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Morte di un E3

Morte di un E3

L’E3 è morto, più o meno da sempre, ma stavolta più di prima.

L’anno che, volesse il cielo, ci lasceremo presto alle spalle, ci ha insegnato una cosa e una soltanto: non che è meglio indossare le mascherine, su quello ci stiamo ancora lavorando, ma che dell’E3 non possiamo proprio fare a meno.

Credendo che si trattasse solo di videogiochi, il mercato l’ha rimpiazzato con “eventi figli di eventi che ricalcavano eventi più piccoli nell’attesa di eventi che WOW, il mondo adesso è tutto diverso, ma per fortuna domani c’è un altro evento” e, nossignore, non ha funzionato. Non ha funzionato perché, giocando sempre tutti in casa, al sicuro, abbiamo assistito solo a una quantità esagerata di gente che se lo succhiava a vicenda per l’ennesimo incredibile gioco che, purtroppo, non vedremo prima del 2021. Ubisoft che applaude Ubisoft, Microsoft che applaude Microsoft, Sony che lecca Sony ed EA… no, credo che EA si sia fatta un po’ schifo anche da sola. Il succo è che abbiamo visto il Trofeo Berlusconi del videogioco mentre l’E3 era la Champions League.

Ma non si tratta solo di videogiochi. Quelli ci sono stati, pure se rimandati tutti al 2021. È lo show che non ha funzionato nella bagarre di autoerotismo che ci hanno obbligato ad assistere per settimane. Degli E3 non si ricordano i titoli in uscita, quasi mai almeno, ma sopratutto le spacconate fuori contesto e i goffi tentativi di essere pop e alla moda. Penso ai panda ballerini, ai tatuaggi di Halo, ai batteristi senza batteria, ai doppiatori tristi, ai Keanu Reeves, ai Pelé e alle Yoko Ono. Penso pure alle ore spese a leggere dati di vendita che nessuno vuole ascoltare, ai pad a banana e ai CEO di compagnie che fingono, su un palco, di saper giocare. Fallimenti che non abbiamo visto, sostituiti da inchini e abbracci come nemmeno alla consegna dei Telegatti.

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Eppure penso ai videogiochi. Abbiamo perso l’esplosione, la frenesia, le tigri in gabbia a contendersi ogni secondo di visibilità. Con poca fretta e tempi dilatati, non ci è esplosa tra le mani la solita settimana di folle e insensata sovrapposizione di annunci, videogiochi fuori da ogni parete, quella sbagliata e imperdonabile ubriacatura che ti lascia solo sensi di colpa e giramenti di testa ma che, diavolo, lo rifarei. Una settimana per ghermirli tutti e lasciarci esausti a rimuginare per mesi. Invece abbiamo avuto solo eventi come impiegati al catasto, strozzati da leak ‘ndocojocojo e da metodiche tabelle di marcia. È mancata “la botta” e, in cambio, abbiamo avuto qualche tazzina di caffè con due pasticche di dolcificante.

L’E3 è il videogioco che sveste i panni da nerd per farsi rockstar, è l’ing. Filini che pippa cocaina dalle chiappe di Fantozzi, è hype puro, contromano in tangenziale, non è mai stato un cazzo di “modo ordinato ed efficiente per presentare i propri prodotti ad un pubblico recettivo e disponibile”. Dio ce ne scampi.

Ma l’E3 è morto, più o meno da sempre; e stavolta più di prima?

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Keanu Reeves, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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