. Invece sono uno svarionato stagista cinquantenne, al massimo, e siccome l’ho fatto un milione di volte sul mio canale Twitch, tipo qua, ergo non mi rimetto a farlo ancora una volta. L’ho fatto già vent’anni fa in quel libro su Super Mario. Che poi a pensarci Nintendo Italia quel libro l’ha poi portato a Miyamoto e pensa se l’ha sfogliato e ha visto il diagramma di comparazione Pac-Land vs. Super Mario Bros., era un’attimo che alzava la cornetta e il Ninja di Nintendo sotto casa t’aspetta, Babich.

Però l’invito è quello di (ri)giocare Pac-Land e di concentrarvi sugli elementi di gameplay, su quanto erano già strafichi e di come poi Scigherino li ha megastrafichizzati.

Mi sono un po’ perso nello spaziotempo, sono andato ad abitare a Pac-Land da quel momento in poi, e quando ho rimesso la testa fuori dal monitor non ero più a Sirmione, ero in un bar di Trieste: ecco che, ad autunno inoltrato, Pac-Land cominciava a farsi vedere in più d’un locale della mia città. Videogiochi #29 (settembre 1985) aveva dedicato a Pac-Land un sontuoso speciale atto a sviscerarne i trucchi (e solo il dio dei videogame sa quanti sono!), rivelandomi peraltro che Pac-Land era effettivamente stato recensito già nel dicembre 1984 sulla rivista, MA CHE OOOOOH me l’ero perso quel numero, checcaspita, le edicole triestine erano un mondo ondivago e transeunte dove l’etica verso il cliente era tale che boh, una volta su due la rivista che imploravi ti tenessero da parte la vendevano a qualcun altro. Pazzesco. Pac-Land che a me era sembrato un futuro impossibile era già in giro da un anno, magari non a Trieste, non a Sirmione, ma a Milano, ai confini del Cosmo.

Poco male, ora avevo the real deal nel bar sotto casa. “Sotto casa” era in effetti a due chilometri di distanza, ma voglio dire, avere undici anni e una strada cittadina del 1985 che ti porta dritta a un bar fumoso con Pac-Land è semplicemente tutto quello che puoi volere dalla vita, allorché desideri sbilanciarti e lasciarti inghiottire dalla meraviglia dell’esistenza.

Tra Natale 1985 e gennaio 1986 arrivò anche in Italia la serie a cartoni animati di Pac-Man, e cominciai a collegare i puntini: ma aspe’, allora l’ispirazione per il GIOCO Pac-Land in effetti viene dal CARTONE dedicato al GIOCO Pac-Man e ai suoi seguiti? Such media mix. Mi piace! Riuscii a farmi piacere anche la sigla italiana, con echi beatlesiani non indifferenti.

Le fonti accreditano il cantato a Pasquale "Paki" Canzi, ma penso sia un errore: il timbro vocale mi sembra più quello di Pasquale "Paki" Andriola. Insieme sono stati Paki & Paki, duo beat degli anni Sessanta. Non sto scherzando.

Ancor più ero deliziato perché Hanna & Barbera, produttori del cartone, erano stati degli eroi giovanili, e vedere questa specie di continuity, che ora sfociava nel videoludus, rendeva più intelligibile l’ombra della mia identità. Non ero insomma ancora un maledetto trombone che ti deve rompere le palle con la scarsa qualità dei cartoon H&B e il frame rate signora mia. Era ancora tutto ok.

Imparai a giocarlo, oltre che a venerarlo. E sì, da giocare era più difficile che da venerare. Padroneggiabile, ma quanta fatica, andare avanti senza fermarsi mai, costantemente braccati da ‘sti fantasmi, con quel sistema di controllo corsa/accelerata con le sue sfumature impercettibili - per dire, solo OGGI, esattamente OGGI, ho scoperto grazie all’amico Linobob che se premi due volte il pulsante di corsa e tieni premuto, Pac corre a velocità 1.7 rispetto alla camminata, ma se continui a premere il pulsante à la Hyper Olympics, allora Pac si attesta a velocità 2X. Ma tutti quei colori, tutti quegli jingle jangle, oh, pazienza se è duro come il ferro.

