Psychonauts 2 e la smania del postgame
L’altro giorno ho finito Psychonauts 2 e Psychonauts 2 mi ha fatto una cosa bellissima.
Provo a spiegarmi senza spoiler: più ancora del predecessore, Psychonauts 2 è un’avventura costruita in cima a una storia complessa, stratificata, piena di simboli, metafore e messaggi ma anche di vera e propria lore, e ovviamente di investimenti emotivi a vari livelli. Avendoci potuto lavorare così a lungo, Tim Schafer è riuscito a calibrarla alla perfezione, a distribuire correttamente accelerate e colpi di scena, a lasciare al racconto il tempo e lo spazio di respirare quando serve, e a integrare alla grande tutto questo malloppo con il gameplay (che a sua volta è dieci volte più rifinito di quello del precedente ma questo è un altro discorso).
Questo significa che una volta arrivati in fondo, i molteplici fili del discorso vengono riannodati insieme e tutte le parentesi lasciate aperte vengono chiuse – a parte una, che è contemporaneamente la più importante e quella che meno serve a definire il finale e scrivere una conclusione efficace. A seconda di quanto si sia deciso di investire sui personaggi e le loro motivazioni, il finale di Psychonauts 2 può lasciare a varia misura un certo senso di insoddisfazione: è tutto tornato al suo posto, tutto apparecchiato per un terzo capitolo, tra l’altro, ma manca quel dettaglio, quella risposta, la cui domanda sto cercando disperatamente di non spoilerare ma che restando sul vago si potrebbe riassumere in “e ora che fine fa quel personaggio?”.
È quindi arrivato il momento di una brusca deviazione di rotta, che inizia con quest’affermazione apodittica: io odio finire i giochi. O meglio: odio quando i giochi finiscono ma ci sono ancora cose da fare, perché ho un blocco psicologico contro quello che viene solitamente definito “postgame”, cioè continuare a giocare dopo i titoli di coda per sistemare le ultime cose rimaste in sospeso o semplicemente perché è divertente giocare a quel gioco. È un fastidio figlio soprattutto delle ultime generazioni di console, durante le quali il postgame è diventato nient’altro che una gigantesca caccia al tesoro in cerca degli ultimi trofei rimasti verso il platino. Hai sconfitto il malvagio Cattivius, ma non hai ancora raccolto tutti e 347 frammenti di luna che ti consentono di sbloccare il VERO finale! Hai collezionato tutte le armi possibili tranne la Spada degli Stronzi, che ti sblocca addirittura DUE trofei! Sei un assassino fichissimo, ma ti mancano ancora un po’ di piume!
È roba da scimmia pigiabottoni, in grado di rovinare il puro piacere di giocare asservendolo al becero collezionismo e alla necessità di accumulare un’ipotetica reputazione da gamer a suon di trofei. Non sto dicendo che il 100% dei trofei classici da post-game sia una merda: per esempio ho un certo apprezzamento per tutti quei giochi che ti offrono un trofeo in cambio di robe tipo “dai fuoco a sette nemici contemporaneamente con il Guanto Inceneritore e poi falli saltare in aria con la Megabomba mentre indossi l’Armatura del Pollo”, o “ammazza ottocentoquarantadue soldati di fila senza farti beccare”. Cioè, sono stronzate, è inseguire il nulla, è il videogioco ridotto a questione prestazionale e meccanica; ma ci sono giochi a cui è bello giocare anche perché sono prestazionali e meccanici, quei giochi che funzionerebbero in quanto insieme di sistemi e anche senza la altrimenti necessaria passata di strato narrativo ed estetico. Una speedrun di Super Mario Bros. si può fare anche sostituendo allo sprite di Mario un rettangolo nero senza tratti distintivi; ottenere la doppia S a fine missione a difficoltà Dante Must Die in Devil May Cry 3 è una sfida che si potrebbe accettare anche eliminando le texture e trasformando Dante in un tronco di cono armato di poligoni appuntiti.
Per cui, questo genere di collect-a-thon posso anche capirlo e accettarlo: non stai setacciando il mondo di gioco in cerca di tazze da caffè, ma esplorandone i più reconditi anfratti meccanici per padroneggiarlo alla perfezione. Va bene. Non me ne faccio un cazzo in quanto giocatore, ma non essendo io l’unico giocatore al mondo, va bene che vengano implementati e magari, se il gioco è quello giusto mi viene anche lo sfizio di lavorarci. Ho platinato Super Meat Boy per questo motivo, e per lo stesso motivo non ho mai voluto platinare Dark Souls 1, 2 e 3, perché a differenza di Bloodborne e Sekiro, sono piagati da una serie di trofei che richiedono infinita pazienza e voglia di ripetere all’infinito gli stessi gesti nella speranza di ottenere il drop giusto. E così torniamo al discorso dei trofei da collezionisti e del postgame.
