Ludophilia #8 - WipEout e la crisi della coscienza corporale
Ludophìlia non è una malattia, ma un'antica rubrica di approfondimento che corrobora mente e joypad, curata da uno che l’avrebbe addirittura voluta intitolare “I Love Tara Long”.
Ciò che immediatamente colpisce nella mitologia del pilota di WipEout è – strano a dirsi – l'eliminazione della velocità. Bisogna entrare in un paradosso, che d'altra parte si può ammettere benissimo e consumare perfino come una prova di modernità; tale paradosso è che troppa velocità si trasforma in riposo. Il pilota "gommato" si distingueva e precisava mediante tutta una mitologia della velocità sensibile, dello spazio divorato, del movimento inebriante, fatto di rollii e stridii; il pilota di WipEout, invece, si definisce mediante una sinestesia del surplace (ai mille orari, in volo orizzontale attraverso un sistema di levitazione quantistica, nessuna sensazione di velocità), come se la stravaganza della sua vocazione consistesse precisamente nel superare il movimento, nell'andare più veloce della velocità. La mitologia abbandona qui tutto un bagaglio d'immagini dello sfregamento con l'esterno e inaugura una sinestesia pura. Il suo movimento non è più percezione ottica dei punti e delle superfici, ma diviene una sorta di turbamento, fatto di contrazioni, di offuscamenti, di terrori e mancamenti; non è più scivolamento, bensì interna devastazione, crisi immobile della coscienza corporale.
A questo punto è naturale che il mito del pilota di WipEout perda ogni umanismo. L'eroe della velocità classica del radiale cinturato poteva restare un uomo civile nella misura in cui il movimento era per lui una prestazione episodica, per la quale il solo requisito necessario era il coraggio: si correva con punte di velocità come dilettanti provati, non come automi professionisti, si cercava un'ebbrezza, ci si avvicinava al movimento muniti di un moralismo ancestrale che ne acuiva la percezione e permetteva di darne la filosofia. E proprio nella misura in cui la velocità era un'avventura, essa legava il pilota a tutta una serie di ruoli umani. Il pilota di WipEout, invece, sembra non conosca più né avventura né destino, ma soltanto una condizione: tale condizione è, a prima vista, più antropologica che umana: miticamente, il pilota di WipEout è definito più che dal suo coraggio, dal suo peso, dal suo regime e dalle sue abitudini. La particolarità della sua razza si legge nella sua morfologia: la tuta anti-G e il casco levigato fanno entrare il pilota di WipEout in un'altra pelle, in cui neppure sua madre potrebbe riconoscerlo. Tutto si svolge come se ci fosse stata una brusca trasmutazione tra le antiche creature a quattro ruote e le nuove del futuro a reazione antigravitazionale.
Essere piloti di WipEout, dunque, è frutto di un dono spirituale: si è dotati per un Quirex o un Triakis come altri sono chiamati a Dio. Tutto questo sarebbe banale se si trattasse del pilota tradizionale, il cui pregio era unicamente nel praticare l'automobilismo senza abbandonare la propria umanità. Ma la particolarità mitologica del pilota di WipEout è quella di non conservare nessuno degli elementi romantici ed individualistici del ruolo consacrato, senza per questo abbandonare il ruolo stesso. Nella sua figura si ritrova il rituale attraverso il mito di una razza fittizia, celeste, che trarrebbe le sue particolarità dalla propria ascesi, per realizzare una sorta di compromesso antropologico tra gli esseri umani e i marziani. Il pilota di WipEout è un eroe reificato, come se ancora oggi i videogiocatori non potessero concepire il cielo se non popolato di pannelli acceleratori.