Escape Plan è il classico gioco di cui tutti siamo pronti a innamorarci al primo sguardo. Ti mette sul piatto uno stile visivo e sonoro di personalità, un bel senso dell'umorismo, l'appartenenza al sempre stimato genere dei puzzle game e pure il bonus di tirarsela da gioco pensato per la console portatile (altro che le conversioni tirate via!)... non ci puoi fare niente, è colpo di fulmine, amore per la Vita. Poi, però, arriva il giorno dell'uscita, si va assieme al ristorante, magari un cinemino, si commette l'errore di chiacchierare un po', emergono le prime crepe e si comincia a temere di aver commesso un errore. Ma, insomma, ormai siamo in ballo, la cena sul PSN l'abbiamo offerta, non potrà essere poi tanto male. E infatti, guarda, ne viene fuori una bella nottata, magari un po' breve, magari con qualche momento d'impaccio, ma tutto sommato divertente. Solo che poi ti svegli il giorno dopo, a letto da solo, vai in bagno, e sullo specchio c'è una scritta col rossetto che ti gela il sangue.
Quando ci hanno raccontato di Escape Plan mesi fa, non hanno detto balle: lo stile grafico da cinema impressionista è veramente bello, riuscito, solido sul piano tecnologico (Unity 3.1 e Nvidia Physx sono i nomi sciorinati nei titoli di coda). Altrettanto eccellente è la selezione musicale, che spazia ovunque, dalla classica alle suggestioni jazz. E sì, è un gioco pensato per PlayStation Vita, costruito attorno alle sue caratteristiche hardware, che si fa controllare interamente attraverso touch screen, touch pad e sensore di movimento. Ed è un puzzle game in pieno stile iOS, che ti chiede di risolvere faccende basate sulla fisica sfruttando il cervello, l'abilità tattile, un po' di trial & error, facendoti riflettere sull'opportunità di mirare alle tre stelline e alla ricerca dei manifesti bonus. Quello che non ci hanno detto all'epoca, però, è che ci saremmo trovati davanti a un sistema di controllo così scomodo, cui sembra interessare molto più il suo ruolo di tech demo, che l'essere funzionale, efficace, preciso. E neanche che il level design, magari anche per il dover scendere a patti coi limiti di controllo, sarebbe stato tanto piatto, monotono, disinteressato a mettere in difficoltà le cervella del giocatore, votato a un minimo comun denominatore da quarta elementare. Insomma, sotto il vestito, niente.
La storiella è piuttosto semplice: ci sono due strani creaturi che cercano di filarsela da un luogo di dannazione. Per farlo, devono ubbidire ai polpastrelli di un giocatore in grado di dar loro ordini e di intervenire sugli elementi dello scenario, sfruttando le capacità touch della console per muovere oggetti in profondità, attivare determinate funzioni, trascinare roba in giro per lo schermo. Il problema è che il metodo d'input smette di essere comodo piuttosto in fretta. Poi le cose si complicano e iniziano a volare le imprecazioni. PlayStation Vita è bella anche perché è grossa. Le sue dimensioni, però, fanno sì che controllare un gioco passando tutto il tempo a tamburellare con le dita fronte/retro non sia il massimo della comodità. Significa che se mi ritrovo a dover "schiacciare" il personaggio con la mano sinistra, toccando il touch screen col pollice e il punto corrispondente sul touch pad con l'indice, mentre intanto con la mano destra cerco di attivare due o tre cose sull'altro lato dello schermo, il rischio di essere colto da rabbia e di lanciare la PS Vita di Fotone in testa a chi sta quattro file più avanti di me in aereo si fa grosso. E non oso neanche immaginare cosa possa accadere al fegato delle persone che decidono di impuntarsi a conquistare le tre stelline di valutazione – legate a quanti "input" vengono utilizzati per il completamento – in ogni singolo livello. Personalmente, mi accontento di averne beccate un po' più di metà.
E allora perché sto pensando di assegnargli la sufficienza? Innanzitutto perché, finché dura (un paio d'ore e mezza di traversata intercontinentale che, in modalità volo, consumano mezza batteria della console), Escape Plan mantiene perlomeno le promesse sul piano artistico, dell'atmosfera, delle trovate visive. Poi, certo, gli puoi dire che è un po' troppo autocompiaciuto, ma insomma, non lamentiamoci di tutto. Poi perché, comunque, se proprio proprio ti ci appassioni, se riesci a non farti salire un travaso di bile per l'inaffidibilità dei controlli, o magari se hai le dita di Mister Fantastic, beh, il gioco offre un discreto quantitativo di contenuti. In fondo, oltre alla possibilità di "trestellarlo", contiamo anche i manifesti nascosti da trovare in giro per gli ambienti e le modalità extra come le sfide o le classifiche online. Certo, all'idea di ripetere mille volte certi livelli, cercando di finirli con meno tocchi possibile e impattando contro i problemi di controllo, mi passa la voglia di vivere. E oltretutto il pensiero che su uno smartphone questo gioco sarebbe costato molto meno e si sarebbe controllato molto meglio non me lo levo. Mh, facciamo che non glie la do, la sufficienza, dai.