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Oblivion, quando si aprirono le acque | Racconti dall'ospizio

Oblivion, quando si aprirono le acque | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Prima che la mia macchina del porno diventasse anche quella da gioco, vivevo nella mia bolla consolara e raramente avevo contatti con generi videoludici preclusi alle scatoline da salotti. L’Xbox 360, o almeno è così che la ricordo io, mischiò un pochino le carte avvicinando due mondi che, fino a quel momento, si erano guardati più che altro con disprezzo.

Avevo giocato a qualche JRPG, mi ero annoiato dei JRPG e avevo pure abbandonato i JRPG, quando The Elder Scrolls IV: Oblivion sconvolse i miei orizzonti: era il mio primo RPG occidentale. È un’emozione rara, sempre più rara col passare degli anni e dei giochi giocati, ma capita che un videogioco arrivi lì dove non credevi fosse possibile arrivare. Avevo già visto qualche mondo enorme, ne sono abbastanza sicuro, ma nessuno era così strabordante di nuove avventure, magari infilate a caso in qualche struttura abbandonata in un angolo remoto della mappa. Oblivion era vero, finalmente, un magico universo dove persino l’erba che calpestavo poteva tornarmi utile, un universo complesso e mutabile che rispondeva alle mie azioni, un universo del quale io facevo davvero parte.

Ci si abitua anche alle cose belle, non ho mai più provato quella sensazione, ma era incredibile vedere le linee di dialogo adattarsi alle mie azioni, fantastico scoprire che aprire un cassetto in casa altrui avrebbe recato danno a qualcun altro. E che quello si sarebbe infuriato, avrebbe chiamato le guardie e chissà se l’avrei passata liscia. Era strabiliante poter uccidere qualcuno e scoprire che altri lo avrebbero pianto ed eccitante dover aspettare l’apertura dei nego… no, vabbè, quello era una palla ma aiutava comunque a immergersi completamente nella tua avventura. Tua, solo tua, diversa da tutte le altre.

Giuro che non ricordo neanche chi fosse il cattivo in Oblivion. Perché, in fondo, la sua trama principale era solo un contorno, qualcosa da portare avanti di tanto in tanto ma senza impegno. Mi ricordo invece tante piccole quest, piccole storie giornaliere che potevano tramutarsi in qualcosa di avventuroso o in semplici chiacchiere da condominio, ma sopratutto mi ricordo le avventure che costruivo io, come il piano machiavellico architettato per rubare la bellissima spada nella teca di vetro della gilda dei maghi. Che non valeva niente, scoprii a malincuore. Ricordo di essermi ammalato, di vampirismo, e di essere impazzito nel tentativo di togliermi di dosso quella maledizione. E sicuro non dimentico quei primi raggi di sole, all’inizio del gioco, appena uscito dalle fogne.

Dopo, tutto è cambiato. Se nessun RPG occidentale è più riuscito a sorprendermi in quel modo, è pure vero che ho cominciato a sperimentare più generi, a provare cose nuove, perché Oblivion mi ha insegnato che i videogiochi possono ancora lasciarmi di stucco, se sono disposto a farlo.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Il trono di spade e al fantasy lercio, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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