Il resto del mondo, però, smise di adorare Pac-Land. Molti lo videro come un buffo spin-off, con Pac-Mania, del 1987, pronto a raddrizzare la via del nostro lontano dal platform, nuovamente immergendolo nei labirinti d’antan. E in effetti si può dire che esista un filone platform parallelo, ripreso poi da Namco con i Pac-Man World su PSX, che chiaramente partono da Pac-Land per addomesticarne e banalizzarne la natura ruspante.

So che Danilo Dellafrana ora mi guarderà storto se non cito almeno Pac-Man 2: The New Adventures (visivamente Pac-landese ma alla fine puntacliccante) e l’inspiegabile schiacciapensieri di Pac-Land del Mulino Bianco. Qualcuno più clemente invocherà l’arricchita edizione PC-Engine, effettivamente la Criterion Edition dei Pac-Land, ingiustamente bollata ai tempi della sua uscita (1989) come vecchiume inutile (d’altro canto riesumare un gioco del 1984 nel 1989 era un po’ come parlare dei Beatles nel 1972).

Io dico sì alla versione PC Engine, comunque. Con le cut scene inutili e un vero e proprio finale dopo il round 32, trip 8!

I facinorosi potrebbero poi indignarsi per la cancellazione, dovuta a un’intricata questione di diritto d’autore, di Ms. Pac-Man, rimpiazzata nelle recenti riedizioni di Pac-Land da PAC-MOM e per carità, quel sottotesto MILF lo possiamo anche capire, ma Namco, caga ‘sti soldi e dacci Ms. Pac-Man, dai. Questa è sostituzione pac-chiana.

Ma la verità è che sono tutte chiacchiere. Pac-Land è uno. Quello da sala giochi. Quello di Sirmione. E quello voglio giocare: duro, puro, su una piastra di silicio che quarant’anni dopo sta in piedi per miracolo. E, infatti, così faccio. Ecco la mia PCB di Pac-Land.

Foto sfocata della scheda da sala giochi originale di Pac-Land. Per quell'effetto porno amateur che, oramai, è vintage anch'esso.

Niente emulatori, niente PC, niente console, nessun filtro. Attacco la scheda a un controller e a un tubo catodico, oppure la metto dentro il mio cabinato Zaccaria - proprio come quello dove lo giocavo alla sala biliardi “Il Campione”, Via Battisti, Trieste - e la meraviglia rivive. Ritorno ad essere quell’undicenne sirmionato. Va da sé: nel momento in cui si parla di RIvivere, di RItornare, be’, la meraviglia originale, primigenia è perduta, ed è solo un inseguire il vento, questo cercare di RIgiocare a Pac-Land nel modo meno mediato e più autentico possibile.

Che poi: non esiste la scheda pirata di Pac-Land, esiste solo originale. Namco deve aver perso tanti di quei soldi con la pirateria di Pac-Man che sono riusciti, nel 1984, a creare dei sistemi di protezione imbattuti.

Tutto è perduto, salvo quel magico momento in cui, giocando, non pensi più alla meraviglia di un tempo, ma per una frazione di secondo annulli il pensiero, i dati, quello che sai, il senso, le opinioni, e resti semplicemente tu alle prese con un gioco e ti stai divertendo. Non è più struggimento romantico, fanciullino pascoliano, paura della morte, celebrazione della vita, rievocazione storica personale. Tutte queste cose, bontà loro, ti hanno portato davanti a un videogame. Hai messo un soldino nel videogame, ti sei tuffato e il piacere del gioco ha annullato spazio, tempo, ricordo. Possiamo arzigogolare sovrastrutture infinite, ma alla fine è per quel piacere effimero che siamo ancora qua, ad arrabattarci in giro per Pac-Land, da una parte e dall’altra del CRT.

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