Outcazzari

Post Mortem #33: Dell'arte ipercinetica di incastrare i blocchi, o dei livelli di Titanfall 2

Post Mortem #33: Dell'arte ipercinetica di incastrare i blocchi, o dei livelli di Titanfall 2

Una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, sulla loro esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

Mentre il mondo si accalcava nella hall adiacente, dove si stava consumando il Classic Game Postmortem di Sonic, il mio mercoledì pomeriggio alla Game Developers Conference di quest’anno si è aperto all’insegna del level design di Titanfall 2. In tutta onestà, vista la mia totale insofferenza nei confronti del porcospino blu, sarei stato ben felice di guardare anche un talk a tema The Last of Us (no, beh, non esageriamo), ma per fortuna gli organizzatori della GDC sono stati clementi (a differenza degli altri giorni, in cui le conferenze interessanti si sovrapponevano anche a gruppi di tre), dandomi la possibilità di scoprire un po’ di più sulla genesi di una fra le migliori campagne single player viste in uno sparatutto recente.

In cattedra c’era il senior game designer di Respawn Entertainment, Chris “Soupy” Dionne, che dopo una carriera in Infinity Ward su giochi come Call of Duty e Medal of Honor, ha continuato a sposare la causa di Zampella anche nel nuovo studio, mettendosi subito al lavoro sul primo Titanfall. All’inizio, dopo un po’ di ovvie tribolazioni dovute alla volontà di sviluppare uno sparattutto, ma non ripetersi dopo anni di [la stessa solfa], l’idea di Titanfall è emersa con sempre maggior forza: mobilità, verticalità, ROBOTTONI. Un trittico interessante e stimolante, che tuttavia ha causato non pochi grattacapi al team, dal momento che non sapevano bene come mescolare il tutto in funzione di una trama, non sapevano in che dosi proporre i tre elementi e, soprattutto, dal lato tecnico era davvero un disastro realizzare situazioni in cui, passando dal controllare il soldato al robottone, non finisse tutto nel peggiore dei modi. Lo studio scelse quindi la via più facile, saltando la modalità single player, per la gioia di chi - come me - ha sempre trovato superflua questa opzione in un gioco chiaramente pensato per il contesto online, più o meno competitivo.

Non di meno, i ragazzi del team hanno ben presto cominciato a mettere su carta il secondo episodio della serie, e soprattutto hanno cominciato a lavorare su quelli che sarebbero potuti essere i livelli del single player, attraverso quelli che “Soupy” ha definito action block, ovvero dei piccoli blocchi, delle sezioni di livello, in cui mettere in scena l’azione di gioco. Ogni designer all’interno del team aveva una settimana per concepire un action block, ad esclusione dei progetti più grossi e dei block complementari, che potevano essere sviluppati anche in gruppi e con un po’ più di tempo a disposizione. Per il resto, le restrizioni erano le stesse per tutti: un action block doveva prevedere un test di abilità ma nessun momento ganassa da film d’azione, niente contesto narrativo (anche se comunque nessuno era scoraggiato dal suggerire elementi di trama) e, soprattutto, doveva essere in larga parte giocabile, in modo che il designer di turno potesse “spiegarlo” al resto del team.

Alla fine del brainstorming, il team diede vita a quarantacinque action block, tutti carichi di idee basate sul platforming e sulla mobilità caratteristica di Titanfall, con anche molte idee basate sull’inseguimento puro. L’action block progettato da Soupy prevedeva un labirinto che il giocatore poteva vedere, prima di entrarvi con il mech. Un’idea ambiziosa e un po’ convoluta, che tuttavia aveva al suo interno degli elementi di platforming che hanno ispirato altri designer del team, sopravvivendo fino al gioco finito. I quarantacinque blocchi finali, comunque, sono stati raccolti in una sorta di libreria virtuale, anche quando non era ben chiaro come sfruttarli, o come combinare le idee tra di loro. L’importante era avere sempre a disposizione un catalogo di idee provate e funzionanti da integrare alla bisogna. In questo senso, una fra le chiavi dello sviluppo dei livelli finali è stata quella di escludere, anche nel secondo capitolo, la convivenza di titani e soldati nello stesso livello: troppi problemi tecnici, troppe rogne gestionali e, tutto sommato, anche troppi cambi di ritmo che spezzavano l’azione. Meglio lasciar perdere.

Soupy spiega le regole per i livelli di Titanfall: bene due piloti, male piloti e titani, bene due titani.

Per altro, Dionne ha evidenziato come la sequenza più memorabile di Titanfall 2, ossia quella che prevede il platforming tra un’epoca temporale e l’altra, sia praticamente rimasta invariata dalla fase di progettazione dell’action block alla pubblicazione del gioco. L’action block, infatti, consisteva in una mappa multiplayer presa dal primo Titanfall duplicata, in versione “normale” e “futuro disastrato”, con il giocatore che poteva passare tra le due istanze premendo un tasto, come accade anche nel gioco finale.

D’altro canto, il livello Into The Abyss, la sequenza della fabbrica - anche questo uno dei momenti memorabili di Titanfall 2 - è forse la dimostrazione dell’utilità di raccogliere tutti i blocchi e le idee in una libreria. Durante lo sviluppo, infatti, si è pensato di far passare il giocatore per una città che, alla fine della sequenza, venisse rasata al suolo. E chi avrebbe ricostruito quella città? Semplice, siamo nel futuro: robottoni industriali! Ora, se siete come me, introducendovi nella fabbrica di Titanfall 2 avrete percepito la sensazione di trovarvi in una gigantesca sequenza di prove messe una dietro l’altra, come in un crescendo di gasamento ipercinetico… ecco, non siamo andati tanto lontani dalla verità.

Mano a mano che il livello si sviluppava, le idee degli action block riaffioravano, portando rulli, piattaforme semovibili, bracci meccanici e chissà cos’altro al centro della scena, ricostruendo una catena di montaggio che montasse le nuove case intorno a noi, poveri criceti in un labirinto che si stringe sempre più. Per altro, la costruzione intorno al giocatore è stata una bella sfida per il team, dal momento che tutti tendevano a spostarsi per non venire colpiti o rispondere al fuoco, finendo irrimediabilmente schiacciati dai movimenti dell’ambiente di gioco. La soluzione? Ancora una volta, dare al cervello una rassicurazione, questa volta sotto forma di una copertura. Alla vista di un muretto, i giocatori smettevano di pascolare, concentrandosi sugli avversari mentre i macchinari intorno a loro facevano il resto.

In conclusione, Soupy Dionne ha poi aggiunto che, sebbene gli action block funzionino e siano un ottimo modo per stimolare la creatività, sono anche un escamotage che non agevola il level design più di quanto non lo complichi. L’idea alla base di un action block può esaltare il contesto, ma non lo crea, e soprattutto rischia di far aumentare i tempi di integrazione (e quindi i costi di sviluppo) perché, di base, non è semplice integrare due idee diverse in un contesto funzionale al gioco e alla trama. Insomma, come diceva Edison, la creatività è 1% ispirazione, 99% fatica e 100% ROBOTTONI.

Racconti dall'ospizio #126 - God of War: Chains of Olympus, Spade del Caos in metropolitana

Racconti dall'ospizio #126 - God of War: Chains of Olympus, Spade del Caos in metropolitana

Apocalipsis è tutto un memento mori (mo' me lo segno)

Apocalipsis è tutto un memento mori (mo' me lo segno)