Outcazzari

Skyrim, cheppalle? | Racconti dall'ospizio

Skyrim, cheppalle? | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Skyrim, cheppalle!” Credo che la reazione di molti davanti al gioco di Bethesda, ormai, sia questa. Dopo essere stato riproposto su dozzine di piattaforme diverse in un numero di versioni di cui ho perso il conto, Skyrim continua a far parlare di sé. In realtà, l’ennesima edizione con inclusi alcuni mod benvoluti dalla comunità di videogiocatori deve ancora uscire.

Però, forse, al di là delle lamentele sulla ripetitività, il punto è che Skyrim offre qualcosa di pressoché unico, e soprattutto lo fa bene. Personalmente gioco alla serie The Elder Scrolls dagli albori, ho iniziato con Daggerfall, il secondo capitolo, per poi rimediare il primo e poi giocare a ogni cosa uscita; ricordo pure che provai un improbabile port per Nokia N73 (grandioso cellulare, quello). Cosa offrono? Perché mi piacciono tanto? Per la possibilità di perdersi in un mondo. Se si riesce a far scattare quell’alchimia rara e magica di riuscire a immedesimarsi totalmente nel personaggio, non si sta “giocando con un tizio che vive in Tamriel”, si diventa il tizio che esplora Tamriel e affronta sfide eccezionali. E in maniera più intensa rispetto ad altri giochi di ruolo, complice anche la visuale in prima persona.

Skyrim non vanta una scrittura memorabile, non ha neanche personaggi memorabili. L’unico vero personaggio memorabile dell’intera serie credo sia il dio della follia presente nell’espansione di Oblivion. Skyrim al massimo ha… No, beh, non ha niente. O invece si?

Anche dopo anni ricordo molte quest definite dai detrattori lineari e banali, che invece vantano molteplici risoluzioni e propongono tematiche interessanti. Ripenso a missioni che mi hanno messo in contatto con cannibali, cultisti, pazzi, vampiri, assassini, ladri, disperati di vario tipo, e il mio personaggio che cercava di salvare o punire seguendo la sua personalissima morale.

Con un misto di frustrazione e nostalgia ricordo che nelle mie prime partite a Skyrim praticamente “macravo” alcune skill, come quella che permette la forgiatura di armi e armature, e questo mi porta alla memoria, inevitabilmente, il modo in cui creavo incantesimi appositi per “macrarli” in Daggerfall, e nello scriverlo mi chiedo anche quante persone possano comprendere o ricordare il termine “macrare”, che viene dalla (discutibile) abitudine di preparare delle macro (appunto) per ripetere azioni che aumentavano le varie abilità in Ultima Online.

Come in un uroboro, quindi, tutto si riduce a un cerchio. A un misto di nostalgia, libertà, ricordi, desideri, emozioni che rendono Skyrim, al pari di ogni altro esponente della serie The Elder Scrolls, un viaggio metafisico in un altro mondo, in un’altra dimensione. L’eseguibile di Skyrim prende il posto della pietra d’ossidiana che in Ultima 6 permette il ritorno a Britannia.

Potrei anche parlare del sistema di combattimento, di situazioni specifiche, della grafica e del mondo di gioco, ma dopo tutti questi anni, forse, sono le emozioni e un flusso di pensieri a offrire il giusto inquadramento al lavoro di Bethesda. Anche se dopo tutto questo tempo sarebbe il caso di passare a un gioco nuovo, invece di riproporre sempre lo stesso.

Insomma, cheppalle!.

Gleylancer, ovvero del tempo del nostro tempo nel nostro tempo | Racconti dall'ospizio

Gleylancer, ovvero del tempo del nostro tempo nel nostro tempo | Racconti dall'ospizio

Lo sciacallo è il perfetto manifesto della TV del dolore

Lo sciacallo è il perfetto manifesto della TV del dolore