Io li odio i trofei da col… forse l’ho già detto. Lo so che non fanno male a nessuno e in particolare non lo fanno a me, che posso limitarmi a ignorarli come ho sempre fatto. Ma la loro presenza mi irrita comunque perché mi sembra una scorciatoia intellettuale per giustificare il fatto che una volta finito un gioco sarebbe meglio se il giocatore continuasse a giocarci invece di abbandonarlo per passare ad altro; l’idea che i giochi non debbano finire, mai, che ci debba essere sempre un ulteriore strato nella Grande Cipolla Videoludica che è la nostra vita.
Credo che almeno in parte la cosa mi irriti perché sotto sotto ho sempre amato molto l’idea del gioco infinito, dell’opera che ti fa venire voglia di continuare a giocare anche quando in teoria la parabola narrativa si è conclusa. Ho per esempio sempre ammirato, stimato e anche un po’ temuto tutti quei JRPG che nascondono intere fette di trama, e i mostroni più assurdissimi di tutti, nel post-game; quei giochi scriteriati che si tengono per loro un dettaglio, un particolare, una nozione che potrebbe cambiare radicalmente la tua interpretazione del gioco se solo si sforzassi di muoverti oltre la conclusione per andare in cerca della Vera Conclusione. È un modo un po’ disonesto ma per me affascinante per prolungare il tempo di gioco; è come se esistessero due versioni di, che ne so, Ni No Kuni, la prima che è quella per un pubblico più ampio e finisce con lo scontro contro la Zodiarchia e la seconda che invece richiede di investire un’altra trentina di ore per vedere la luce in fondo al tunnel.
Ma le piume? Le lettere di nonna? Le mutandine di pizzo (47/50! Sei a tre dal prossimo trofeo!)? Avete davvero così poca fiducia nel fatto che giocare al vostro gioco sia divertente di per sé che avete bisogno di incoraggiarmi con la versione ancora più dispensabile di “raccogli cinque pelli di lupo”?
E qui torno, stavolta inevitabilmente con qualche spoiler, su Psychonauts 2. Psychonauts 2 ha la sua bella lista della spesa di stronzate collezionabili alle quali, se volete, potete dedicare il vostro tempo libero invece di fare cose più utili tipo tagliarvi le unghie (sarebbe ora). Ci sono i collectibles nei “dungeon”, ci sono quelli in giro per il “mondo”, ci stanno mille robe da comprare dal negoziante e tutti quei paraphernalia contro i quali sto blaterando da 1162 parole e che prevedono di giocare e rigiocare ossessivamente a certe sezioni per riempire tutte le caselline della tombola.
E poi c’è un trofeo che è arrivato un po’ a sorpresa, e che mi è stato dato perché ho fatto quello che qualsiasi persona avrebbe fatto se si fosse ritrovata alla fine di quest’avventura. È il discorso delle parentesi da chiudere che dicevo all’inizio: ne rimane una aperta, e il modo più logico e umano per farla è parlare con la gente, chiedere cose, ottenere risposte. Che meccanicamente si traduce nell’andare in un posto, pigiare X un po’ di volte per esaurire le scelte di dialogo, poi andare in un altro posto e ripetere la stessa roba; ma è il carico emotivo che ci sta dietro che dà gusto a tutte quelle pigiate: dopo 15/20 ore passate in compagnia del cast, arriva il momento in cui la storia si chiude definitivamente una volta per tutte, e certe frasi e certe promesse vengono pronunciate per l’ultima volta. In un certo senso questo trofeo inaspettato costituisce i veri titoli di coda di Psychonauts 2; e io mi immagino l’utente X cacciatore di trofei che arriva in fondo e scopre che gliene manca uno, e ne legge la descrizione, e NON CAPISCE perché non è il classico “Raccogli tutti i MacGuffin in tutti i livelli” o “Ammazza cento nemici dando loro fuoco e pisciando sui loro cadaveri carbonizzati” ma un più generico “Return to where it all started”. Perché per prenderlo, Psychonauts 2 ti costringe a pensare come se fossi ancora parte della sua storia e non un aspirapolvere affetto da OCD.
Ero partito, una volta finito Psychonauts 2, con l’idea di prendere tutti i trofei e platinarlo perché mi ha divertito molto. Dopo aver preso quel trofeo, l’ho chiuso e l’ho gentilmente archiviato tra le cose fatte.
Vorrei che più gente trattasse in questo modo questa storiaccia da cui è impossibile liberarsi dei trofei.